Gentilissimo Direttore, si assiste ad una progressiva trasformazione delle “storiche” modalità comunicative ed informative giornalistiche e televisive, che mette in crisi, soprattutto, molti capisaldi dell’attività giornalistica tradizionalmente intesa. Internet sembra rivestire un ruolo di player e competitor nel contempo, ponendosi come nuovo motore della comunicazione. Cosa pensa in merito.
Risposta:
E’ vero, internet e i social hanno trasformato il modo di fare informazione. Parlando da direttore di quotidiano, oggi i siti web, le pagine Facebook e le applicazioni per gli smartphone rappresentano la prima interfaccia che un lettore ha con il proprio giornale, un tempo rappresentata dall’edicola. E’ dunque un terreno che va presidiato con serietà e attenzione. Nel rapporto tra il web e il giornalismo c’è però una controindicazione: oggi, con i social, tutti si sentono un po’ ‘giornalisti’, e si abbeverano a informazioni fasulle senza senso critico, senza controllo delle fonti. Spesso le producono anche. E’ il circolo vizioso delle ‘fake news’, che sono sempre esistite ma il web ha indubbiamente aumentato. Segnale, non l’unico, che suggerisce come il cambiamento tecnologico vada governato.
Domanda:
Il quotidiano “Il Tempo” è uno dei giornali che hanno fatto la storia del giornalismo italiano e, certamente, vorrà cavalcare la tigre della crisi, dimostrando, attraverso l’apporto della creatività e dell’inventiva, che il giornalismo non può tramontare, anche nella sua classica espressione, che è quella della forma cartacea;
Risposta:
Sono convinto che per il giornale valga la stessa regola del libro: il cartaceo può ancora avere la sua ragione di vita, basta individuare la direzione ed avere un’idea ben chiara del prodotto che si vuole offrire al lettore. Noi, in questi anni, abbiamo lavorato per portare in edicola un giornale molto costruito sulle cose, sulle storie vere, inchieste su cui gli italiani potessero ritrovare i perché sui problemi che affrontano tutti i giorni: dagli autobus che non funzionano fino alle occupazioni dei palazzi, il degrado delle periferie, il pericolo terrorismo e l’integrazione difficile. E anche gli editoriali, i commenti non sono mai ligi al politicamente corretto, ma sono un sasso sul vetro del pensiero dominante. Queste scelte, difficili, ci hanno dato ragione sul piano delle vendite, pur nelle difficoltà che attraversa il mondo dell’editoria.
Domanda:
Si afferma, da più fonti, che la crisi economica italiana stia per essere padroneggiata e che ci si diriga verso un miglioramento. E’ una notizia a cui Lei dà conferma? E che cosa, a Suo parere, fa pensare al miglioramento reale dell’economia?
Risposta:
Ci sono dei dati positivi, sul Pil, nel mercato del lavoro, le esportazioni, che derivano per lo più dall’ingranaggio della ripresa che negli altri Paesi si è già messo in moto. In Italia, però, non direi che ci sia un miglioramento di sistema. Cresciamo meno della media Ue. La disoccupazione giovanile è un dramma. In Italia un giovane lascia la famiglia d’origine a circa 31 anni, sei anni in più rispetto alla media europea. E poi c’è la pressione fiscale: siamo al secondo posto, dopo la Germania, per le tasse pagate dalle imprese. Se a questo associamo l’enorme burocrazia che c’è da noi, capiamo come sia difficilissimo creare ricchezza, lavoro e opportunità.
Domanda:
Lo scenario politico italiano ripropone gli stessi schieramenti e nulla di nuovo si scorge all’orizzonte. Forse, da parte dei giovani, è venuta meno la fiducia nell’impegno politico, considerato, peraltro, che essi lasciano la nostra nazione per poter lavorare, dimostrando di non volersi cimentare con l’impegno della ricostruzione del tessuto socio- politico italiano?
Risposta:
Il fatto che i giovani lascino il nostro Paese è un problema dalle conseguenze gravi. Da un lato ci sono gli aspetti umani e sociologici di famiglie che vedono figli, fratelli, nipoti andarsene lontano con tutte le conseguenze del caso nella solidità dei legami. Dall’altro lato, poi, ci sono gli aspetti economici: i giovani italiani che se ne vanno costano 1 punto di pil ogni anno, pari più o meno a 14 miliardi. Per quanto riguarda l’impegno politico, credo che il disinteresse dei giovani sia dovuto a tre fattori. Il primo è la mancanza di meritocrazia, che purtroppo in Italia riguarda anche la politica. Poi c’è l’evaporazione delle culture politiche, che un tempo scaldavano gli animi di tanti giovani e davano loro uno scopo, un ideale cui dedicare una parte di vita. Infine le prove indegne offerte dalla classe dirigente parlamentare.
Domanda:
Appare evidente che, nell’epoca contemporanea, sono gli uomini e non le ideologie a determinare le vittoria di uno schieramento politico. Si può parlare di personalizzazione della politica?
Risposta:
Possiamo parlare di personalizzazione della politica per il fatto che oramai i partiti si identificano non con un gruppo dirigente ma con il leader. E spesso dietro di lui non c’è molto altro. Sul fatto che siano gli uomini a determinare la vittoria di uno schieramento politico, non sono molto d’accordo: oggi vince chi sa meglio identificarsi con gli istinti del popolo. Questo da un lato è un bene, perché il popolo va ascoltato. Dall’altro è un boomerang, perché agli elettori va anche offerto un orizzonte, una prospettiva di evoluzione economica sì, ma anche sociale e culturale.
Domanda: Genera paura la crisi del Nord Corea e la minaccia di attacchi nucleari all’ America e all'Europa . Il suo punto di vista in proposito.
Risposta:
Mi preoccupa questa “retorica della distruzione reciproca”, che vedo esprimere sia da Trump che da Kim. Tuttavia credo che la coscienza collettiva si sia evoluta rispetto alla Seconda Guerra Mondiale e perciò sono portato a pensare che l’escalation non arriverà ad un punto irreversibile.
Domanda:
Considerato che il nostro giornale è rivolto agli italiani che vivono in America, riteniamo opportuno chiederLe cosa pensa dell'attuale governo di Trump. Quali sono, a Suo avviso, gli aspetti che maggiormente connotano una discontinuità storica di Trump rispetto ai suoi predecessori?
Risposta: Servirebbe una pagina per rispondere! Direi innanzitutto lo smottamento che la sua presidenza ha creato nelle gerarchie del partito repubblicano e la disinvoltura con cui su certe materie, vediamo la riforma fiscale, si trova a dialogare con i democratici. I quali, contrariamente a quanto detterebbe il dogma liberal, non si trovano a disagio nel confronto con il “nemico”. Trump, di certo, non ha l’appeal né l’autorevolezza che il ruolo presidenziale richiederebbe. Ma è innegabile che la sua imprevedibilità possa avere delle punte geniali.
Domanda: Un Suo messaggio ai cittadini italo - americani e ai lettori di “America Oggi”.
Risposta: Siate orgogliosi della vostra identità e, soprattutto, mobilitatevi per difendere i simboli di Cristoforo Colombo che l’oscurantismo ipocrita della sinistra americana vorrebbe abbattere.
Intervista di Biagio Maimone per America Oggi, si ringrazia l'autore che che ci ha concesso gentilmente la pubblicazione su www.agenziastampaitalia.it