(ASI) L’Italia è come un puzzle che, invece di essere montato e costruito pezzo dopo pezzo, si frammenta lentamente, preda del declino economico e sociale.
Intorno a questo puzzle si trovano multinazionali occidentali e colossi economici emergenti come Cina, Russia, India, Brasile e la penisola araba, pronti a giocare una partita ad un risiko geoeconomico che ha come premio l’Italia. Già dal 2011 questa realtà ha cominciato ad attirare l’attenzione degli analisti, quando Bulgari venne comprata da Luis Vitton Moet Hennessy. Si trattava solo di un primo segnale di allarme, il primo sintomo di quello che stava arrivando, dopo il quale il mercato del lusso in Italia ha subito un vero e proprio passaggio di testimone: Bernard Arnault, proprietario della LVMH possiede anche Emilio Pucci, Acqua di Parma, e Fendi, Gucci invece è controllato da PPR, Henri Pinault controlla Bottega Veneta, Sergio Rossi e punta ad Edison, Ferrè al Paris Group di Dubai, la Safilo al gruppo olandese Hal Holding.
Ma il settore del lusso non è stato l’unico ad essere stato danneggiato dalla crisi economica. Infatti anche nel marcato alimentare è in atto una spartizione dei marchi storici italiani. Carrefour e Auchan dominano nel campo del retail, la francese Lactalis ha messo le mani su Parmalat, Galbani, Invernizzi, Cademartori e Locatelli, mentre Coin è finita sotto il controllo del fondo Pai Partners e lo stesso è capitato a Standa, la spagnola Agrolimen ha acquistato Star, la Nestlé ha acquistato decine di marchi italiani tra cui Buitoni, Motta, Baci Perugina e Antica Gelateria del Corso. Gli ultimi giorni ci hanno fornito altri due esempi pregnanti di questa svendita in atto da anni: da pochi giorni Telecom è passata nelle mani della spagnola Telefonica, creando non pochi problemi e dubbi sul nuovo regime di privacy, e Alitalia in questi giorni è nel mirino di Air France. La lista è lunghissima.
Il Paese in cui viviamo sembra un mercatino dell’usato dove dirigenti internazionali e rappresentanti di grandi interessi economici possono fare affari per pochi spiccioli. Per quanto ancora continuerà questo sventramento dell’economia e dei marchi italiani? Per quanto ancora il Parlamento permetterà tutto questo? Ma soprattutto, chi guadagna da questo processo che dura ormai da anni e come può essere fermato? A voi le risposte.
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