(ASI) La giurisprudenza a cavallo tra gli ultimi anni del Novecento ed il nuovo millennio portò avanti il concetto oramai divenuto granitico che, anche fuori dalle fattispecie di reato ed a prescindere dal verificarsi di pregiudizi prettamente biologici (suscettibili di accertamento e valutazione medico-legale), ai congiunti andasse riconosciuto, in ragione dell’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2043 c.c., piena protezione risarcitoria dinanzi alle alterazioni negative della vita familiare, prodotte o dal decesso di un parente o da altri accadimenti, tali da incidere sulla famiglia o comunque su loro diritti costituzionalmente protetti.
Le suddette alterazioni negative vennero definite come detto sopra, ora danno esistenziale, ora danno edonistico, o ancora danno da lesione del rapporto parentale e/o danno da turbamento della serenità familiare.
A questo approdo seguì poi il superamento del requisito del reato originariamente richiesto per il risarcimento del danno morale ed infine, la costituzionalizzazione dell’art 2059 c.c. con una definitiva riorganizzazione del sistema risarcitorio, con la conseguenza che anche i pregiudizi morali alla stregua di quelli esistenziali divennero risarcibili a prescindere dalla qualificazione, in astratto, del fatto lesivo del congiunto alla stregua di un reato.
Dal danno morale costituzionalizzato si passò alla riorganizzazione del danno non patrimoniale, direttamente costituzionalizzando l’art 2059 c.c. (il danno non patrimoniale costituzionalizzato).
Il riconoscimento della risarcibilità della sofferenza dei prossimi congiunti raggiunse quindi totale affermazione nel momento in cui si riconobbe il valore costituzionale (ma sancito anche dalla CEDU) della famiglia.
La giurisprudenza (sulla scorta della dottrina francese), coniò la definizione, altamente evocativa, di danni riflessi, o di rimbalzo.

In particolare, le Sezioni Unite nel 2002 Cassazione Sez.Un. n. 9556/2002 del 01.07.2002hanno affermato che “sembra doversi riconoscere che la nozione dei c.d. danni riflessi o mediati non evidenzia una differenza sostanziale e/o eziologica con i danni diretti, ma sta ad indicare la propagazione delle conseguenze dell’illecito (consistente in un danno alla persona) alle c.d. vittime secondarie, cioè ai soggetti collegati da un legame significativo con il soggetto danneggiato in via primaria”.
Le Sezioni Unite, dunque, escludono che sussistano eziologie diverse, poiché anche la vittima ulteriore (il congiunto) è lesa in via diretta, ma in un diverso interesse di natura personale. Esse formulano, pertanto, il seguente principio di diritto:“Ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a seguito di un fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell’art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione del congiunto ad agire ‘iure proprio’ contro il responsabile”.
Come sottolineato da autorevole dottrina, per le Sezioni Unite, la formula “danni riflessi” è idonea a fondare il collegamento tra i danni subiti dal soggetto leso e dai congiunti non in termini di causalità, ma in termini di interesse leso e, quindi, di ingiustizia del danno, consistente nella lesione di un rapporto familiare “vittime primarie” – “vittime secondarie”, dato il carattere plurioffensivo dell’illecito, senza il rischio di una duplicazione abusiva del risarcimento dello stesso pregiudizio.
Tale autorevole dottrina continua spiegando che la valutazione compiuta dai giudici consiste nel riempire di contenuto la clausola generale della “ingiustizia” del danno, la quale rappresenta la dimensione oggettiva della posizione soggettiva violata, in modo da fondare così la legittimazione ad agire in astratto di questi soggetti-vittime secondarie. Proprio l’ingiustizia del danno, infatti, consente al nostro ordinamento di fornire sempre adeguata copertura giuridica al comune sentire, in modo da mantenere costante nel tempo la sua validità assiologica e di fornire allo stesso modo adeguato vestimento giuridico alle ragioni della giustizia sostanziale
In altre parole, l’ingiustizia del danno è la bussola o il paradigma rispetto al quale individuare il bene giuridico (soprattutto di rango costituzionale) di volta in volta tutelato e la cui lesione dà diritto ad adeguato ristoro. Nel caso di specie si tratta dell’interesse alla conservazione e non alterazione del rapporto familiare come esistente prima del fatto illecito del terzo. Tale danno da “lesione del rapporto familiare” è fondato direttamente sull’art. 29 Cost., esplicitamente richiamato dall’art. 2059 c.c.
Tale vulnus della famiglia, tuttavia, ha un rapporto di diretta dipendenza dal vulnus alla salute del leso primario, in quanto il danno ai congiunti può essere apprezzato sotto il profilo dell’ingiustizia con riguardo al danno subito dal leso.
Si può dire, pertanto, che, secondo l’id quod plerumque accidit, tra le due lesioni esiste un rapporto di corrispondenza biunivoca, in quanto, appunto, strettamente correlate.

Francesco Maiorca – Agenzia Stampa Italia

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