Perché i nostri giovani vogliono la Gran Bretagna?

(ASI) Londra – L'ANSA, la nostra più grande agenzia di stampa ed informazione, riportava, in data di ieri, una notizia che è a tratti sconvolgente: più di 330 mila persone hanno scelto di

trasferirsi di Gran Bretagna lo scorso anno, con un aumento esponenziale per gli italiani. 57.600 nostri connazionali si sono iscritti ai servizi di previdenza sociale britannici, contro i 42mila del periodo precedente, con un aumento del tutto considerevole.
La domanda che dovrebbe porsi ogni persona di buon senso è: perché? Già, per quali motivazioni i nostri giovani (e forse anche quelli che lo sono meno, anagraficamente) scelgono di trasferirsi in Gran Bretagna? Apparentemente, potrebbero essere abbagliati dal mito inglese: da Albione funziona tutto, il lavoro c'è, in abbondanza, i servizi sociali funzionano, il costo della vita è alto ma è rapportato agli stipendi. Il tutto potrebbe anche essere vero. Anzi, probabilmente lo è stato, alcuni decenni fa. Aggiungiamo inoltre che in Gran Bretagna non c'è corruzione, vige la meritocrazia, e non esiste alcun tipo di aggiustamento di stampo familistico. Riassumendo, la Gran Bretagna sarebbe il paese perfetto, quel bengodi che tutti cercano. Eppure, questo riassunto potrebbe essere valido per la Germania (ed infatti l'Italia filo – tedesca ricorda sempre che "lì funziona tutto"), o lo è stato per la Spagna (rammentiamo che 10 anni fa il refugium peccatorum degli italiani disoccupati era la penisola iberica, con punte altissime di presenze tra Madrid e Barcellona).
Ma quali sono le cause, alla radice, di quest'esodo? Sicuramente l'incapacità della nostra nazione di creare quel futuro che i giovani si aspettano. Ricordava il Professor Luigino Bruni su Avvenire di domenica scorsa, che "ogni generazione incrementa il valore dello stock di generosità o lo riduce, come sta accadendo oggi in Europa, dove la nostra generazione impoverita di ideali e di passioni grandi sta dilapidando il patrimonio di generosità che ha ereditato. Un Paese che lascia metà dei suoi giovani senza lavoro, non è un paese generoso." (1) Chiaramente il Prof. Bruni si riferiva al nostro Paese, distrutto da 20 anni di faide interne, incapace di aver colto le sfide dell'epoca moderna, travolto da scandali e corruzioni di ogni tipo, ma soprattutto, un Paese che ha abdicato alle funzioni storiche svolte nei decenni: la creazione di un pensiero guida che porti al raggiungimento di obiettivi. Persino la politica terzomondista di un Enrico Mattei aveva portato a benessere e sviluppo in un'Italia appena uscita da un conflitto devastante. Le riforme effettuate negli anni precedenti, gli istituti creati da un Regime che solo ai nostri giorni viene riconosciuto qualche indubbio merito hanno consentito quello sviluppo che ora sta sparendo sotto una tonnellata di macerie: tutti gli asset strategici sono in svendita, le grandi famiglie italiane si mettono al riparo cedendo dei tesori che uno Stato serio mai offrirebbe ad alcun prezzo. Il paese si sta de – industrializzando e desertificando, con il consenso e beneplacito dei Governi che si susseguono. E i giovani? Sognano l'Inghilterra. C'è qualcosa che non quadra (2).
Probabilmente tra i nostri giovani aleggia un fortissimo senso di frustrazione. Anni e anni di studi, pagati dai lavori a volte più umili dei genitori, vengono ripagati con lavori sottopagati, rimangono mesi, se non anni senza uno straccio di occupazione. Le probabilità di trovare un lavoro stabile si assottigliando con il passare degli anni, la famiglia non viene vista come una priorità e non c'è alcun interesse a creare un qualcosa di stabile e duraturo, essendo la precarietà una condizione esistenziale del nostro tempo, non solo a livello lavorativo, ma spirituale e morale. Eppure, pur essendo tutti consapevoli dell'incapacità dei nostri governi, dell'enormità dei problemi che i giovani debbono affrontare per stare a galla, essi cercano, come unica soluzione una cosa: la fuga. In un Paese, come la Gran Bretagna, saturo di immigrazione, che offre lavori sottopagati, rischiando, come molti hanno raccontato in un'emigrazione di ritorno, di mangiare una volta al giorno, in quanto il salario che ricevevano non era nemmeno sufficiente a garantire la sussistenza primaria. Bisogna riconoscere che l'Inghilterra quando indice un concorso per infermieri cerca dalle 5.000 alle 10.000 unità, in Italia si candidano dalle 5.000 alle 10.00 persone per un posto. Questo non è un merito dell'Inghilterra, ma un demerito italiano, in quanto anche nel nostro Paese servono, (e le carenze di personale si notano eccome!) dottori, specializzandi, infermieri, personale di qualsiasi tipo. E questo è un banalissimo esempio. In un tribunale nostrano, le pratiche rimangono ferme anni per mancanza di personale, non perché i nostri impiegati siano svogliati o incapaci di svolgere il loro lavoro.
E' la macchina statale italiana che va rivista. E la fuga di quei giovani che dovrebbero impadronirsene, per andare in un pub o a fare il lavapiatti in Inghilterra, non facilita certo la questione. Difatti, l'emigrazione qualificata non ha accesso immediato per tutti. Si può essere ingegneri, ma non è automatico divenirlo in un possibile di adozione che non è il tuo. Abbiamo diversi esempi di ragazzi e non che sono divenuti stimati professionisti all'estero, e loro meritano il nostro rispetto. Non tutti i casi sono a lieto fine, e la maggior parte di questa nuova emigrazione rischia solo di impoverire di menti, talenti e braccia il nostro Paese.
Perché la Gran Bretagna quindi? I nostri giovani crescono con il mito di quel Paese a partire dalle scuole elementari. Londra viene vista come la città ideale, la lingua viene presentata come quella universale, porta d'accesso a tutto il mondo. La civiltà anglosassone quella perfetta e intoccabile. Dopo vent'anni di lavaggio di cervello, la cosiddetta "generazione Erasmus" freme per andare in quel Paese, avendone un ritratto idealizzato e stereotipato al contempo.
Il problema, comunque, non sarebbe nemmeno la Gran Bretagna. E ciò che stupisce è che questo non venga compreso dai nostri emigranti. La questione si pone sul sistema Italia, e sulle opportunità che questo Paese non offre. Altrimenti, potremmo scappare tutti, e magari importare "nuovi italiani" da tutto il mondo. Avremmo realizzato solamente un enorme incompiuto, mancando di rispetto ai nostri Padri, e contemporaneamente, ai nostri giovani.
Nell'auspicio che le nostre migliori forze si concentrino per recuperare i loro spazi, e per riappropriarsi del legittimo posto che spetta loro nella società, conchiudo quest'articolo. Una sorta di appello, per rimanere, e lottare, ma a casa nostra.

(1)http://www.edc-online.org/it/pubblicazioni/articoli-di/luigino-bruni/editoriali-avvenire/rigenerazioni/10999-i-semi-potenti-della-generosita.html
(2) http://it.wikihow.com/Trasferirsi-in-Inghilterra

Valentino Quintana per Agenzia Stampa Italia

 

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