(ASI) Malgrado centinaia di milioni stanziati, sono saltati tutti i cronoprogrammi in Umbria. Il 2019 avrebbe dovuto vedere la rinascita della ex Ferrovia Centrale Umbra ed il passaggio dalla gestione da Umbria Mobilità a Rete Ferroviaria Italiana (Rfi). Eppure si continua a rimandare il passaggio a Rfi.
Professore cattivo o scolaro negligente?
A febbraio 2019 ci sarebbe dovuta essere la riapertura a pieno regime almeno della tratta ex Fcu tra Città di Castello e Perugia Ponte San Giovanni, e l’avvicinamento alla riapertura della tratta fino a Sansepolcro, oltre che l’avanzamento dei lavori su quella tra Perugia Ponte San Giovanni e Terni, con l’avvenuto adeguamento di circa 30 chilometri di linea. Altro aspetto importante: la riapertura, con tanto di rielettrificazione incorporata, dell’antenna metropolitana tra Perugia Sant’Anna e Perugia Ponte San Giovanni.
Invece la situazione è ben diversa. La tratta tra Perugia Ponte San Giovanni e Terni naviga ancora nelle incertezze, quella tra Città di Castello e Sansepolcro è stata responsabilmente scaricata alla Regione Toscana dalla Regione Umbria, malgrado in Toscana si sviluppino soli pochi chilometri. L’antenna per Perugia Sant’Anna invece vede timidi movimenti altalenanti, quasi come mancasse una reale convinzione di ciò che si sta facendo. Intanto, tra Perugia Ponte San Giovanni e Città di Castello si marcia con limite di velocità massima a 50 km/h.
Eppure una pioggia di milioni ha investito l’Umbria negli ultimi 20 mesi. La ex Fcu avrebbe dovuto beneficiare di non meno di 63 milione sbloccati dal CIPE durante il 2017, più altri 583 milioni stanziati nella seconda metà del 2018 di cui una parte non specificata (sembrerebbe almeno 134 milioni) destinati ufficialmente dalla Regione Umbria proprio alla ex Fcu.
Malgrado questi numeri, e l’inserimento da parte di Rfi della tratta tra Perugia ponte San Giovanni e Terni nell’asset delle ferrovie nazionali strategiche, il completamento del passaggio di consegne ad Rfi continua a slittare.
L’ultimo termine dato, quello di febbraio 2019, è stato ancora una volta smentito, negli ultimi giorni di gennaio, prima tramite la stampa, e poi dalle televisioni locali.
La causa? “Rfi ha chiesto documentazioni accessorie”. Questa la causa ufficiale, secondo la Regione Umbria sia di questo slittamento, che di molti avvenuti in precedenza (come ad esempio la tardiva riapertura in della tratta tra Perugia Ponte San Giovanni e Città di Castello). Inoltre, durante un recente servizio giornalistico, andato in onda sul Tg3 regionale, si è parlato anche di mancato passaggio ad Rfi quale concausa della limitazione di velocità a 50 chilometri orari.
Come riportato da più parti, e anche da un noto opinionista, autodidatta della satira locale, si lascerebbe intendere che Rfi assegnerebbe “compiti” a sorpresa alla Regione Umbria. Praticamente emergerebbe una sorta di rapporto tra una professoressa, severa e volitiva, ed un povero alunno bistrattato. Addirittura la “professoressa” Rfi punirebbe, secondo questa versione, il vessato “alunno” Regione Umbria con un limite di velocità arbitrario.
Documentazioni accessorie: necessità o speculazione?
Secondo Rfi, ma anche secondo fonti interne a BusItalia, che gestisce il servizio sulla ex Fcu, la versione secondo cui il limite di velocità dipende dal gestore dell’infrastruttura, non trova riscontro nei fatti. La limitazione di velocità sulla ex Fcu è data dalla mancanza di sistemi di sicurezza operativi, che impongono la condizione detta di “marcia a vista”, cioè una riduzione della velocità massima a 50 chilometri orari. Tale affermazione è peraltro supportata anche dalle norme dell’Agenzia Nazionale per la Sicurezza Ferroviaria (ANSF), liberamente consultabili online.
Ma allora perché i treni continuano a marciare a velocità medie commerciali di circa 25 o 30 chilometri orari? Cosa sono queste “documentazioni accessorie”?
Dal canto suo Rfi ribadisce elegantemente la piena fiducia nella Regione Umbria, e nella sua dirigenza, e conferma la volontà di farsi carico dell’infrastruttura, senza peraltro entrare nel merito specifico di quali documentazioni accessorie si tratti. Mentre dalla Regione Umbria fanno sapere che sarà tutto pronto per il prossimo passaggio delle consegne.
Tutto chiaro dunque? In realtà no, poiché ancora non è chiaro ne cosa siano, né a che si riferiscano tali “documentazioni accessorie”.
I più informati addetti ai lavori parlerebbero però di due possibilità.
La prima legata agli ultimi mesi dell’estete 2017, periodo di inizio del percorso di passaggio di gestione della ex Fcu da Umbria Mobilità ad Rfi. All’indomani della firma dell’accordo di cessione della ex Fcu ad Rfi, a fine giugno 2017, sarebbero stati assegnati dei lavori lungo la ex Fcu per un totale di alcune decine di milioni (le cifre esatte sarebbero molto variabili). Il tutto sarebbe avvenuto dopo sostanzialmente quasi un decennio di inattività, proprio all’indomani della cessione ad Rfi, e con affidamento diretto dei lavori. Secondo queste fonti, il problema nascerebbe proprio nella difficoltà di certificare le aziende, e la qualità dei lavori eseguiti dalle aziende, oltre alle procedure di affidamento.
Un’altra ipotesi, che non escluderebbe necessariamente la prima, pone l’attenzione sulla ex Fcu in quanto patrimonio immobiliare, più che in quanto infrastruttura. Secondo questa ipotesi la gestione della Regione Umbria della ex ferrovia concessa, sarebbe stata simile a quella della gestione di una “palla al piede”. I meglio informati riferiscono di un incontro avvenuto nel 2015 a Perugia in cui la Regione sarebbe stata sollecitata a valorizzare il patrimonio infrastrutturale ed immobiliare proprio da un dirigente di Rfi.
Del resto non sarebbe la prima volta che la ex Fcu dimostra di rappresentare un patrimonio economico ed immobiliare tra i più prestigiosi e importanti della regione. Secondo quanto confermato anche dall’ex amministratore della stessa ex Fcu, Vannio Brozzi, la suddetta concessa era “la gallina dalle uova d’oro” la cui acquisizione in Umbria Mobilità consentì di ripianare i conti della perugina Apm, gestore al tempo sia dei servizi su gomma nella provincia di Perugia, che del MiniMetrò, cioè l’economicamente fallimentare people mover di Perugia. L’inserimento della ex Ferrovia Concessa in Umbria Mobilità consentì effettivamente, dati alla mano, di gestire i fondi spalmando i debiti delle precedenti aziende della mobilità. Questo però pose le basi per il depauperamento della ex Fcu, con un servizio sempre più limitato ed infrastrutture sempre più precarie, fino al punto di renderne “necessaria la chiusura per interventi non più rimandabili”, come dichiarato dall’assessore Giuseppe Chianella a settembre 2017.
Pertanto la ex Fcu sarebbe passata da “gallina dalle uova d’oro” della fine degli anni 90, a “vacca da mungere” del primo decennio del XXI secolo, per finire come “carcassa spolpata” di dubbia utilità dell’ultimo periodo di esercizio con Umbria Mobilità (come sarebbe emerso al tempo dalle dichiarazioni di alcuni dirigenti regionali nel corso di una pubblica assemblea ad Umbertide).
Decaduto il servizio, e deteriorate le infrastrutture, l’unica altra dote rimasta alla ex ferrovia concessa sarebbe proprio la sua mera esistenza in quanto patrimonio immobiliare. Pertanto, secondo alcuni addetti ai lavori, esisterebbe la possibilità si stia letteralmente tentando, mediante continui ritardi, di innalzare le quotazioni di tale patrimonio immobiliare. Il gruppo Agenzia Stampa Italia rimane naturalmente a disposzione per qualsiasi replica o chiarimento al riguardo.
Al netto però di queste due teorie, che solo teorie sono al momento, rimane il fatto che, come lamentato da Carlo Reali dell’associazione “Il Mosaico”, “servono 4 ore per fare da Perugia a Terni”, mentre come riportato da Gianni Martifagni della Cisl Fit, “l’avere la ex Fcu gestita da BusItalia anziché da Trenitalia, rende difficile costruire orari che consentano valide coincidenze tra i treni delle due aziende”. Per Enzo Benda, di Confconsumatori, “la Regione deve avere coraggio di investire sia nelle infrastrutture esistenti, che nel ripristino di quelle chiuse, così come dovrebbe avere il coraggio di investire convintamente in nuove infrastrutture ferroviarie”.
Nel mezzo di tali considerazioni, la quotidiana routine del personale, che ancora lavora con moduli di carta consegnati a mano, e dei passeggeri, che aspettano in stazioni prive di tettoie, al freddo e alla pioggia, per salire su mezzi che viaggiano a velocità commerciali inferiori a quelle di un ciclomotore, spesso senza nemmeno avere a disposizione una biglietteria in cui acquistare il titolo di viaggio.
Alexandru Rares Cenusa – Agenzia Stampa Italia