(ASI) Si assiste oggi, in molte realtà italiane, al proliferare di movimenti civici.Agevolati dal sistema elettorale nascono intorno a sindaci o a governatori di Regione, o intorno a un cattolicesimo di curia, o per esaltare personalità esuberanti costruite sulla comunicazione, magari sportiva.
L’onda lunga dell’antipolitica che ebbe la sua tragica vittoria nel colpo di stato chiamato “Mani pulite” nel 1992,ha un suoruolo nella motivazione profonda questi movimenti che pretendono di risultare “civici” cioè ispirati solo all’asettico interesse di tutti, contro una politica sempre “sporca”. Ma è possibile lavorare per il “bene comune” senza avere un orizzonte ideale di riferimento? E’ possibile una politica che non sia svolta all’interno di qualche canale di contenimento rappresentato dagli ideali che nascano da una visione generale dell’uomo e della società?
Il rischio del civismo senza radicamento è che esso diventi una forma di servizio ad un nuovo notabilato personalistico che sia finalizzato all’asservimento della politica al “particulare” di individualità o gruppi familistici.La politica senza anima e senza riferimenti era appunto la critica che si faceva a Giovanni Giolitti (1862-1928). Uomo nato nella burocrazia dello Stato e suo profondo conoscitore, assurse alla direzione dello stato attraverso una carriera lenta e progressiva che lo portò a gestire governi basati sul trasformismo di notabili locali che lo statista, con grande maestria e controllo dello macchina statale, sapeva convincere a dargli appoggio. Fu il “burocrate” che avviò la partecipazione allo stato liberale di cattolici e socialisti. Riportiamo un giudizio di Croce. L’ammirazione di Croce nei confronti di Giolitti si era formata nell’esperienza diretta del suo ultimo governo. “Molti anni dopo, nella lettera scritta in prefazione del libro di Gaetano Natale su Giolitti e gli italiani, il filosofo rievoca i suoi ricordi di ministro nel 1920:nella partecipazione al governo di Giolitti mi trovai accanto a un uomo serio e severo, prudente ed energico, in tutto quanto toccava all’Italia, lo Stato, la libertà; esperto quasi in ogni ramo dell’amministrazione e insieme conoscitore dei più diversi personaggi italiani, non esclusi quelli che fanno scuotere la testa e che tuttavia stanno nel mondo e talvolta conviene in politica acconciatamente adoperare affinché rendano utili servigi, superiori alle loro intenzioni [Natale 1949, p. 11].”[1]
Il Giolitti , per cercare il consenso necessario, non aveva remore a influenzare il processo elettorale attraverso la gestione di un notabilato locale, talvolta ambiguo o mafioso. Non è qui il luogo per esaminare la complessità della vicenda politica del piemontese che fu anche illuminata e capace di servire l’interesse italiano e di far evolvere socialmente l’Italia. Si vuole solo rilevare come, in mancanza di una politica basata su forti motivazioni ideali, i processi storici tendono a riprodursi con alcune somiglianze. Oggi il processo elettorale è sempre più condizionato dal ruolo d’interessi non generali. Il civismo non è politica ma antipolitica, personalismo. Certamente non è facile, nell’attuale società italiana, molto disgregata da un nichilismo individualista, ricostruire partiti di massa ispirati a ideali profondi. E’ però un dovere cercare di rifondare la politica cercando visioni generali e non semplici scorciatoie.
Vincenzo Silvestrelli
[1]https://www.bibliotecaliberale.it/glossario/g/giolittismo/