(ASI) Banche e fondi alla ricerca di profitti rapidi portano alla rovina interi Paesi. Gran parte del denaro scambiato sui mercati finanziari internazionali deriva da speculazioni e non ha niente a che vedere con l’economia reale. Colui che fa muovere il globo intero; cioè il Dio denaro, cos’è realmente? Di per sé è essenzialmente qualcosa di inutile: un pezzo di carta o, più spesso, un numero registrato su un conto.
Il denaro acquista importanza solo come mezzo per agevolare lo scambio di merci e servizi, permettendo di quantificarne il valore. Tuttavia il denaro con il passare del tempo ha assunto sempre di più un valore autonomo. Il valore di un euro, per esempio, non è uguale e non ha valore per tutti in tutto il mondo. La funzione primaria del denaro è quella di permettere l’acquisto di qualcosa, ma è anche possibile ottenere denaro dal denaro.
E’ ciò che succede quando si presta del denaro con gli interessi o si investe in azioni di promettenti società. Un altro modo per far soldi dai soldi è una specie di gioco: si scommette su una determinata situazione economica (ad esempio sulla variazione dei prezzi delle materie prime o sulle oscillazioni delle valute), attuando così quella che viene definita una ‘speculazione’. Più alta è la cifra disponibile da puntare sul manifestarsi di un determinato evento, maggiori saranno le possibilità di vincere. Denaro significa potere e chi lo possiede può stabilire le regole e influenzare l’andamento del gioco. Peccato che questo gioco ed i profitti che ne derivano vadano a scapito di coloro che hanno bisogno del denaro per scambiare merci e servizi; persone che hanno appena lo stretto necessario per vivere, e spesso neanche quello. Gli investitori negli ultimi anni puntano ad ottenere rendite, così vengono chiamati i profitti derivanti da capitali investiti, sempre maggiori.
Per questo i manager delle società per azioni, delle banche e dei fondi di investimento devono cercare di realizzare alti profitti nel più breve tempo possibile e non possono certo curarsi del fatto che i loro affari violino i diritti umani, distruggano l’ambiente e gli ecosistemi, brucino posti di lavoro o gettino interi Paesi in situazioni di crisi economica. Se ci meravigliamo del fatto che nel capitalismo globalizzato i valori etici contino così poco, dobbiamo tener presente che la colpa non è dei singoli manager. Il problema nasce dal nostro sistema economico orientato al profitto. Naturalmente ogni uomo è responsabile delle proprie azioni, tuttavia la ragione principale delle ingiustizie nel mondo non risiede nei cattivi comportamenti dei singoli, ma nell’onnipresente ricerca del profitto che costituisce la base dell’economia capitalistica. Si potrebbe anche dire che la colpa è del fatto, ormai ampiamente accettato, che molte persone hanno più di quanto necessitino per vivere e, nonostante abbiano già tanto, continuino ad arricchirsi a spese dei più poveri. Quando le banche e i fondi ci invitano a ‘lasciare che il nostro denaro lavori per noi’, in realtà ci stanno invitando a far lavorare per noi persone che possiedono poco o nulla.
Multinazionali, società per azioni, banche e fondi di investimento hanno soprattutto uno scopo: vogliono aumentare le rendite per i loro azionisti, detti in gergo tecnico “shareholder”, cioè per tutti coloro che possiedono una parte dell’impresa. Si parla quindi di shareholder value, o valore per gli azionisti; concetto dinnanzi al quale altri valori, come ad esempio il rispetto dei diritti umani, un modello economico finanziariamente ed ecologicamente sostenibile, così come per i principi democratici ed etici vengono inevitabilmente meno. La globalizzazione ha fatto sì che il capitale potesse essere impiegato ovunque per ottenere la massimo del profitto, e questo ha portato e porta le banche e le multinazionali a interessarsi finanziariamente alle zone più povere del mondo, dove è possibile avviare progetti estremamente lucrativi, come ad esempio la costruzione di centrali elettriche, oleodotti, miniere di materie prime o la creazione di piantagioni di soia, tutte cose che promettono alti profitti.
Il fatto che queste iniziative danneggino la popolazione e l’ambiente non viene tenuto in considerazione nell’affare. La società Siemens, per citarne una, ha tratto profitto da moltissimi progetti di questo tipo, come ad esempio la diga delle Tre Gole in Cina. La multinazionale tedesca ha ricevuto un ordine miliardario per le turbine che azioneranno la più grande centrale idroelettrica del mondo. Per far spazio al lago artificiale sono stati forzatamente evacuati cinque milioni di residenti che hanno perso così ogni fonte di sostentamento. Le proteste sono state represse con brutale violenza dal governo cinese. In tutto il mondo il numero degli sfollati che hanno perso la loro terra a causa della costruzione di dighe si aggira tra i 40 e gli 80 milioni di persone. Per non parlare dell’impatto ambientale.
Mentre nell’Europa occidentale vigono disposizioni molto severe che disciplinano la grandezza e la sostenibilità ambientale di tali progetti, in Africa, in Asia e in America Latina le multinazionali possono costruire indisturbate. Quando le banche erogano crediti per sostenere questi progetti colossali in Paesi politicamente ed economicamente instabili, si fanno carico di un rischio elevato. Crisi valutarie, guerre, colpi di Stato, espropriazioni, catastrofi ambientali. Tutte queste cose possono trasformare un progetto a prima vista redditizio in un fiasco finanziario. Per incrementare l’economia d’esportazione, allora, le assicurazioni statali del credito all’esportazione si assumono gran parte di questi rischi. In parole povere: se uno di questi colossali progetti all’estero fallisce, è lo Stato, quindi i contribuenti, che paga una grossa parte della perdita. In Germania questo compito è svolto dalla Euler-Hermes-Kreditversicherung AG e dalla Pricewaterhouse Coopers, in Austria invece dalla Kontrollbank e in Svizzera dall’Ufficio per la garanzia contro i rischi delle esportazioni (ERG).
Le grandi banche tuttavia non si limitano a finanziare la distruzione dell’ambiente e lo sfruttamento dei residenti, ma arrivano a corrompere i governi, che indebitano i loro Paesi per somme difficilmente saldabili. A pagare sarà, come sempre, la popolazione locale: a causa dell’alto indebitamento dei loro Paesi, i cittadini sono costretti a rinunciare all’assistenza sociale e alle infrastrutture, come scuole ed ospedali. Spesso però il capitale dei ricchi non viene investito neanche in progetti reali; molti infatti, tramite il commercio di titoli e valute estere, speculano sulle variazioni dei tassi di cambio. Si tratta di un affare sporco: se si dispone di molto denaro si può scommettere, ad esempio, che un determinato Paese piomberà in una crisi economica. Se si scommette una cifra enorme, è possibile favorire il verificarsi dell’evento stesso. Ciò significa che alcuni uomini moltiplicano il loro capitale spingendo milioni di altri alla miseria. Si guardino bene i casi di Grecia, Spagna, Portogallo, Islanda e anche Italia. Anche se nel ‘bel Paese’ il circo dei mass media collusi, così come i camerieri politici fanno il loro sporco gioco imbambolando i cittadini italiani.
Che di colpa, e tanta, ne hanno anche loro accettando lo stato delle cose. Quanto detto non ha più nulla a che vedere con i reali investimenti nella produzione e nell’industria. Si parla di uno scollamento tra mercati finanziari ed economia reale: la quantità di denaro in circolazione supera il reale controvalore. Di conseguenza nei mercati azionari, immobiliari e valutari si creano le cosiddette bolle speculative che, proprio come delle bolle di sapone, prima o poi scoppiano, facendo precipitare l’intera economia pubblica. A farne le spese sono come sempre le categorie sociali più deboli ed esposte, che perdono posti di lavoro, non riescono più a pagare i loro debiti e si impoveriscono. Dall’inizio degli anni ’70 del XX secolo il volume delle transazioni valutarie, quindi il commercio di valute estere, è aumentato in modo impressionante: da 70 a 3.200 miliardi al giorno. E oltre il 95% delle transazioni valutarie è effettuato a scopo speculativo. Inoltre le operazioni sono sempre più a breve termine: l’80% di tutti gli investimenti all’estero sul mercato finanziario è di ritorno nel giro di otto giorni, questo sta a significare che in brevissimo tempo il denaro ricompare sui conti, ma decisamente moltiplicato. Nel 40% dei casi questo processo dura solo due giorni. Ci sono poi i cosiddetti ‘day trader’, operatori che aprono e chiudono posizioni in giornata; per i quali a lungo termine significa ‘tra 10 minuti’. Funziona più o meno in questo modo: se penso che il valore del dollaro salirà rispetto a quello dell’euro, compro ad esempio, 1,5 milioni di dollari per 1 milione di euro; se dopo dieci minuti il dollaro è salito anche solo dello 0,01%, in quei 10 minuti ho guadagnato 1000 euro. Quindi 6000 euro l’ora. Non male come compenso orario. Purtroppo questo tipo di affari è appannaggio di coloro che dispongono delle necessarie infrastrutture e che possono farsi carico dei rischi connaturali a questo tipo di speculazioni, e cioè essenzialmente banche e fondi.
E più denaro investono, più favoriscono il manifestarsi dell’effetto desiderato, poiché le borse ed i mercati valutari si reggono sulle aspettative degli speculatori: quando grossi investitori scommisero che il valore del peso argentino avrebbe subito una diminuzione, molte altre persone li seguirono e scambiarono i loro pesos con dollari. Di conseguenza il valore del peso scese realmente. A farne le spese, come si ricorda, sono stati quegli argentini che avevano bisogno dei pesos per vivere e che avevano contratto debiti in dollari. Ne sono conseguite, negli anni novanta, numerose crisi finanziarie. Oggi con la Kirchner al potere e con una politica improntata all’equità sociale e ad una sovranità nazionale e monetaria l’Argentina è di nuovo un Paese modello. Solo la crisi nel Sud est asiatico ha provocato la perdita di oltre 50 milioni di posti di lavoro, spingendo la gente sull’orlo della miseria.
Davide Caluppi Agenzia Stampa Italia
Fonte: www.ecoreporte.de
“Il libro delle multinazionali” di Klaus Werner Lobos
appunti, lezioni, libri del Professore Giacinto Auriti