(ASI) – Settant'anni fa, il 6 agosto 1945, alle 8:15 del mattino, il mondo entrava nell'era atomica. A quell'ora infatti il bombardiere americano Boeing B-29 "Superfortress" chiamato "Enola Gay", in onore della madre del suo comandante, Paul Tibbets, sganciava la bomba atomica sulla città giapponese di Hiroshima.
Si trattava del primo ordigno atomico della storia espressamente costruito per uso bellico. Soprannominata "Little Boy", era un ordigno del peso di circa 4 tonnellate ed era armata con uranio arricchito all'80%, con una spoletta a tempo che ne permetteva l'esplosione ad un'altezza dal suolo predeterminata. L'effetto fu devastante. Esplodendo ad un altezza di 580m provocò la morte istantanea di 80.000 persone, mentre quasi 13.000 furono i dispersi per lo più vaporizzati dall'esplosione oppure fusi con la materia circostante. Più di 40.000 furono i feriti al momento, ma in seguito, a causa della natura ritardante delle ustioni nucleari, e dell'avvelenamento radioattivo in generale, le vittime superarono le 250.000 e quasi altrettanti furono i menomati che nel corso degli anni successivi svilupparono malattie invalidanti riconducibili all'esposizione all'esplosione atomica di Hiroshima. Tre giorni dopo, il 9 agosto, il massacro si ripeteva nella città di Nagasaki. Sta volta il B-29 "Boxcar" colpì con un'arma nucleare al plutonio chiamata "Fat Man". Si trattava di un ordigno simile al precedente, tranne che per il tipo di materiale nucleare con cui era armato, del peso di 4,5 tonnellate, esplose a 470 dal suolo di Nagasaki. Sta volte il computo delle vittime fu di 50.000 morti, e 25.000 feriti. Nonostante la potenza superiore di questa seconda arma, alcune approssimazioni nel puntamento da parte dell'equipaggio americano sul bombardiere, e la geografia collinosa di Nagasaki, evitarono una strage che avrebbe potuto essere ben maggiore di quella ad Hiroshima.
La domanda sorge spontanea. Cosa spinse gli Stati Uniti a far ricorso a una simile arma di cui ben conoscevano il potere distruttivo? Il "Progetto Manhattan", ossia l'operazione militare che portò alla fabbricazione delle prime atomiche americane, era stato avviato già a partire dal 1942, in seguito cioè alla certezza che i fisici tedeschi stessero lavorando alla costruzione di armi nucleari. Con il "Progetto Manhattan", gli Stati Uniti avviarono una vera e propria corsa agli armamenti con la Germania per poter sganciare la prima atomica sull'Europa e porre fine al regime nazista tedesco. A queste considerazioni di massima va poi aggiunta l'innegabile verità che molti degli scienziati che lavorarono al progetto erano di origini ebraiche, molti dei quali tedeschi costretti a lasciare la Germania in seguito alle persecuzioni naziste. Logico quindi che la realizzazione dell'arma che "avrebbe posto fine a tutte le guerre", fosse motivata anche da sentimenti e revanscismi personali di coloro che presero parte alla sua realizzazione. La guerra in Europa cessò invece prima che il "Progetto Manhattan" potesse mettere a punto la prima atomica sperimentale. Chiamata "Trinity", questo primo ordigno nucleare sperimentale fu fatto detonare ad Alamogordo, nel New Mexico, il 16 luglio 1945, cioè due mesi dopo la resa tedesca.
A questo punto gli Stati Uniti affrontarono tutta una serie di considerazioni economiche, strategiche e geopolitiche che ne convinsero la leadership e il presidente Harry Truman, a usare tale arma contro il Giappone. Da una parte gli alti costi del programma: 2 miliardi di dollari dell'epoca, in larga parte spesi per la costruzione delle strutture necessarie e per la produzione del materiale fissile, ossia Uranio 235 e Plutonio. Inoltre le componenti della bomba "Little Boy", che il 6 agosto sarebbe stata sganciata su Hiroshima, furono spediti alla base di Tinian, l'aeroporto da cui operavano le Superfotezze statunitensi, già durante la prima settimana di luglio, cioè ben prima del test di Trinity. Strategicamente inoltre, dopo la presa di Okinawa, costata oltre 70.000 vittime tra gli americani e quasi 150.000 tra i difensori giapponesi, era chiaro che man mano che le truppe statunitensi si fossero avvicinate al Giappone, la resistenza da parte dei difensori sarebbe stata sempre più eroica, tenace e disperata. All'epoca si stimò un numero di morti superiore al milione considerando le vittime tra i soldati di ambo le parti e i civile giapponesi. Inoltre a livello geopolitico era orma chiaro che tramonta l'era degli imperi in lotta (britannico e francese da una parte, tedesco, italiano e giapponese dall'altra) il mondo sarebbe stato suddiviso in due blocchi distinti e contrapposti secondo quanto emerso dagli accordi di Jalta del febbraio 1945. Proprio in considerazione di ciò l'obbiettivo dell'allora Urss era di aprire un secondo fronte contro il Giappone onde poter avanzare e conquistare quanto più territorio possibile sul modello di quanto avvenuto nell'Europa dell'est e in Germania. Da parte loro gli Stati Uniti non intendevano permetterlo e quindi l'obbiettivo americano fu di fa cessare il conflitto il più rapidamente possibile.
Tutte queste considerazioni spinsero dunque per l'utilizzo delle due atomiche su Hiroshima e Nagasaki. A queste poi vanno aggiunte due considerazioni storiche. La prima di carattere pratico. I due bombardamenti nucleari non avevano in fondo provocato devastazioni molto diverse da quelle subite nel corso dei raid aerei degli alleati dalle città tedesche, italiane e giapponesi. Addirittura la campagna di bombardamenti su Tokyo condotta con largo uso di ordigni incendiari espressamente impiegati in virtù della gran quantità di costruzioni in legno presenti nella capitale giapponese, avevano portato a un numero di vittime largamente superiore. Ciò che fece la differenza, e che inseguito spinse a una ferma condanna dei bombardamenti nucleari, e perfino a un certo rammarico da parte statunitense, fu la portata della distruzione. Ossia il fatto che un unico aereo, con un'unica bomba, aveva causato una devastazione paragonabile a quella di centinaia di aerei e di centinaia di migliaia di bombe. Ciò portò alla successiva presa di coscienza su ciò che davvero implicasse l'uso delle armi nucleari e quindi alla nascita di movimenti pacifisti non solo in Giappone, ma in tutto il mondo. Tale presa di coscienza fu emblematica nel caso del professor Robert Oppenheimer, cioè il principale responsabile del successo raggiunto dal "Progetto Manhattan". Egli affermò - "Sono divenuto, il distruttore dei mondi".
I due attacchi nucleari ottennero l'effetto desiderato dagli Stati Uniti. Cinque giorni dopo, il 14 agosto 1945, il Giappone dichiarava la resa nonostante le resistenze da parte di numerosi ufficiali delle forze armate imperiali decisi a combattere fino all'ultimo uomo.
Nonostante però il sacrificio dei quasi 400.000 abitanti delle due città giapponesi, e la presa di coscienza a livello globale sulle implicazioni del nuovo potere in mano all'umanità, la corsa agli armamenti nucleari fu uno dei temi portanti dei successivi quarant'anni. Poco meno di venti anni dopo Hiroshima e Nagasaki, gli statunitensi disponevano di bombe all'idrogeno da 64 megaton, ossia con una potenza pari a 64 milioni di tonnellate di tritolo, mentre quella delle due bombe sganciate sul Giappone, che tante vittime e sofferenze avevano provocato, non superava i 25 kiloton, ossia 0,025 megaton.
Oggi a Hiroshima non sono rimaste scorie radioattive. Il suolo, l'aria e l'acqua non sono contaminati da radiazioni. Ciò che resta è l'impressionante struttura oggi conosciuta come Genbaku Dome, che altro non era che la Camera di commercio della città all'epoca dell'attacco statunitense. Tale edifico, distante meno di un chilometro dall'epicentro dell'esplosione, rimasta in piedi in virtù della sua struttura antisismica secondo gli standard dell'epoca, è stata dichiara nel 1996 patrimonio dell'umanità dall'Unesco. Nonostante le aspre proteste di Stati Uniti e Cina, oggi tale struttura resta a muta e riconosciuta testimonianza del sacrificio di 400.000 persone morte affinché l'umanità potesse comprendere le implicazioni connesse al potere di manipolare l'atomo, vera forza dell'universo, e alle responsabilità che esso comporta.
Cenusa Alexandru Rares – Agenzia Stampa Italia