(ASI) Roma - È la prima volta che Papà Francesco entra in un ateneo pubblico romano ed ha scelto l'Università degli studi di Roma tre. Si è incontrato con studenti, professori e personale; il rettore Mario Panizza ha dato il benvenuto al Pontefice, dopo avergli mostrato l'area universitaria.

L'Università Roma tre ha 25 anni di vita ed è una delle più giovani della capitale italiana, sorta in una zona romana pienamente industriale intorno al 1992.

Nella sede di via Ostiense, Francesco saluta la folta rappresentanza di giovani e risponde alle domande di quattro studenti, parlando a braccio affiancato da una traduttrice nel linguaggio dei segni, per i non udenti.

Il Papà è felice di intrattenersi su temi a lui cari, come la violenza nel parlare, nell'esprimersi perdendo anche la buona educazione del saluto. "La violenza è un processo che ci fa ogni volta più anonimo, toglie il nome. Anonimi gli uni verso gli altri. I rapporti sono un po' senza nome...ti saluto come se fossi una cosa. Questo cresce sempre di più e diventa la violenza mondiale. Nessuno può negare oggi che stiamo in guerra, questa è una terza guerra mondiale a pezzetti. Bisogna abbassare un po' il tono, parlare meno, ascoltare di più".

Proprio l'Università deve diventare il luogo del dialogo nelle differenze, sfruttando la concretezza allontanandosi dalla liquidità sociale ed economica. L'Università è il luogo dove c'è posto per tutti, ognuno con il proprio modo di pensare. "Alcune università sono di élite, considerate ideologiche dove tu vai e t’insegnano una linea e ti preparano ad essere un agente di questa ideologia. Questa non è università, non è luogo di dialogo, di confronto, di rispetto, di ascolto, di amicizia e anche di gioco". Papa Francesco ha ribadito con forza che si deve cercare l'unità non l'uniformità, infatti il pericolo di oggi è una "globalizzazione nella uniformità".

"La pazienza del dialogo. Dove non c'è dialogo, c'è violenza. Ho parlato di guerra, è vero stiamo in guerra, ma le guerre non incominciano là, ma incominciano nel nostro cuore. Quando io non sono capace di aprirmi agli altri, di parlare con altri: lì incomincia la guerra".

Nessuna globalizzazione sarà possibile solo in senso commerciale se non rispettiamo le diversità di ognuno di noi. Il santo padre sottolinea come solo la poliedricità possa garantire il successo dei tentativi di avvicinare le popolazioni di tutto il mondo. Se ogni popolo, cultura, persona, mantengono la loro identità, allora possono lavorare insieme per un mondo unito, ma che non sia uniforme.

Papa Francesco mette in guardia i giovani studenti da tanti fenomeni nuovi che vanno conosciuti per comprenderne le conseguenze. Uno di questi è la rapidazione, termine che tenta di descrivere la velocità nel mondo della comunicazione. Citando Baumann, il Pontefice segnala il rischio che un modo iperveloce di comunicare possa nascondere l’assenza di contenuti, la cosiddetta liquidità. Da qui la sfida, secondo Bergoglio, di trasformare questa inconsistenza in concretezza. Anche per combattere la liquidità economica, che toglie consistenza al lavoro e priva tanti giovani di lavoro vero, al punto tale da spingerli in numerose dipendenze o ad arruolarsi, addirittura in eserciti terroristi. Ecco perché insistente tanto sulla concretezza. L’Europa è sempre stata una terra di migranti che “artigianalmente” hanno costruito un intero continente, che è sempre stato all’avanguardia in tutti i campi. Oggi invece l’Europa ha paura delle persone di altra cultura. Le migrazioni non sono un pericolo ma solo “una sfida per crescere”. Ed il Papa ricorda il suo doloroso viaggio a Lesbo, con l’incontro tanti migranti spinti dalla fame o dalla guerra, comunque sempre dalla disperazione di non avere un presente ed un futuro. Da qui il monito e l’invito ai potenti a non sfruttare i deboli, gli emarginati, quelli che hanno bisogno. Il “marre nostrum” si è trasformato in un cimitero. Il vescovo di Roma ha invitato gli studenti a ricordare la tragedia che si sta compiendo in occasione dei viaggi della speranza, nella loro preghiera personale.

Quando il fenomeno migratorio è iniziato il Papa aveva sentito questo impulso di andare a Lampedusa, ora, constata, il fenomeno è divenuto quotidiano. Questa realtà ci spinge semplicemente ad accogliere i migranti, prima come fratelli e sorelle, in quanto uomini e donne come noi. Secondo papa Bergoglio tutti devono fare qualcosa e, pur riconoscendo che bisogna accogliere secondo le proprie possibilità, il Pontefice invita tutti a collaborare, soprattutto sul fronte dell’integrazione, per consentire ad ognuno di imparare una lingua, trovare un lavoro, abitare in un luogo degno.

In quest’accoglienza dell’altro, il Papa vede una grande ricchezza per chi accoglie, perché riceva una cultura nuova, un qualcosa che ancora non ha. Una ricchezza che nasce dallo scambio delle culture e che consente di evitare situazioni drammatiche come quella del Belgio, in cui i protagonisti di attentati sanguinosi erano addirittura figli di migranti nati nel paese di destinazione, ma mai integrati.

Papa Francesco ha lasciato l’assemblea con una sintesi, quasi un promemoria in questi tempi di migrazioni, per evitare che la paura ci blocchi di fronte a fenomeni ormai consueti: accogliere, accompagnare, integrare. Quando si dà e si riceve cultura non c’è pericolo con le migrazioni.

Ilaria Delicati – Agenzia Stampa Italia

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