(ASI) L’interismo e la juventinità sono due identità sportive che non possono coesistere, inutile girarci attorno. Quando ci si identifica nell’una filosofia appare inevitabile scansare l’altra.
Sono pochi i casi in cui la convivenza in materia di tifo calcistico è stata possibile. Quello più eclatante riguarda Giovanni Trapattoni, allenatore che ha saputo vincere sia all’ombra della Mole Antonelliana, sia lungo i Navigli.
Il Trap ha indossato benissimo sia l’abito bianconero, sia quello nerazzurro, tornando addirittura a Torino alla fine del ciclo milanese, corteggiato da Boniperti come neanche Montecchi seppe fare con la dolce Capuleti. Ottimi risultati sono stati ottenuti anche da Boninsegna, interista fino al midollo, che con la maglia bianconera ha sollevato al cielo il primo trofeo europeo conquistato dalla Vecchia Signora. È storia recente il cambio di maglie e città di Asamoah e Cancelo che, almeno per il momento fanno ritenere soddisfatti sia Spalletti che Allegri.
Marcello Lippi, passato all’Inter nel 1999 dopo anni di vittorie in bianconero, fu esonerato da Moratti senza alcun rimpianto. Il “Paul Newman” di Viareggio ha sempre detto di aver trovato molte difficoltà a Milano perché nessuno accettava la sua juventinità!
Forse sarebbe stato difficile il contrario, d’altronde il compianto Peppino Prisco diceva tra il serio e il faceto, con quella sua ironia corrosiva che dopo aver stretto la mano ad uno juventino contava sempre le dita, per timore che gliene avessero portata via qualcuna.
Un matrimonio cominciato male, e finito peggio quello tra Lippi e la Beneamata: quando se ne tornò a Torino, riprese a vincere, felice e soddisfatto della sua juventinità mal digerita negli ambienti nerazzurri.
Viene da chiedersi cosa significa juventinità?
Si tratta di una filosofia calcistica che porta alla stretta convinzione di appartenere,- volendo citare le parole di una leggenda come Boniperti-, ad un ambiente in cui vincere non è importante ma è l’unica cosa che conta.
Nell’Interismo, al contrario, non c’è nulla di scontato fino al fischio finale. Non ci si sente mai perduti, si apprende come risorgere dalle proprie ceneri. Ed allora se il Tottenham è in vantaggio a cinque minuti dalla fine, non è detto che condurrà in porto la vittoria, perché in fondo, per l’interismo, cinque minuti sono un’eternità.
L’interismo concede momenti molto simili ad un vero e proprio delirio sportivo, come capitato a Roma contro la Lazio in occasione dello spareggio per l’accesso alla Champions League, o contro la Sampdoria nel 2004/05.
Inter e Juventus, due squadre contrapposte su tutti i fronti tanto che portarono Gianni Brera a definire la sfida come il “derby d’Italia”.
Tante differenze, alcune sottolineate in maniera chiara da un campione del mondo come Marco Tardelli, nel suo libro “Tutto o niente”, che attengono l’organizzazione delle società o la mentalità di squadra, di compattezza “all’Inter quasi inesistente, se paragonata a quella della Juventus”.
come sottolinea uno che da calciatore chiamano "Schizzo" per la sua magrezza.
Differenze anche nella gestione del gruppo, che porteranno Tardelli a definire Ilario Castagner “un bravo tecnico che si ritirava in camera sua alle 20:30 subito dopo cena, che non ci controllava, non cercava di tenerci uniti, non lavorava sul gruppo come ero abituato a veder fare a Torino”, insomma un allenatore che puntava alla autogestione, alla responsabilizzazione, ad una crescita individuale.
La juventinità porta, quasi certamente, salvo casi rari ed eccezionali, leggasi Maifredi o Del Neri, alla regolarare e costante vittoria, a sette scudetti di fila conquistati con disarmante naturalezza, mentre l’interismo porta a memorabili stagioni, indimenticabili, fermamente scolpite nella memoria come quella del Triplete di Mourinho, non a caso “Special One”.
Due modi di vincere che non hanno nulla in comune, se non la grandezza delle squadre, delle piazze, e la gloriosa storia che le contraddistingue.
Nessuno potrà mai stabilire quello corretto, l’uno non potrà mai accettare quello dell’altro. Ci saranno sempre polemiche, tensioni, dispetti di mercato, come il “caso-Bergkamp” nel ‘93 o il “double” del 2006 con Ibrahimovic e Viera.
A proposito di dispetti di mercato, pare che qualcuno molto vicino agli ambienti nerazzurri abbia sognato Vrsaljko nell’intento di tramutarsi in Pistone, e Cancelo in Roberto Carlos.
Pistone è stato un buon calciatore, ma ben lontano dai livelli raggiunti da Roberto Carlos.
Dopo essersi risvegliato sudato e tremante, il nostro protagonista ha sorseggiato un caffè ed ha preso contatto con la realtà, che vede Vrsaljko, almeno per il momento, tra i migliori terzini del panorama calcistico internazionale. Nonostante questo considerevole aspetto, per evitare equivoci, ha provveduto a far ripiegare le maglie di Pistone e, per non lasciare nulla al caso, anche quelle di Centofanti.
Ma ricordate, miei cari lettori, la notizia è di prima mano, molto ufficiosa. Resti tra noi, confidenziale, quindi: zitti, zitti…
Raffaele Garinella- Agenzia Stampa Italia
(Twitter: @ga_raf)