(ASI) Per le grandi esclusive di Agenzia Stampa Italia abbiamo avuto l’onore ed il piacere di tornare ad intervistare Sua Eccellenza Mai Alkaila, ambasciatrice palestinese nel nostro Paese. Con la rappresentante del popolo palestinese abbiamo analizzato la difficile situazione in cui vive il suo popolo e le prospettive per la questione palestinese in seguito all’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati uniti d’America. Tra i temi toccati anche il diverso trattamento riservato agli ebrei morti durante la II Guerra mondiale e i tanti palestinesi uccisi dagli israeliani dal 1947 ad oggi.

La situazione in Medio Oriente al momento appare statica, dopo anni di rinnovate tensioni che hanno scosso, anche al proprio interno, il mondo arabo-islamico. Dopo la conclusione del doppio mandato di Barack Obama, sembra che tutti i principali attori regionali siano in attesa di capire cosa succederà ora con Donald Trump. L'Autorità Nazionale Palestinese cosa si aspetta dalla nuova amministrazione americana? Ritiene che il nuovo presidente possa contribuire meglio del suo predecessore al processo di pace, o finirà per dar seguito alla volontà di riconoscere Gerusalemme come capitale israeliana?


Il presidente degli Stati Uniti è l'espressione democratica di un popolo che rispettiamo. Avevamo sperato in una posizione più ferma e concreta del presidente Obama e della sua amministrazione ed ora, dopo l'elezione del presidente Trump, ci auguriamo un suo impegno più incisivo per raggiungere la pace nel rispetto delle Risoluzioni Onu e della legalità internazionale, cioè attraverso la soluzione dei due Stati: da una parte lo Stato d'Israele, dall'altra quello palestinese sui Territori Palestinesi Occupati nel 1967 con Gerusalemme Est capitale.



Alcuni analisti internazionali per migliorare le condizioni di vita del popolo palestinese auspicano una alleanza tra palestinesi ed ebrei mizrachi per contrastare l’egemonia degli askenaziti che di fatto detengono il potere e si comportano come dei veri e propri colonizzatori. Secondo lei questa è una strada praticabile?


La questione interna della società israeliana è una questione che riguarda gli israeliani, noi palestinesi chiediamo ai diversi governi israeliani di impegnarsi seriamente e di attenersi concretamente alle decisioni della comunità internazionale mettendo fine all'occupazione della nostra terra, dove costruire uno Stato di Palestina sovrano, libero ed indipendente.



Dopo il fallimento delle Primavere Arabe e, di conseguenza, anche della strategia di Hamas di agganciare la lotta per il riconoscimento della Palestina al fondamentalismo islamico, ritiene che per al-Fatah e le altre formazioni laiche ci sarà una nuova stagione di ritrovato consenso popolare anche a Gaza?



Il conflitto israelo-palestinese è un conflitto politico ed è una nostra legittima lotta per i nostri diritti nazionali. Respingiamo qualsiasi tentativo di trasformarlo in un conflitto religioso. Su questo principio è nato al-Fatah nel 1965 e su questo principio continuerà la sua lotta fino al raggiungimento del nostro obiettivo: la libertà e l'indipendenza. Vorrei ribadire che al-Fatah tuttora è la maggiore organizzazione palestinese anche a Gaza.



Tutti gli anni a gennaio il mondo si ferma per ricordare gli ebrei morti nella II Guerra mondiale. Perché non viene fatta la stessa cosa per i tanti palestinesi, anche donne e bambini, trucidati dal 1947 ad oggi?

E' giusto che il mondo ricordi gli ebrei sterminati nella II Guerra Mondiale perché atrocità simili non si ripetano. Altrettanto giusto e doveroso sarebbe che il mondo ricordasse le migliaia di vittime palestinesi, tra cui donne e bambini, trucidati per mano delle forze di occupazione israeliana.



L’Onu ha più volte ribadito la volontà di arrivare ricostruzione di uno Stato di Palestina entro i confini precedenti al 1967, con capitale a Gerusalemme Est. Qual è la strategia di sviluppo palestinese per il futuro?

Nel 1947 l'Onu ha emanato la Risoluzione 181 per la spartizione della Palestina storica in due Stati, Israele e Palestina. Subito dopo è nato lo Stato di Israele mentre lo Stato di Palestina non ha ancora visto la luce. Questo Stato che nascerà, speriamo molto presto, sarà uno Stato democratico e avanzato perché il popolo palestinese ha capacità e risorse per creare uno Stato sviluppato e avanzato.



L’Italia fino agli anni ’90 ha sempre avuto una politica molto filo araba e vicina ai palestinesi, basti pensare all’operato dei Mori, degli Andreotti e dei Craxi. Da 20 anni a questa parte invece la classe politica italiana sembra essersi posta su posizioni filo israeliane. Lei come giudica l’atteggiamento dei politici italiani ed il governo palestinese come giudica l'iniziativa diplomatica dell'Italia volta a spingere per la soluzione politica dei due Stati indipendenti?


Voglio ringraziare l'Italia, i governi ed il popolo italiano che hanno sempre sostenuto la giusta causa del nostro popolo e mi auguro che l'Italia continui a sostenere questa causa. Voglio ringraziare l'Italia per il suo voto a favore del riconoscimento dello Stato della Palestina alle Nazioni Unite nel 2012 ed il Parlamento italiano che ha votato la mozione che impegna il governo italiano a riconoscere formalmente lo Stato di Palestina. Voglio ringraziare l'Italia per il continuo sostegno politico ed economico al nostro popolo.



Cosa significa oggi nascere e vivere in Palestina?


Nascere e vivere in Palestina è per noi un grande orgoglio, l'orgoglio di essere palestinesi nati e vissuti nella terra della pace dove è nato il Signore della pace, una terra bellissima sull'altra sponda del Mediterraneo, culla delle tre religioni monoteiste, che ritornerà il prima possibile al suo splendore.


Fabrizio Di Ernesto -  Agenzia Stampa Italia


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