(ASI) Non sappiamo se Abu Bakr al Baghdadi, il leader dello Stato Islamico proclamatosi califfo, nonchè guida suprema di tutti i musulmani, apparso all’inizio di luglio nella preghiera del venerdì in una moschea di Mosul, sia realmente il nuovo protagonista del Medio Oriente.
È possibile che i rapidi successi militari dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) possano determinare un duplice terremoto in Medio Oriente: la frammentazione delle frontiere di Siria e Iraq e la probabile definizione di nuove alleanze. È un dato di fatto che le regioni conquistate dallo Stato Islamico e la forza di questo gruppo stiano facendo convergere gli interessi di attori regionali ed internazionali che nel recente passato erano contrapposti. Non stupisce pertanto che di fronte al possibile collasso dello Stato Iracheno, Iran e Stati Uniti si trovino a dover puntellare, con differenti modalità, il Premier al-Maliki.
Al collasso dell’esercito iracheno, così come alla facilità di penetrazione dell’Isil, fermato nel Nord dell’Iraq dai Peshmerga curdi, si è aggiunta la facilità con la quale il movimento sarebbe riuscito ad attenuare le resistenze della popolazione arabo-sunnita, esasperata dalle politiche di al-Maliki. Non è un caso che molti osservatori ritengano impossibile contrastare l’Isil senza offrire alla popolazione irachena una giusta rappresentanza di tutte le comunità. Del resto l’Isil ha indirettamente beneficiato delle ingiustizie sociali, economiche e politiche subite dai sunniti iracheni.
La proclamazione del califfato (il califfato è il governo di tutti i musulmani e il territorio dominato dal califfo, cioè da un successore del profeta Maometto, colui che riunisce in sé l’autorità temporale e spirituale sulla comunità islamica), lo scorso 29 giugno, e il cambio del nome in Stato islamico hanno sancito la delimitazione dei territori sotto controllo: da Aleppo nel Nord della Siria fino alla provincia di Diyala nell’Est dell’Iraq. È caduta così la frontiera tra Siria e Iraq tracciata dagli accordi Sykes – Picot nel 1916, a seguito della frammentazione dell’impero ottomano.
Ad oggi non è ancora chiaro come il califfo al Baghdadi, il quale ritiene che i musulmani di tutto il mondo debbano essergli fedeli, pena la dichiarazione di apostasia e la condanna a morte, organizzerà il suo califfato né come stringerà le sue alleanze. Quello che al momento è emerso dalle informazioni dell’intelligence americana e di quella irachena è che probabilmente l’Isil è da considerarsi il gruppo terroristico più ricco ed efficiente del mondo. Sembra infatti che prima della conquista di Mosul il gruppo vantasse un patrimonio di circa 875 milioni di dollari in beni e contanti. Un’altra fonte di ricchezza del gruppo proverrebbe dai proventi dei pozzi petroliferi nell’Est della Siria, controllati dalla fine del 2012.
A questi dati va aggiunto l’enorme bottino di mezzi militari rubati all’esercito iracheno. L’avanzata dell’Isil sta inoltre rappresentando una minaccia alla sicurezza della comunità cristiana (circa 300.000 individui) rimasta in Iraq. Al Baghdadi ha offerto loro la possibilità di rimanere a vivere nel califfato a tre condizioni: pagare una tassa, convertirsi all’islam o morire. Ad oggi, solo la regione semi – autonoma del Kurdistan sembra essere un rifugio per i cristiani che fuggono da Mosul, così come da altre aree sotto il controllo dell’Isil. Sebbene il Kurdistan iracheno stia rappresentando l’unico baluardo contro l’avanzata dell’Isil, non si escludono ulteriori tensioni tra questo e le autorità di Baghdad, alla luce della richiesta del Presidente Barzani di fissare una data per il referendum sull’indipendenza della regione.
A conferma di ciò proprio una delegazione iraniana è andata recentemente ad Erbil, secondo la stampa curda, per mediare tra la regione curda e il governo iracheno. Quest’ultimo non avrebbe gradito la ferma volontà del Kurdistan di non ritirare i propri militari dalla città di Kirkuk e da altre aree delle province di Diyala e Niniveh, lasciate sguarnite dall’esercito iracheno di fronte all’avanzata dell’Isil. Il rebus iracheno è ancora tutto da decifrare...
Matteo Bressan - Agenzia Stampa Italia