Intervista al Prof. Mario Michele Merlino in occasione della presentazione del libro “La Guerra è finita”,

(ASI) Intervista al Prof. Mario Michele Merlino in occasione della presentazione del libro “La Guerra è finita”, stampato dalla Ritter Edizioni.

Il libro scritto da Mario Michele Merlino e da Roberto Mancini, parla di Ludovico e Gaetano, i protagonisti, i quali si incontrano là dove si combattè per riscattare l’Onore offeso della Patria dopo l’8 settembre del 1943. Gli autori, dopo aver insegnato storia e filosofia, hanno raccolto quella sfida ideale e ne raccontano la scelta, l'inquietudine, l'irriverenza.

D: Il 28 maggio u.s. in prima serata sua Rai1 è andato in onda “Romanzo di una strage” per la regia di Marco Tullio Giordana. La fiction tratta la ricostruzione della strage di Piazza Fontana avvenuta il 12 dicembre 1969. Oltre Piazza Fontana, il caso ancora oggi misterioso della morte di Giuseppe Pinelli avvenuta durante un interrogatorio in questura, sino al commissario Luigi Calabresi che conduceva le indagini. Il suo ruolo è stato interpretato dall’attore Edoardo Natoli. Ha visto la fiction? E se sì, che idea si è fatta? Anche in merito a Piazza Fontana?

 R: Di prassi sono anni che al cinema vado rarissimamente. Sapevo che usciva questo film ma non mi sentivo molto attratto. E’ stato mio figlio, il più grande Emanuele, che mi ha chiesto di andarlo a vedere insieme. Ed io ho capito che era un modo per cercare di entrare non a gamba tesa sulla mia storia forse per farmi delle domande che in altro modo non si poteva sentirlo di fare. Per farla breve abbiamo visto il film insieme con diversi amici, siamo andati a mangiare una piazza e non ne abbiamo più parlato. Dico questa cosa privata che forse potrebbe sembrare uno spostare i termini della domanda. Pochi giorni dopo sono tornato al cinema perche sempre mio figlio Emanuele aveva piacere che vedessimo insieme il film “Hunger” che racconta la vicenda di Bobby Sands quando chiuso in un carcere irlandese decise di farsi morire di fame, in nome della sua identità irlandese e della sua lotta contro il dominio inglese dell’Irlanda del Nord.

Vedendo quel film ho trovato la risposta più adeguata a mio figlio e in un certo modo alla vostra domanda. “Romanzo di una strage”, Piazza Fontana, è un film che mi ha profondamente annoiato, l’ho sentito lontano dalla mia vita, pur essendo stata l’elemento che ha cambiato la mia esistenza. Aldilà delle cose vere, poche, e delle cose false, tante, di questo tentativo di buonismo per cui il commissario Calabresi deve diventare un eroe dopo che era stato demonizzato per tutta una vita; non era soprattutto un santo. Io ho parlato con alcuni degli anarchici che lui aveva arrestato e mi hanno raccontato delle cose che non sono particolarmente edificanti.

A parte questo, è un film che mi ha stancato, perché c’è questo tentativo sciatto di interpretare cosa è stata Piazza Fontana. Certamente rappresenta una tragedia del nostro Paese, quei 16 morti e 101 feriti, e spesso dimentichiamo di doverli ricordare più sovente. In fondo cosa è stata Piazza Fontana? Piazza Fontana è stata l’inizio di quella criminalizzazione della destra radicale e del neofascismo, aldilà delle singole persone, una stagione di criminalizzazione, della stagione delle stragi, della stagione del sangue, della P38, degli anni di piombo che ha colpito, offeso, infamato noi e non l’altra parte.

D: La sua vita è stata molto intensa, facendo un bilancio, rifarebbe le stesse cose? E del periodo di “Valle Giulia” cosa ricorda e cosa le ha lasciato personalmente, avendo scritto anche un bellissimo libro “E venne Valle Giulia”.

R: Ho sempre pensato e messo in atto nella mia vita la negazione del rimorso, del rimpianto, di tutte queste cabale, numeri, questi sentimenti, questa apparente rivisitazione della propria vita, e anche questo dire “ma forse avrei fatto…”. Quello che ho vissuto l’ho vissuto, non posso trasformare la mia vita in una icona da santo, non posso sottrarmi alle responsabilità, agli errori fatti che posso aver condotto nella mia vita.

Ma sostanzialmente cosa dovrei cambiare? Nel 1960 avevo 16 anni e sono andato ad iscrivermi alla Giovine Italia. Dall’ora pur cambiando collocazioni, maturando o modificando impostazioni delle mie idee, del mio modo di pensare, della lotta politica, sono rimasto fedele a quella scelta. Allora il senso del rimpianto, del rimorso non fa parte della mia cultura. E quindi “Valle Giulia” rimane come una bella mattinata di sole e anche se vogliamo l’illusione che gli anni che sono venuti avrebbero potuto avere un esito gioioso autenticamente rivoluzionario e con la ferocia e l’odio che l’hanno caratterizzata.

D: Del famoso “Golpe Borghese”, quale fu, o quali furono le vere cause che mandarono all’aria il piano? Lei credette davvero a quel Golpe, da persona che visse quel periodo?

R: Ovvio che quella esperienza l’ho vissuta in maniera estremamente indiretta perché mi trovavo in carcere. Quali furono le cause che determinarono in quella notte, si ebbe le caratteristiche che sono state raccontate. Quali le cause che determinarono la non messa in azione di fatto delle intenzioni del Comandante Borghese, queste non posso conoscerle. Probabilmente perché appartiene alla storia italiana se è vero che il Comandante Borghese aveva prefigurato un tentativo di Golpe di Stato, probabilmente si era anche fidato a uomini che appartengono a quel lungo sentiero infame della storia italiana che si chiama Badoglio.

Poi le ragioni: io ritengo che la figura di Borghese vada mantenuta salda, sia come l’uomo di mezzi d’assalto, sia come Comandante della Decima Mas della Repubblica Sociale Italiana e anche rispetto a questi avvenimenti. E’ un uomo che è stato indicato come una sorta di servo di torello sciocco degli americani, beh io credo che fosse qualcosa di diverso e di migliore.

D: E’ rimasto in contatto con alcuni dei personaggi di gioventù?

R: Direi profondamente di sì, è vero che lungo la strada tanti hanno fatto altre scelte, molti sono scomparsi dalla mia vita rifugiandosi nella vita provata, quand’ero giovane e qualcuno se ne andava lo consideravo traditore, oggi prendo atto di tutto questo e non me ne turbo più di altro. Ma lo zoccolo duro con coloro cui sono cresciuto, con cui ho creduto che avremmo potuto stringere nelle mani il mondo e modificarlo a nostro piacimento, quelli rimangono non soltanto nella mia mente e nel mio cuore, ma sovente ci si incontra non come momento nostalgico per riesumare una giovinezza che non abbiamo più, ma perché forse ancora vorremmo pensare a cosa faremo da grandi.

D: Le faccio alcuni nomi: Movimento Sociale Italiano, Fronte Nazionale, Ordine Nuovo, Fascismo e Libertà, Fiamma Tricolore, Nuovo Ordine Nazionale, Forza Nuova. Ma si potrebbe proseguire. Tutte sigle, che come dicono, si rifanno in un certo senso per ideali al fascismo. Cosa ne pensa di queste sigle?

R: Ma penso che le sigle finiscono per essere un po’ come sigle che caratterizzano i supermercati. Qualcuna ha qualche prodotto migliore dell’altra e viceversa. Il fatto stesso che esistono tante sigle, che esistono tante fratture, tante lacerazioni, tante divisioni, vuol dire che in fondo non abbiamo metabolizzato la sconfitta per viverla come una riscossa. Ma coltiviamo piccoli rancori nei quali coabitiamo, forse naufraghiamo, illusi di far parte della storia invece sempre più ne veniamo esclusi.

D: Nel suo ultimo libro “La Guerra è finita”, scritto con Roberto Mancini, si parla di Ludovico e Gaetano, protagonisti come la generazione dei gloriosi 600 giorni che combatterono per riscattare l’Onore dopo l’infamia dell’8 settembre. Un giudizio sulla RSI e su quella generazione di Martiri che pagò con la vita anziché tradire.

R: La Repubblica Sociale in una condizione di guerra, in una condizione di tragedia, di sconfitta annunciata e già in atto, sia stato più un tentativo che una realizzazione. E’ stato però il momento nel quale la sconfitta ha liberato i giochi, i compromessi, i tradimenti che ci sono stati, le incertezze, le prospettive divisorie e divergenti fra gli uomini che avevano rappresentato il fascismo.

E ne ha messo a nudo la sua sostanzialità, che a mio parere è quella di un socialismo incompiuto forse, ma anche di un socialismo che forse come diceva Lenin a Bombacci all’inizio degli anni ’10 e ’20 che avrebbe potuto sconfiggere il comunismo.

Davide Caluppi -  Agenzia Stampa Italia

 

 

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