(ASI) Era riduttivo, infinitamente riduttivo, il titolo del Corriere della Sera di mercoledì: "Le mani (sporche) sulla Capitale". Il titolo giusto, che meglio rappresenta la realtà, è quello inquietante: "Le mani (sporchissime) sull'Italia".
Allora non c'è più speranza: è tutto marcio e corrotto?
Speriamo che non sia così, naturalmente, ma ci vuole una robusta dote di ottimismo per pensare il contrario. Centinaia di indagini e un'infinità di prove stanno raccontando un Paese in mano ai delinquenti, alle organizzazioni mafiose d'ogni genere e di ogni territorio. La mafia siciliana e la 'ndrangheta calabrese hanno fatto scuola, hanno esportato, diffuso, infettato tutta l'Italia, con la violenza, le minacce, la corruzione inarrestabile. E il governo che fa? Fa finta di nulla. Ci sono tutti gli elementi per sciogliere il consiglio comunale di Roma per infiltrazioni mafiose. Per molto meno, in Calabria sono decine i consigli comunali sciolti per mafia.
L'altra sera, appena scoppiato lo scandalo della mafia di Roma, nella trasmissione Otto e mezzo, de La7, il ministro Maria Elena Boschi, sulle responsabilità e sugli arresti di alcuni esponenti di primo piano del suo partito, il Pd, ha detto che bisogna aspettare, bisogna vedere, che c'è sempre la presunzione d'innocenza. E' vero che c'è scritto nella Costituzione, ma è indecente che si richiami il principio costituzionale solo quando fa comodo. Ciò vuol dire che per sapere se qualcuno è colpevole, si devono aspettare i tre gradi di giudizio, che significa, visto i tempi delle inchieste, almeno sei, sette anni, sempre che nel frattempo non arrivi la prescrizione o l'amnistia a cancellare tutto. Basta! Non ce la facciamo più. Si faccia una legge che imponga a chi ha un ruolo politico, di qualsiasi livello, quando è indagato per fatti così gravi, che si deve dimettere immediatamente dal suo incarico e alla fine, se dovesse essere completamente innocente, sarà lo Stato a doverlo risarcire. Non è possibile che ci siano politici detenuti, a casa (anzi, in villa) o in carcere, che percepiscono regolarmente lo stipendio e l'indennità di funzione come se niente fosse. E i cittadini, quando vanno a votare, quei pochi che ancora ci vanno, si ricordino di quei politici che si battono strenuamente per aiutare i delinquenti. E' il caso di tutti coloro che chiedono di abolire o comunque limitare le intercettazioni. Senza le intercettazione, la polizia e i carabinieri difficilmente riuscirebbero a individuare i delinquenti in doppio petto che si nascondono tra noi. Io non ho paura delle intercettazioni per la semplice ragione che non ho niente da nascondere, gli onesti non le temono. Le temono i politici-delinquenti. E poi senza le intercettazione non conosceremmo nemmeno l'infimo livello morale di tanti malviventi camuffati da politici. Ma la magistratura da sola non può arginare il malaffare, ci vorrebbe un filtro da parte dei cittadini e, soprattutto, dei partiti e dei movimenti. E un minimo di attenzione e prudenza nelle frequentazioni. Ci sono due fotografie, pubblicate rispettivamente dal Corriere della Sera e dall'Espresso che lasciano sgomenti, perplessi, senza parole.
Nella prima si vede l'attuale ministro del Lavoro, Giuliano Poletti seduto ad un tavolo di un ristorante, a Roma, con l'ex sindaco della Capitale, Gianni Alemanno insieme con Salvatore Buzzi, Franco Panzironi, Angiolo Marroni e Daniele Ozzimo, alcuni degli arrestati, protagonisti dello scandalo di Roma. Vicino a loro, in un tavolo attiguo, il pluripregiudicato Luciano Casamonica.
La seconda foto riguarda Graziano Delrio, il potentissimo sottosegretario, braccio destro di Matteo Renzi. Delrio, nel 2009, allora sindaco di Reggio Emilia, nonché numero due dell'Anci, nel pieno della campagna elettorale, è andato, con altri sindaci della zona, a Cutro, in Calabria, per partecipare, con la fascia tricolore, alla processione del Santissimo Crocefisso. Più che le forti motivazioni religiose, gli inquirenti sospettano, invece, che il viaggio abbia avuto interessi prettamente elettorali, per fare omaggio alla folta comunità calabrese che vive (e vota) in Emilia, tra cui spicca una presenza imbarazzante, quella di Grande Aratri, considerato dagli inquirenti esponente di primo piano della 'ndrangheta. La trasferta ha suscitato, com'era ovvio, qualche sospetto. La procura antimafia di Bologna ha sentito Delrio come "persona informata dei fatti" e il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti ha spiegato così le sue perplessità: "Se un candidato vuole rivolgersi ai calabresi, può parlare a quelli che vivono in Emilia. Se vai in Calabria, vuol dire sapere che è là che si decide l'elezione, vuol dire che è da lì che deve venire il via libera al tuo sostegno elettorale". Che dire? E' tutto scoraggiante.
E non è finita: in seguito agli scandali sull'Expo, è stata creata l'autorità anticorruzione, ma le leggi (e il personale) sono insufficienti e volutamente ingarbugliate fatte in modo da favorirla la corruzione. L'ultima perla, un vero autentico capolavoro, è degli ultimi giorni, una proposta di modifica al Codice Penale, per far sì che chi utilizza per sé i frutti della corruzione non sia punibile.
Quando accadono tutte queste cose, come si fa ad essere ottimisti e fiduciosi? Fatalmente si pensa al peggio.
Fortunato Vinci – Agenzia Stampa Italia