(ASI) Ogni albero ha una storia, che si cela tra le sue braccia contorte, tra le rugosità del suo corpo e le profonde venature della sua pelle. E ha una voce, che risuona dalle fibre sino al midollo, un carattere diverso per ogni specie, un odore, una memoria e, sì, anche un’anima tutta sua. Ci somigliano più di quanto pensiamo, gli alberi. Ecco perché il legno è materia viva e preziosa.
Una materia che respira, si muove, cambia e arriva finanche a parlarci. E lo fa attraverso il linguaggio più sublime, nobile e celestiale che esiste: la musica, quando da acero e abete si trasforma in violino, violoncello o chitarra grazie alla abilità, alla certosina pazienza ed alla infinita passione dei maestri liutai. Artisti e artigiani che, come diceva il grande violinista Yehudi Menuhin, danno vita ai più bei suoni di miele e d’oro che l’orecchio umano possa intendere.
Entrare in una bottega di liuteria è un’esperienza unica e multisensoriale: un profumo travolgente di legno, resine e vernici pervade l’ambiente illuminato da esili lampade poste sui piani da lavoro, tra sinuose sagome di strumenti appese qua e là in attesa della rifinitura e riccioli di legno che cadendo sul pavimento si incastrano creando forme bizzarre. Il tutto in una atmosfera onirica e surreale, ove la magia del legno che diventa musica si sposa con la poesia di un mondo lento e antico, fatto di pialle, scalpelli, spessimetri e sgorbie. Attrezzi d’altri tempi, gravidi d’una conoscenza secolare, che minuziosamente viene applicata da questi fabbricanti d’armonia affinché il suono di quello strumento possa divenire perfetto. Mentre fuori il tempo scorre spietatamente veloce ed ogni cosa pare obbedire all’insensata logica del tutto e subito, nella sua piccola bottega il liutaio dà vita, anima e voce a tutti quegli strumenti che, nelle talentuose mani dei loro suonatori, sapranno regalare emozioni incomparabili facendo vibrare le corde più profonde del nostro essere. Violini, viole, violoncelli e contrabbassi, ma anche chitarre (classiche, acustiche o elettriche), liuti e mandolini. Tutti gli strumenti ad arco e a pizzico vengono creati dalle abili mani di questi straordinari artigiani attraverso una sapienza tramandata nei secoli, ove mirabilmente si intrecciano falegnameria e restauro, arte e tecnica, manualità e ingegno, testa e cuore.
Da Andrea Amati, ritenuto il codificatore del metodo di costruzione dei violini, ad oggi il lavoro sostanzialmente non è cambiato: il liutaio progetta lo strumento, sceglie i materiali, costruisce la forma e crea la sua opera d’arte con gli stessi utensili di allora, che forse solo un po’ più precisi. E poi prepara le vernici, monta gli ottantuno pezzi, mette a punto il prodotto e lo commercializza, controllando dunque tutte le operazioni dall’inizio alla fine. Le pensa e le esegue.
Poco e niente è cambiato da quando, alla fine del Quattrocento, un anonimo “maestro delle viole” bresciano ne costruì tre per Isabella D’Este Gonzaga. Da allora tre grandi scuole di liuteria sono passate alla storia, facendo di Cremona, tra Sei e Settecento, il cuore pulsante di questa attività: quella degli Amati, quella dei Guarneri e soprattutto quella di Antonio Stradivari, entrato nella leggenda ancora in vita, tanto che i suoi figli, non altrettanto dotati nell’arte liutaria, tennero nascosta la data della sua morte per continuare a siglare strumenti a suo nome. Intorno alla perfezione dei suoi violini aleggiavano molti miti, come quello di una misteriosa alchimia di resine e vernici capaci di esaltare le proprietà acustiche del legno. In realtà Stradivari era un artigiano riflessivo e metodico, che tracciava su carta tutti i modelli da sviluppare in legno e siglava solo i disegni che avevano dato i risultati migliori. Il contorno dello strumento era basato su relazioni geometriche complesse, mentre il riccio, che rappresenta la firma del liutaio, rimandava alla scala a spirale realizzata dal Vignola. Ogni piccola sua azione aveva un perché, ed era studiata nei minimi dettagli. Ma il suo mito resiste, e a ben ragione, visto che il suo genio oltrepassò i novant’anni laddove la durata media della vita, all’epoca, si aggirava intorno ai trentacinque anni. E fino all’ultimo dei suoi giorni egli ha continuato a cercare, trovandola, una assoluta perfezione acustica che mai più è stata eguagliata.
Oggi, però, questo mestiere affascinante, antico ed unico al mondo rischia di venir spazzato via dallo tsunami Coronavirus. Sono moltissime, si sa, le attività che stanno gravemente subendo la crisi legata all’emergenza Covid, così come sono migliaia i posti di lavoro a rischio. Ma in questo contesto così complesso e preoccupante non si può e non di deve dimenticare l’artigianato artistico e tradizionale. Un settore, com’è stato più volte sottolineato dal Tavolo nazionale dell’artigianato artistico promosso da Confartigianato, che si trova a vivere una situazione di fragilità tale da comprometterne l’esistenza stessa. Ciò vuol dire che un intero patrimonio culturale, frutto di tradizioni artistiche e tecniche secolari che hanno contribuito alla definizione del made in Italy e dell’immagine dell’Italia nel mondo, rischia di scomparire definitivamente. I numeri, del resto, sono impietosi e parlano chiaro: oggi in Italia sopravvivono 930 negozi di strumenti musicali, mentre solo quindici anni fa erano 1340. La crisi legata al Coronavirus ha, dunque, dato il colpo di grazia ad un settore che era già in sofferenza. La cancellazione di due delle più importanti fiere internazionali nella prima metà del 2020, a Francoforte e Pechino, ha ulteriormente danneggiato i nostri liutai. Tant’è che a Cremona, patria della liuteria italiana, un laboratorio su due è in grave difficoltà, tra ordini annullati, giorni e giorni di lavoro buttati al vento e spese che continuano implacabilmente a correre. E dire che fino a pochissimo tempo fa quest’esclusivo ramo del made in Italy, un po’ di nicchia e romanticamente avulso dalla frenetica realtà che ci circonda, ci veniva invidiato dal mondo intero. Al punto che erano molti i liutai stranieri che proprio nel nostro Paese avevano deciso di aprire le loro attività. Oggi, invece, le saracinesche sono quasi tutte abbassate. Senza che nessuno, ai piani alti, senta il grido di dolore di una mesta litania ove riecheggiano, strazianti, le note di una marcia funebre annunciata. Perché la verità è che quest’antichissimo e prezioso mestiere rischia davvero di morire definitivamente, portandosi via un patrimonio di conoscenza e creatività dall’inestimabile valore.
Barbara Leone per Agenzia Stampa Italia
Fonte foto: Håkan Svensson (Xauxa), CC BY-SA 3.0 <http://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0/>, via Wikimedia Commons