(ASI) In Italia più di 77.500 professionisti della sanità sono di origine straniera. La migrazione è cominciata nella seconda metà del secolo scorso e, da quel momento fino ad oggi, si sono alternate tre principali ondate migratorie.
Dagli anni ‘60 fino alla caduta del muro di Berlino sono arrivati in Italia soprattutto studenti di medicina, provenienti da Grecia, Paesi arabi, Africa e sud America, rilevano le associazioni Amsi, Umem e membro del Registro esperti FNOMCeO. “Il 45% di questi giovani – prosegue – è rimasto in Italia anche dopo la laurea, tutti gli altri hanno cercato un impiego oltreconfine. Un professionista su 10 tra coloro che sono attualmente impiegati nel Sistema Sanitario Nazionale appartiene proprio a questa categoria”.
I medici stranieri over 35
La seconda ondata migratoria è cominciata successivamente alla caduta del muro di Berlino. In quegli anni sono arrivati in Italia medici e professionisti sanitari già laureati, provenienti soprattutto da Paesi dell’Est, Sud America, Nord Africa e Filippine. “L’età media – spiega Aodi – di questi professionisti era di 35 anni. Non tutti sono riusciti ad ottenere la cittadinanza italiana: tra questi c’erano molte donne già madri e sposate nei loro Paesi di origine. Nella maggior parte dei casi sono riusciti ad ottenere il riconoscimento della laurea, così da poter esercitare regolarmente la professione in Italia, ma non della specializzazione”.
La legge Martelli
La terza ed ultima ondata è molto più recente. Dopo l’inizio della primavera araba molti medici, dall’età media di 35 anni, sono venuti in Italia dal Nord Africa e dal Sud America. Anche questi professionisti, come quelli arrivati in precedenza sono riusciti ad ottenere il riconoscimento della laurea, ma non della specializzazione. In entrambi i casi, sia che si tratti della seconda che della terza ondata migratoria, il riconoscimento del titolo di studi è stato reso possibile dall’approvazione della legge 28 febbraio 1990, n. 39 (detta anche legge Martelli dal suo promotore Claudio Martelli), una norma che, disciplinando alcuni aspetti dell’immigrazione in Italia, permette l’iscrizione all’Ordine dei Medici anche ai professionisti che non hanno la cittadinanza italiana.
I numeri dei medici stranieri in Italia
«Un risultato importante raggiunto anche grazie alle battaglie condotte dalla stessa Amsi – dice il presidente Aodi -. Un provvedimento indispensabile se si pensa che il 65% dei professionisti sanitari e dei medici di origine straniera operanti in Italia è sprovvisto della cittadinanza italiana». Attualmente, stando all’ultimo censimento (relativo all’anno 2022) sono oltre 77.500, 2.500 in più dello scorso anno. I dati sono elaborati ogni anno da Amsi, in collaborazione con l’Unione Medica Euro Mediterranea (Umem) e con Uniti x Unire.
Quanti sono e da dove vengono
Tra questi 22mila sono medici, (dodici mesi fa erano 20mila). È invariato, invece, il numero degli odontoiatri che restano a quota 5mila. Aumentano gli infermieri, passati da 36mila a 38mila. Stabile a 5 mila il numero dei fisioterapisti e dei farmacisti. Mille gli psicologi e millecinquecento i professionisti TSRM. A questi si aggiungono altri 2.500 professionisti in attesa di riconoscimento dei titoli conseguiti all’estero. Provengono, in maggioranza, da Paesi africani (soprattutto da Camerun, Congo, Nigeria), Paesi Arabi (Siria, Libano, Palestina, Giordania, Egitto, Iraq, Tunisia, Marocco, Algeria, Libia), paesi dell’Est (Russia, Albania, Polonia, Romania, Ucraina, Moldavia, Croazia), Sud Americai (Argentina, Brasile, Perù, Colombia), dall’Europa, dagli Usa, da Cuba, da Israele, dalla Cina, dal Giappone dalle Filippine.
La fuga dei medici stranieri
Negli ultimi 2 anni circa il 30% dei professionisti stranieri è tornato nel Paese di origine, in particolare nei Paesi dell’Est e nei Paesi Arabi. “Solo il 10% dei medici stranieri che lavora in Italia è impiegato nel SSN: i concorsi pubblici sono tuttora preclusi a chi non ha la cittadinanza italiana. Un altro 10% è rappresentato da medici di medicina generale e pediatri di libera scelta. Il restante 80% lavora in ambito privato. Per questo – conclude Aodi -, sono fuggiti soprattutto i giovani precari e i professionisti in pensione. Ma anche coloro che hanno subito discriminazioni, sfruttamento lavorativo e violenza verbale”.
Foad Aodi - Agenzia Stampa Italia