Cosa ne pensa delle cosiddette «Primavere Arabe» che negli ultimi tempi hanno caratterizzato il Nord Africa?
Le cosiddette «Primavere arabe» che negli ultimi due anni hanno insanguinato il Nord Africa, nascondono tanti e troppi lati oscuri. Senza voler peccare di facile complottismo, credo sia alla luce del sole l’influenza e l’ingerenza che le rispettive rivolte, in maniera diversa tra loro, hanno subito da stati stranieri o apparati di essi. E’ doveroso fare anche delle dovute differenze tra le tre principali «primavere» cioè, Tunisia, Egitto e Libia. Se da una parte ci sono popoli stanchi di regimi trentennali, dall’altra abbiamo gli interessi internazionali che cercano di giostrare a proprio piacimento e secondo interessi economici. Iniziamo con la Tunisia dove una rivolta «soft», paragonandola alle altre, ha destituito Ben Ali, uno dei tanti padre padrone che in trent’anni hanno fatto la fortuna della propria famiglia e dei propri amici, facendo affari con Stati Occidentali come la Francia e in minima parte l’Italia. Oggi la Tunisia ha un proprio governo guidato dal partito Nahda (Fratelli Musulmani), vige un’apparente calma nel paese ma la sensazione è che le ingerenze straniere siano ancora molto forti e serpeggia tanto scontento tra la gente. La Libia è stata teatro di un’aggressione militare Nato, il vecchio amico d’affari Gheddafi non era più tanto amico e quindi bisognava cambiare. Sappiamo bene quali grossi interessi girino intorno alla Libia grazie alle grande ricchezze rappresentate dalle risorse naturali. Circa il 50% della popolazione libica, cioè i componenti delle tribù ostili al Rais, vivevano in un clima di costante repressione e privi di ogni diritto, a dispetto delle tribù amiche che potevano godere di un buon tenore di vita. Oggi la Libia è un paese devastato, frammentato in decine di fazioni che si massacrano per il controllo del territorio e un Consiglio Nazionale Transitorio che non si capisce bene cosa faccia e dove sia, dato che la sua assenza nello scenario nazionale è totale. Un plauso all’ennesima missione Nato, distruggono, massacrano e vanno via in silenzio, spostando armi e mercenari altrove, in questo caso la prescelta è stata la Siria. Anche in questo caso, la sudditanza italiana non si è fatta attendere, non per niente siamo la più grande portaerei «naturale» della Nato. Passiamo all’Egitto: la più politica e veritiera delle rivolte. Dal 1981 Osni Mubarak regnava e spadroneggiava alle spalle del popolo egiziano, amico numero uno di Stati Uniti e Israele, con cui aveva stretto grandi e vergognosi accordi, è stato costretto da una vera sommossa popolare, a cedere il potere. Sono ancore impresse nella mente di tutti noi le assurde violenze dell’esercito contro i manifestanti in piazza Tarhir. In Egitto i Fratelli Musulmani, che solo da pochi mesi sono riusciti a fondare ufficialmente il partito, hanno storicamente avuto una straripante maggioranza di consensi nel paese. Il vecchio regime non aveva mai concesso nessun tipo di libertà e quindi non si erano mai svolte elezioni democratiche. L’Egitto è un paese ad alta importanza strategica negli equilibri in tutta la regione, basti pensare ai rapporti con Israele e di conseguenza alla questione palestinese. Con Mubarak era tutto controllato, oggi qualcuno non riesce più a prendere sonno al pensiero di un governo «fuori controllo».
In Libia si sono svolte le elezioni dopo cinquant’anni. Il paese è ancora nel caos. Secondo i primi dati non ufficiali, i liberali e i moderati sarebbero in vantaggio, ma il loro leader, Mahmoud Jibril ha già lanciato un appello per l’unità: «In queste elezioni non ci sono vincitori e sconfitti. Chiunque prevarrà, la Libia è la reale vincitrice». Che ruolo potrebbe avere il nuovo corso libico nella regione?
Le elezioni in Libia sono una grande incognita, è veramente difficile riuscire a farsi un’idea. Le prime proiezioni danno i liberali in vantaggio ma credo siano indicazioni assolutamente inattendibili. Bisogna capire la neonata realtà dei Fratelli Musulmani quanto possa incidere, ma soprattutto capire il ruolo dell’occidente, quanto stia pesando, quali accordi con Il CNT siano stati stipulati. In Libia non c’è un interesse politico-strategico particolare ma sono le immense risorse naturali a dettare i termini e le condizioni. Da parte mia non vedo soluzioni positive all’orizzonte, forse una «vera vittoria» dei Fratelli Musulmani in Egitto potrebbe influire positivamente e quindi scatenare un effetto domino anche sulla Libia, questa è almeno la mia speranza.
In Egitto, il nuovo Presidente dei Fratelli Musulmani, Mohamed Morsi, ha vinto le elezioni. Si è parlato di un possibile avvicinamento con l’Iran. Cosa ne pensa?
In Egitto c’è stata la scontata, seppur sofferta, vittoria dei Fratelli Musulmani, non era facile superare l’opposizione dei militari e quindi del vecchio regime. Il nuovo presidente Morsi è persona molto rispettata, il suo discorso al popolo è stato molto apprezzato e in parte sorprendente, anche se si tratta solo di comizi. L’apertura all’Iran è un passaggio molto importante, una ripresa dei rapporti con Teheran rappresenterebbe una batosta senza precedenti per Usa e Israele. Purtroppo è troppo presto per cantare vittoria, non sarà facile avere il sopravvento su un regime che ancora oggi può godere della sua struttura e buona parte dei suoi uomini, esercito compreso. Bisognerebbe capire se e quali accordi l’attuale presidente Morsi abbia stretto con i militari. Dei passi sono stati mossi, Mubarak appartiene al passato, mi auguro che da oggi si possa iniziare a scrivere una nuova e degna storia per il popolo egiziano e per tutta la regione mediorientale.
Questi cambiamenti, potrebbero in qualche modo, far mutare il destino del popolo palestinese?
La questione palestinese è assolutamente centrale nel destino delle «primavere», soprattutto per quanto riguarda il ruolo estremamente strategico dell’Egitto. Già la Palestina occupata e la Striscia di Gaza in maniera particolare, hanno beneficiato di certi cambiamenti. Oggi i valichi per Gaza hanno aperture frequenti, quindi l’ingresso di merci è orami continuo. La grave emergenza che si avvertiva fino a qualche anno fa ormai è passata, buona parte della Striscia è stata ricostruita e almeno il cibo non manca. C’è un aspetto ancor più importante e in prospettiva, cioè il nuovo e determinante ruolo dei Fratelli Musulmani da cui Hamas discende. Si potrebbero aprire scenari nuovi e stravolgenti, questo è il nodo di tutto, l’aspetto che sta facendo tremare interi governi. Da ciò possiamo percepire quali interessi e pressioni stiano muovendo verso l’Egitto.
In Siria la situazione è molto delicata: interessi strategici, ingerenze straniere e informazione molto spesso manipolata. Che idea si è fatto?
La Siria è vittima di una vera e propria aggressione militare oltre che mediatica. Negli anni passati hanno provato in tutti i modi di far cadere Assad o comunque, di allontanarlo dall’Iran, da Hezbollah e di far cessare il leale sostegno alla resistenza palestinese. Avendo fallito vari tentativi, sono passati all’aggressione militare, anche in questo caso coinvolgendo o mettendo in mezzo l’opposizione interna guidata dai Fratelli siriani. Tengo a precisare che nutro profondo rispetto per quella che in Siria rappresenta l’opposizione, seppur troppo legata ai tristi ricordi di Assad padre. Purtroppo non posso rispettare chi, pur di difendere le proprie idee stia sostenendo una vile aggressione esterna al proprio paese. Oltre alle tradizionali forze straniere esperte in occupazioni e massacri (Usa, Israele, Francia e Regno Unito), il sostegno arriva anche da quei paesi arabi filo-occidentali (Qatar, Giordania, Arabia Saudita). L’informazione è l’aspetto più disgustoso, vediamo filmati di bambini palestinesi passati per siriani, zone di Gaza bombardate diventano città siriane attaccate dall’esercito e potremmo proseguire all’infinito. Questi «signori» vorrebbero spaccare il fronte Iran, Siria, Hezbollah e resistenza palestinese, queste sono le chiare richieste di Israele che supplica per un attacco militare decisivo contro la Siria. La mia idea è che molti equilibri negli ultimi anni siano mutati radicalmente, chi ieri spadroneggiava, dettava le regole decidendo del destino degli altri, oggi ha molta paura e pensa a difendersi costruendo intorno a sè inutili muri. Anche in questo caso le immagini sono simili a quelle di tanti altri teatri di conflitti e aggressioni, devastazioni e massacri di vittime innocenti. La mia idea è strettamente legata alla fede che ho in Dio, coloro che sono responsabili di tali azioni non potranno mai vincere a dispetto di chi crede veramente. La storia e il tempo lo insegnano, ma forse qualcuno ha paura di accettare una nuova realtà.
Qual è il ruolo del Libano e in particolare del Partito di Dio, Hezbollah, sulla «crisi» siriana?
Sono del tutto infondate le notizie su un coinvolgimento dei reparti militari di Hezbollah sul confine siriano. La Siria possiede un esercito ben armato e non ha certo bisogno di Hezbollah. Lungo i confini è schierato l’esercito libanese che sta svolgendo un ottimo lavoro, arrestando centinaia di mercenari e trafficanti di armi che cercano di far ingresso in Siria, di questo ovviamente la stampa ufficiale non riporta nulla. La volontà di trascinare Hezbollah in questo sporco conflitto, è solo l’ennesimo tentativo di indebolire e screditare la resistenza, ma anche in questo caso, è fallito. Ultimo aspetto meritevole di nota è l’assoluta lealtà e discrezione che Hezbollah ha nei confronti dei paesi esteri: non entrando mai negli interessi che non siano quelli del popolo libanese. Un esempio che ogni governo dovrebbe seguire.
Cosa ne pensa della posizione di Hamas sulla Siria?
Hamas attraversa un momento di grandi cambiamenti politici, grazie anche a quel «risveglio islamico» che sta attraversando vari paesi del mediterraneo e del medio oriente. Sulla questione siriana, Hamas si trova in un grande imbarazzo, qualcuno cerca di sfruttare la situazione e provare ad allontanare il partito di Gaza dall’asse Iran, Siria, Hezbollah. Molti hanno criticato certe dichiarazioni anti Assad da parte dei leader di Hamas. Io ho molta fiducia nella dirigenza di Gaza, sono tutti uomini che vengono dalla resistenza e conoscono bene chi realmente li sostiene. Stanno attuando solo una propria strategia politica, cercando di preservare solo gli interessi del popolo palestinese. Se alla fine una parte di Hamas deciderà di fare la fine di Fatah, statene pur certi che c’è chi li sostituirà.
Fabio Polese – Agenzia Stampa Italia
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