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(ASI) Abbiamo incontrato il bravo e preparato Andrea Perrone. Giornalista specializzato in Europa e politiche energetiche ha da poco dato alle stampe un saggio intitolato “Alla conquista dell’Antartide”, inerente la corsa delle grandi potenze all’antartico, libro che segue di appena un anno una sua precedente pubblicazione sulla corsa e la conquista del Polo nord.

 

Abbiamo parlato di geopolitica ed energia e ne sono emersi aspetti molto interessanti.

Di recente ha dato alle stampe un saggio intitolato “Alla conquista dell’Antartide” inerente la geopolitica del Polo sud. Di cosa tratta questo libro e a chi si rivolge principalmente?

 Il libro si occupa principalmente del controllo geopolitico e strategico del Continente ghiacciato. La crescente domanda di idrocarburi per soddisfare il mondo industrializzato potrebbe aprire infatti nei prossimi anni l’Antartico alle multinazionali del petrolio. Tuttavia il Polo Sud è ricco anche di minerali, materie prime e risorse ittiche, insieme all’80% circa dell’acqua di tutto il globo terrestre. A partire dal XIX secolo, da quando cioè ha avuto luogo la scoperta dell’Antartico, è iniziata la contesa per il controllo di questo continente e delle isole limitrofe. Nel XX secolo si sono intensificate le spedizioni e le missioni scientifiche per costruire basi e ottenere il controllo geostrategico dell’area. Dal 1945, con l’inizio della Guerra Fredda, anche gli Stati Uniti non sono rimasti a guardare e hanno intrapreso spedizioni militari. Col Trattato Antartico, firmato nel 1959 da 47 Paesi, le esercitazioni militari al di sopra del 60° Parallelo, sono state limitate ma il personale scientifico-militare è dislocato permanentemente in tutto l’Antartide e nelle isole dell’Oceano Atlantico meridionale. Oggi la necessità di reperire nuove materie prime potrebbe spingere gli Stati a rivedere il Trattato del 1959 ed aprire il Polo Sud all’ingordigia delle multinazionali. Le prime avvisaglie si sono avute nel 2008 quando l’allora amministratore delegato della British petroleum Tony Hayward, che chiedeva l’apertura anche di questo “paradiso naturale” alle compagnie petrolifere e, come affermava, alle esigenze del mondo industrializzato. Negli ultimi anni poi sono aumentate le prospezioni britanniche nell’arcipelago delle Falkland/Malvinas, provocando le vivaci proteste del governo argentino e di un gran numero di Stati latinoamericani.
A metà del 2010 quattro piccole compagnie di esplorazione britanniche (la Desire Petroleum, la Rockhopper, la BHP Billiton e la Falklands Oil and Gas) hanno ripreso le prospezioni nelle acque dell’arcipelago dove s’ipotizza la presenza di una gigantesca quantità di “oro nero”, fino a 60 miliardi di barili (equivalenti all’insieme delle riserve residue di Usa e Canada), con una stima più prudente di 3,5 miliardi nel cosiddetto Bacino Nord.

Nel suo precedente saggio “Arktika” parla invece della spartizione del Polo nord. Come mai oggi i due poli, per secoli trascurati da tutti, suscitano così grande interesse tra le maggiori potenze politiche ed economiche?

In effetti l’interesse c’è sempre stato e risale al XIX secolo ma era per lo più di natura scientifica ed esplorativa. Diversa è la situazione che si è venuta a creare a partire dal XX secolo, quando lo sviluppo economico e industriale ha iniziato a richiedere nuove materie prime e risorse energetiche per mantenere alta la crescita e favorire lo sviluppo industriale. Nei fondali del Polo Nord e del Polo Sud giacciono miliardi di tonnellate di idrocarburi e minerali preziosi che solleticano l’appetito delle maggiori potenze del nostro pianeta. Per quanto riguarda l’Artico poi nei prossimi dieci o quindici anni lo scioglimento dei ghiacci renderà praticabili nuove rotte commerciali. Attualmente infatti, nell’area la navigazione è ancora proibitiva per le navi non scortate dai rompighiaccio, tanto da non risultare economicamente conveniente. La situazione sta però mutando molto velocemente e la Russia, così come altri Paesi, si sta preparando a sfruttare a pieno queste nuove tratte. Le previsioni indicano che il traffico marittimo nella regione passerà da 3 milioni di tonnellate di merci nel 2005 a 14 milioni nel 2015. Tra le tante possibili vie marittime che si apriranno nella regione artica due sono quelle principali e più importanti: il Passaggio a Nord-Est, o Northern Sea Route, e la rotta attraverso il famoso Passaggio a Nord-Ovest.

Quanto incidono le politiche energetiche nei rapporti tra Usa, Russia e Cina?

Sono vitali, senza di esse un Paese grande come la Cina non potrebbe garantire il suo sviluppo e il ritmo sostenuto di crescita economica che sta vivendo. Entro il 2030 la Cina importerà dall’estero ben l’85% del suo fabbisogno petrolifero. Allo stesso tempo Stati Uniti e Russia si contendono alcuni mercati come quello europeo per l’approvvigionamento energetico, gas in particolare. E per questo è in corso una battaglia legale e militare per il controllo dell’Artico e dell’Antartico. Se per l’Antartide sarà necessario attendere almeno un ventennio prima che sia aperto allo sfruttamento delle compagnie petrolifere, a causa dei vincoli ambientali a cui è sottoposto. Nell’altro caso – mi riferisco alla regione artica – lo scontro è iniziato già da alcuni anni e i presupposti non sono rassicuranti. Spedizioni scientifiche per predisporre nuove rivendicazioni, alleanze militari sul tipo della Nato, sorvolo di cacciabombardieri russi e dell’Alleanza Atlantica, sottomarini nucleari e battaglie legali alle Nazioni Unite rappresentano la cartina di tornasole di quanto sta avvenendo nell’area che preoccupa non poco gli analisti militari.

Perché oggi accaparrarsi le risorse energetiche in queste nuove frontiere è così vitale?

Il motivo è evidente, servirà infatti a mantenere alto lo sviluppo industriale e a contendersi la leadership mondiale con gli Stati Uniti. Nell’Antartico oltre agli idrocarburi e ai minerali, è attestata la presenza di importanti risorse come quelle ittiche e circa l’80% dell’acqua di tutto il globo terrestre. E in un mondo che marcia verso i sei miliardi di abitanti queste risorse potrebbero essere fondamentali per il loro sostentamento.

Nella spartizione dei due Poli, secondo lei, sarà più probabile assistere ad una nuova Yalta o ad una nuova Guerra Fredda?

Di fronte ai continui e rapidi cambiamenti che viviamo è molto probabile che assisteremo ad una nuova Guerra Fredda. In particolare per il controllo dell’Artico dove si scontrano da una parte Stati Uniti e Paesi dell’Alleanza Atlantica e dall’altra la Russia. Washington dal canto suo non intende rinunciare alla leadership mondiale messa a dura prova dalla rinascita della Federazione russa, ma anche dal boom economico-industriale di Cina, India e altri Paesi emergenti. La situazione è in continuo mutamento. Non per niente dal 2003 anno in cui è nato il BRIC, un’alleanza strategica fra Brasile, Russia, India e Cina che critica con sempre maggior vigore il sistema monetario internazionale dominato dal dollaro e insieme chiedono la definizione di una nuova valuta di riserva mondiale per evitare che si ripetano crisi globali come quella in corso.
È comunque evidente che per alcuni anni ancora gli Stati Uniti se non potranno più contare sulla leadership economica manterranno quella militare e tecnologica. Tuttavia la battaglia continua anche alle Nazioni Unite, dove ad esempio la Russia sta portando a conferma delle sue rivendicazioni sull’Artico nuovi dati scientifici e geologici. Per quanto riguarda l’Antartico la spartizione è già in atto dai tempi del Trattato di Washington (1960), anche se altri Stati si sono aggiunti nella speranza di veder riconosciute le loro rivendicazioni.

Quanto tempo ha impiegato nella raccolta del materiale necessario alla stesura dei suoi libri? C’era molto materiale in italiano o ha dovuto ricorrere, in prevalenza, a materiale in altre lingue?

Il tempo per la raccolta di materiale bibliografico è in genere molto variabile. Per reperire libri e materiale specialistico è necessario qualche mese e in taluni casi anni. Dipende molto dal tipo di ricerca. Tanto più che il materiale disponibile non è pubblicato esclusivamente in italiano, ma in tutte le principali lingue europee: inglese, francese, tedesco e spagnolo. Si tratta per lo più di volumi e riviste specializzate. Il discorso si complica se il lavoro viene compiuto su materiale d’archivio, come nel caso di una ricerca che sto portando avanti sulle origini del colonialismo e dell’espansionismo commerciale italiano. In quest’ultimo caso il lavoro richiede la frequenza di alcuni tra i più importanti Istituti e Biblioteche del nostro Paese di Roma e Milano. Non sono mancate e-mail e lettere ad importanti istituzioni tedesche e francesi per reperire il materiale necessario: dalla Bayerische Staatsbibliothek di Monaco all’Universitätsbibliothek di Berlino e di altre città della Germania, fino alla Bibliothèque Nationale de France e alla Société de Géographie di Parigi. Un lavoro lungo che come ho spiegato prima può richiedere qualche mese o addirittura anni.

Lei pubblica con la Fuoco edizioni, una casa editrice giovane. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di pubblicare con case medio-piccole?

Sì tra le case editrici con cui ho pubblicato i miei libri c’è proprio la Fuoco edizioni. Colgo infatti l’occasione per ringraziare l’amico editore Luca Donadei per la sua disponibilità e cortesia. Per quanto riguarda i vantaggi e gli svantaggi diciamo che si equivalgono. Con una casa editrice medio-piccola si ha però un rapporto diretto che con altre più grandi non è possibile avere. E questa è una gran cosa.

Sta già lavorando ad un nuovo libro? Quando pensa che potremo leggerlo?

In realtà sto già raccogliendo materiale e lavorando alla realizzazione di alcuni libri. Uno sarà dedicato alla Forze armate cinesi, con un’analisi delle strategie di Pechino nei suoi rapporti storici con i Paesi confinanti e con gli Stati Uniti. Un altro sarà dedicato alla geopolitica e al colonialismo italiano. Il terzo sarà concentrato sulla biografia e la traduzione di alcuni scritti di un celebre americanista tedesco. Per quanto riguarda il quarto sarà dedicato ai rapporti intercosi sul piano politico-economico fra alcuni Stati europei e la Russia, dagli zar all’attuale presidente del Cremlino, Dmitrij Medvedev. E sarà un’opera realizzata in collaborazione con un collega molto ferrato sull’argomento. I primi due andranno alle stampe entro l’anno, per il terzo bisognerà attendere almeno il 2012. E invece il quarto è ancora in fieri, perché stiamo cercando una Casa editrice interessata alla pubblicazione.


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