(ASI) Guardo ogni giorno in televisione quei barconi carichi di disperati che scommettono su un futuro migliore, sbarcando a Lampedusa. Molti si dicono perseguitati dai vari dittatori e vengono in Italia per sfuggire alle violenze ed alle angherie dei vari regimi totalitari.
Loro hanno trovato una via di fuga, sia pure avventurosa, incerta, precaria; io, perseguitato come loro (in maniera diversa, sia ben chiaro) da un fisco rapace, violento, ingiusto, dove vado? Anch’ io a Lampedusa? Non ce la faccio più a lottare disperatamente, ormai da decine di anni, contro le volgari vessazioni di una amministrazione pubblica satanica, che deve a tutti i costi trovare sempre più soldi, che non bastano mai, per mantenere l’esercito di politicanti, senza arte né parte; per il quale spendiamo 24 miliardi di euro l’anno. E a nessuno viene in mente di fare qualche risparmio su questa enorme spesa, indecorosa, infruttifera ed insostenibile: si cerca sempre altrove. Mi ha impressionato il sottosegretario Gianni Letta (mio ex direttore di quando scrivevo su Il Tempo) che va in televisione, e con la massima disinvoltura, senza nemmeno arrossire per la vergogna, ci informa che il Governo metterà un’altra tassa sulla benzina per trovare i fondi per finanziare la cultura. Un’altra tassa? Un’altra. Stanno mandando a picco il Paese. Dopo la Grecia, l’Irlanda e il Portogallo, ci siamo noi, è inutile illudersi del contrario, e fidarsi delle dichiarazioni tranquillizzanti, la strada, ormai segnata, è quella. Certo, invece di accanirsi con i piccoli, potrebbero combattere la grossa evasione, ma c’è da dire, che la caccia è affidata a cacciatori (?) del tutto improbabili e assai particolari. Il capo dovrebbe essere il leader, Silvio Berlusconi, il quale penso si trovi un po’ a disagio, nelle vesti di cacciatore, visto che proprio lui, in concorso con altri, è accusato, nel processo in corso in questi giorni a Milano, di frode fiscale per otto milioni di euro. Che il compito di stanare gli evasori spetti proprio a lui, appare non una cosa bizzarra, di più, francamente demenziale. E’ allora se la prendono con me, che le imposte già le pago ed anche parecchie. Potrei scrivere la Treccani delle ingiustizie fiscali, in questo perenne, inaccettabile contenzioso, mi limito a ricordare qualche vergognosa avventura.
Lo so, qualcuno mi potrebbe giustamente obiettare che la ragione potrebbe essere del fisco. No, la ragione è dalla mia parte, per il semplice fatto che sto facendo collezione di “sgravi”, ciò significa che il fisco ha riconosciuto, sia pure in ritardo e dopo lunghi e stressanti confronti, l’errore commesso. Nonostante l’impari confronto si basa su un grosso equivoco. “L’imputato - recita l’art. 27 della Costituzione - non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. Per il fisco è esattamente l’opposto: la condanna è subito definitiva, salvo che l’imputato – contribuente non provi il contrario. E ci sarebbe pure, ad essere clamorosamente violato quasi sempre, l’articolo 97 della Costituzionale che impone, per i pubblici uffici, i principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione.
Da quello che ho visto in tutti questi anni di “lotte”, credo che la stragrande maggioranza degli impiegati non abbia conoscenza di questi principi.
La “via crucis” comincia quasi sempre quando “scoprono” che non hai pagato. Spesso non è vero, ma la scoperta arriva a distanza di molti anni, e la documentazione, per provare il contrario, è impresa difficile, quasi disperata, qualche volta addirittura impossibile. Qualche settimana fa ho ricevuto lo sgravio per un bollo del 2000 (di undici anni fa) A casa buona parte della libreria è occupata dai fascicoli di dieci, quindici anni fa, perché ogni tanto c’è un ufficio, un ente, una società che si ricorda di fare qualche controllo, perfino la società che ha l’appalto delle lampade del cimitero, mi ha chiesto, qualche giorno fa, arretrati che avevo già pagato. In questo Paese si prescrivono solo i procedimenti del Premier, per il resto, nonostante ci siano ben definiti i termini di prescrizione, nessuno ne tiene conto. Eppure gli impiegati pubblici - come abbiamo visto sopra - dovrebbero verificare attentamente la correttezza di quello che fanno, se sono trascorsi i termini di prescrizione, non devono fare finta di non saperlo, perché è chiaramente un abuso, una pretesa illegittima di un tributo non più dovuto.
L’Ufficio delle Entrate è uno di quei carrozzoni che fa tanti controlli. Sentite questa storia. Sei anni fa mi viene inviata una lettera con la richiesta di alcuni documenti per un controllo, vado all’ufficio (di Perugia, che è a due passi da casa) e presento i documenti. Tutto a posto mi dice l’impiegato, e poi aggiunge: tra qualche giorno le arriverà una cartella esattoriale, non si preoccupi, faccia finta di niente. Annoto i dettagli di questo colloquio ed il nome dell’impiegato. Passano alcune settimane ed arriva la prevista cartella. Naturalmente non le do’ peso. Dopo qualche anno Equitalia, (il braccio armato del fisco) mi intima di pagare, altrimenti ci sarebbe stato il “fermo amministrativo” della mia automobile. Vado un’altra volta all’Agenzia (tanto è vicina, forse per questo mi chiamano sempre) e mostro la ricevuta di quel famoso controllo e le assicurazioni dell’impiegato che fa fatica a ricordare quello che gli racconto, però alla fine si rassegna: sì è vero quello che lei mi dice, ma sa quello era il controllo bis, la cartella riguarda il controllo ter. Porto, allora, altri documenti e arriva un altro sgravio.
Una volta i documenti della dichiarazione dei redditi si allegavano alla dichiarazione stessa, almeno se li controllavano con calma, adesso no, i documenti li deve tenere e conservare il contribuente (e tutti i suoi eredi) perché da un momento all’altro arriva la richiesta di verifica. Era sicuramente meglio prima. Non sanno proprio come fare per creare disagi.
Bis, ter: il linguaggio oscuro del fisco, per non far capire nulla, per far venire le vertigini. Ci sarebbero tantissime altre cose da raccontare ma Ettore - capisco - non può darmi troppo spazio, ci tornerò un’altra volta, intanto mi preme ricordare l’ultimo arrivo: una cartella di pagamento di un bollo per un carrello porta barche, inferiore a 3,5 t., relativo agli anni 2005 e 2007. All’Ufficio, vale a dire alla Regione Umbria che gestisce con l’Aci (sempre mania di grandezza: non bastava uno?) questo genere di tributo avevo già fatto notare che la legge n. 172 dell’8 luglio 2003, sul rilancio della nautica, aveva modificato il regolamento che disciplina la registrazione dei veicolo al Pra (altro splendido esempio di carrozzone). “Nautica”, la nota rivista del settore, nel numero di agosto, nel riportare la notizia, manifesta segni di soddisfazione per la nuova legge perché, spiega “viene abolita quella tassa che abbiamo sempre sostenuto essere ingiusta”. Il “Corriere della Sera” dell’epoca riporta la dichiarazione di Luigi Muratori, il deputato di Forza Italia che ha presentato la legge il quale dice tra l’altro: “L’obiettivo e semplificare la vita degli appassionati di nautica. Niente immatricolazione nemmeno per i carrelli stradali porta barche, a patto che abbiano la stessa targa dell’auto”. Se non c’è più l’immatricolazione come si può pretendere il pagamento del tassa di proprietà? E se è solo tassa di circolazione, si paga solo se si circola, come dice un esperto di tributi dell’Aci della Lombardia.. Ed io che il carrello non l’ho mai usato, perché dovrei pagare? Ha ragione chi ha fatto la legge o gli impiegati della Regione ? Altre ricerche, altri documenti, altri incontri, altra perdita di tempo, altre spese.
In questo mare magnum di confusione c’è un’importante novità, un segno di civiltà giuridica, ed è rappresentato da una recente sentenza della Cassazione, la 5120 del 3 marzo scorso, che potrebbe porre un limite a questi continui abusi. La Corte ha stabilito che il principio del neminem laedere si applica anche alla pubblica amministrazione quando non verifica per tempo la fondatezza delle richieste fatte proprie del cittadino vessato, condannando l’Agenzia delle Entrate non solo alle spese legali ma anche a quelle sostenute per conferire con l’ufficio (commercialisti e trasferte).
ASI precisa: la pubblicazione di un articolo e/o di un'intervista scritta o video in tutte le sezioni del giornale non significa necessariamente la condivisione parziale o integrale dei contenuti in esso espressi. Gli elaborati possono rappresentare pareri, interpretazioni e ricostruzioni storiche anche soggettive. Pertanto, le responsabilità delle dichiarazioni sono dell'autore e/o dell'intervistato che ci ha fornito il contenuto. L'intento della testata è quello di fare informazione a 360 gradi e di divulgare notizie di interesse pubblico. Naturalmente, sull'argomento trattato, il giornale ASI è a disposizione degli interessati e a pubblicare loro i comunicati o/e le repliche che ci invieranno. Infine, invitiamo i lettori ad approfondire sempre gli argomenti trattati, a consultare più fonti e lasciamo a ciascuno di loro la libertà d'interpretazione