L'attuale condizione della Chiesa alla luce della recente opera di Andrea Riccardi

(ASI) L'argomento è delicatissimo e basta porlo sul tappeto per suscitare un'ondata di contrasti, qualunque cosa si dica. Bisognera' pur farlo, però perché tanti sono i segnali di allarme.

"La chiesa brucia: crisi e futuro del cristianesimo" è  il titolo di un libro uscito in questi giorni e di cui è autore l'ex ministro Andrea Riccardi.
Potrebbe essere uno dei tanti libri sull'innegabile condizione di crisi in cui versa la Chiesa cattolica se il suo autore non fosse uno dei più noti e significativi esponenti di quello che viene considerato il partito "progressista" della Chiesa.
Gia' perché la Chiesa è palesemente divisa al suo interno e non da molto tempo ma da quelli che persone della mia eta' chiamavano i "mitici anni sessanta", cioè dall'ultimo Concilio e più che da quello reale, da quello "putativo".
Sono passati poco piu' di una cinquantina d'anni da quell'avvenimento e dalla lettura che taluni hanno ritenuto di darne ma sembra passata un'eternita'.
A contrapporre brutalmente quegli anni "spensierati" ed ottimisti, ancora per pochi anni, gli anni della decolonizzazione, neppure completa, della distensione, dei Beatles e di James Bond, c'era questo clima ottimistico che oggi ci appare lontanissimo e inimmaginabile. E il Concilio Vaticano II era impregnato di questo clima. Se fosse stato aperto una decina d'anni dopo, ci si sarebbe trovati nel bel mezzo degli "anni di piombo", in un contesto lontano anni luce dagli spensierati "anni 60".
Oggi il mondo è un mondo drammatico e tragico, sotto tutti i punti di vista.
Sul libro di Riccardi ho letto la presentazione in un articolo del quotidiano Libero del 7 agosto scorso.
Non leggo questo quotidiano ma stavolta il titolo mi incuriosisce. Non è come quando spara ad "alzo zero" contro questo o quel magistrato.
"La chiesa di Bergoglio brucia.....ma il problema è l'assenza della Logica, non il verticismo". Recita così il titolo di Libero.
Allora,  sembrerebbe che l'autore punti l'indice su una gestione centralistica della Chiesa da parte di Papa Francesco i cui problemi che incontro' in Argentina, nel governo della provincia della Compagnia di Gesù, si ripetono, amplificati a livello mondiale, ora che governa l'intera Chiesa cattolica.
Eppure si tratta di un segnale che non può essere sottovalutato e che fa pensare.

Cosa afferma Andrea Riccardi nel suo libro?

Riccardi parte dall’immagine di Notre Dame in fiamme, che, secondo una narrativa istituzionale francese, dovrebbe essere andata a fuoco per una sigaretta che avrebbe incendiato travi di quercia  spesse un metro. Certo, casualmente, in Francia sono andate a fuoco in due anni 15 chiese cattoliche per incendi dolosi di matrice islamica, ma se lo dice Macron, sarà stata la "sigaretta".

Secondo l'articolo apparso su Libero il 7 agosto scorso, di commento all'uscita del volume, nel suo libro, Riccardi individua nel verticismo di Francesco una causa fondamentale di questo sfacelo ma il quotidiano eccepisce invece che proprio questo "autoritarismo" avrebbe impedito una caduta ancora maggiore e che l'attuale problema della Chiesa è la carenza della logica che emerge dal pensiero sistematicamente dialettico di Papa Bergoglio e comunque dalla sua tendenza verso l'approccio emozionale e non logico.
Sara' che ho dato ancora una lettura sommaria del volume che ho tra le mani solo da un paio di giorni ma di questi rilievi che l'autore formulerebbe
sul pontificato di Papa Francesco non mi sembra di averli notati in maniera significativa. Che Bergoglio si caratterizzi per questo aspetto mi pare innegabile. Ha un aspetto pubblico bonario e "misericordista" ma, sin dai primi momenti del suo pontificato, ho colto il tratto "autoritario" e sbrigativo nel governo della Chiesa e, oltre a questo, l'uomo ha un carattere non facile, diciamo cosi'.
In realta', il Riccardi fa una panoramica dei vari aspetti del pontificato, li analizza con una certa onesta' intellettuale e poi, con quel caratteristico modo di pensare, irrazionale e "paradossale", alieno dal sistema di pensiero dell'uomo comune e tradizionale, modo di pensare irrazionale che è tipico dell'indirizzo "neoterico" e "mobilista" della teologia "progressista", cerca in genere di leggere le  varie forme di "crisi" in occasioni di "crescita", esprimendo, non si capisce bene, se un giudizio o un auspicio.
L'ottimismo e l'irenismo della teologia post conciliare, propugnata da Andrea Riccardi non gli consentivano molti margini per cogliere anche l'aspetto drammatico delle varie crisi in cui versa la Chiesa.
Confesso però che pensavo peggio. Pensavo che questa impronta ottimistica sarebbe emersa con maggior forza e invece il fondatore della Comunita' Sant'Egidio e presidente della "Dante Alighieri" non ha nascosto i possibili sviluppi negativi delle crisi.  Il titolo forse non è il suo ma è certamente stato concordato ed ha un contenuto "drammatizzante": si parla del destino della Chiesa cattolica. Non è poco.
Pur riconoscendo la fondatezza dell'individuazione dell'elemento chiave della "crisi" nella rinuncia alla razionalita', in quello che un prestigioso teologo, Romano Amerio, nel volume "Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa Cattolica nel secolo XX", Milano Napoli, R. Ricciardi, 1985,  definiva "pirronismo" come caratteristica di quella "eresia totale" che è il modernismo, non mi soffermero' sui vari esempi di irrazionalita' elencati da Libero.

Cercherò di individuare l'elemento unificante delle varie manifestazioni della crisi, quello che ha imposto un clima che ha progressivamente demoralizzato l'insieme dei fedeli, a partire dal clero secolare e, in minor misura, dai religiosi, oltre che dai  laici specie di quelli che vivono più a contatto col clero.
Paolo VI, asceso agli onori degli altari, in un discorso ai membri del Pontificio seminario lombardo del 7 dicembre 1968(https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1968/december/documents/hf_p-vi_spe_19681207_seminario-lombardo.html) evoco' il concetto di "Autodemolizione della Chiesa" per indicare lo stato di smarrimento, di confusione e di amarezza che colse la Chiesa subito dopo l'ultimo Concilio.

Chi ha vissuto il trapasso tra il pre e il post concilio non potra' non cogliere una novita' profonda nel passaggio da una visione di orgogliosa adesione al Deposito della Fede e, viceversa, ad un atteggiamento in perenne ricerca da cui è bandita ogni forma di sicurezza delle proprie convinzioni, quasi che il soggetto, afflitto da un misterioso complesso di colpa, finisca quasi per chiedere perdono agli altri per qualunque suo atto, addirittura anche quello di esistere.
Data la mia eta', ho avuto la "fortuna" di vivere il trapasso tra il pre e il post concilio e ricordo che, mentre prima i sacerdoti invitavano alla certezza della Fede, poi passarono a mettere in guardia contro le "sicurezze" e le "false" certezze della Fede..   
E poi, questa continua, ossessiva richiesta di perdono agli altri, senza che a nessuno venga in mente di chiederlo a noi, è un altro tratto caratteristico di questo "neocattolicesimo", perché l'importante è contestarsi e abbandonarsi, romanticamente e languidamente,  al cammino, all'esodo e non alla meta perché non si debbono avere certezze da comunicare agli altri. Guai, per questa teologia.

Quindi, senso di colpa,"autodemolizione" o "autopersecuzione", condanna delle "sicurezze", anche della Fede, in nome del "mobilismo" e del concetto di "popolo di Dio in cammino permanente", in una sorta di perenne "esodo", ma, al fondo di tutto, cio' che anima questa visione è un caratteristico difetto di amore per se stessi. Si dice di amare Dio, si dice di amare gli altri, specie i più lontani e diversi, ma poco o nessun amore di se stessi, niente "autostima" perché, per la teologia post conciliare, ciò implica l'egoismo.
Questa misteriosa "autopersecuzione" è, purtroppo, un'esclusiva della Chiesa cattolica. In tutte le altre confessioni la regola, invece, è un atteggiamento di orgoglio e di fierezza e di affermazione del proprio credo, senza incertezze di sorta.
Nessuno può negare la crisi. Basta citare le parole di Paolo VI, il Papa che ha ricevuto in eredità dal suo predecessore l'ultimo concilio della Chiesa cattolica e che ha voluto portarlo a termine, per dover prendere atto che c'è un nesso innegabile tra il Vaticano II e l'attuale crisi della Chiesa. "Si credeva che dopo il Concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio, di ricerca, d'incertezza". Si veda IX Anniversario dell'incoronazione di Sua Santità. Omelie." del 29 giugno 1972 (cit. In Andrea Riccardi, op. cit., p. 14, nota 12). E Papa Montini è dei pontefici che si sono succeduti in questi ultimi anni quello, da un lato più imbevuto di cultura "neoterica" ma, dall'altro, anche quello che ha denunciato la delusione del post concilio in termini più crudi.
Andrea Riccardi ha tratteggiato in termini intellettualmente onesti il panorama della crisi e non si è lasciato condizionare dalla sua visione della Chiesa che era la stessa che aveva animato Giovanni XXIII che prese la decisione misteriosa di convocare quel Concilio dopo il quale sarebbe arrivata la tempesta ma che non ebbe il tempo di accorgersene e di rendersi conto che i tanto vituperati "profeti di sventura" forse qualche ragione l'avevano e avrebbero dovuto essere ascoltati.
L'analisi fatta dal Riccardi è, come ho detto, abbastanza completa e onesta e addirittura si spinge a immaginare un quadro ancora più fosco alla luce del traumatico e misterioso evento delle "dimissioni" dimidiate di Papa Benedetto XVI (si veda op. cit., p. 157). In sede di conclusione però l'autore non può fare altro che appellarsi alle "sorprese" che possono scaturire dai doni di Dio e dalle correnti profonde della storia.
È un affidarsi alla speranza che certo ci trova consenzienti, nel modo più assoluto ma perché è accaduto tutto questo ? Perché un evento che si pensava avrebbe spalancato le porte di una nuova primavera della Chiesa ha inaugurato invece un lugubre inverno ?
Abbiamo la speranza, certo. Ma la domanda del "perché" è rimasta senza risposta.

E allora, proviamo a darla.

In Matteo, 22, 37-40 così è scritto: " Ama
Il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Ama il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la legge e i profeti".

Amore a Dio e al prossimo, si conclude sbrigativamente ma si trascura il "come te stesso" e si sbaglia di grosso. Forse l'evangelista parla di due comandamenti ma il secondo ne contiene uno importantissimo che contiene la misura dell'amore che si deve agli altri. O forse dell'amore a se stessi, Gesù, a cui si riferiscono quelle parole, non sentiva il bisogno di farne oggetto di un comandamento. Non si può non amare se stessi. In ogni caso, bisogna amare il prossimo nella stessa misura in cui ci si ama. Quindi bisogna amarsi. Se non ci si ama, non si amera' neppure il prossimo.

Ogni aggregato sociale e quindi anche la Chiesa cattolica presuppone l'amore ordinato di se stessi e un atteggiamento di fiducia e di promozione del proprio messaggio.  Se questo non c'è, subentra uno stato di disaffezione, di demotivazione e di demoralizzazione. È un fatto naturale, specie quando ci si guarda intorno e ci colpisce l'orgoglio che dimostrano gli islamici, i protestanti che, nella loro versione pentecostale, stanno invadendo l'America Latina, per non parlare degli ebrei o di altri.
Bisogna amarsi quindi e, nella stessa misura in ci si ama, si deve amare il prossimo a cominciare da quelli che sono più "prossimo" cioè dai più vicini, secondo il chiarissimo significato della parola.
Certo, siamo ancora "viatores" prima che il nostro ciclo di vita terreno si esaurisca con la morte e con il nostro ingresso nell'eternita'. Ma anche in questo cammino non dobbiamo perdere di vista che la felicita' è il fine della nostra vita, non solo quella che deriva dalla visione di Dio ma anche quelle gioie oneste che costellano la nostra vita, anche terrena.
E nella gioia c'è pace e riposo delle nostre facolta' nel possesso del Bene o di un bene creato. C'è quiete e non movimento.
E allora, visti i risultati di questa autopersecuzione, proviamo noi cattolici a riacquistare l'orgoglio della nostra Fede, fare apologia della stessa e a denunciare la "leggenda nera", diffusa dagli enciclopedisti del 700 che ci ha intrappolato nell'odio e nell'ingiustizia verso noi stessi e in un micidiale complesso di colpa che ci espone ad ogni tipo di manipolazione.

Giuliano Mignini -  Agenzia Stampa Italia

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