Nell’attuale dibattito politico sulla riforma del mercato del lavoro si scontrano un tema corretto ed una risposta sbagliata.
- Il tema vero è che il sistema economico italiano sconta un deficit di produttività significativo rispetto agli altri grandi paesi occidentali e che questo deficit è la causa principale della mancata crescita del nostro paese.
Questo deficit di produttività ha molte cause, diverse delle quali esterne all’impresa (l’alto carico fiscale, la carenza di infrastrutture, la farraginosità della P.A., la mancanza di una politica industriale nazionale) altre interne (la scarsità di investimenti in innovazione tecnologica e ricerca, la dimensione micro del 95% delle imprese italiane, la produttività del lavoro).
- La risposta falsa consiste nella rappresentazione fasulla per cui l’abolizione o, comunque, il depotenziamento dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, consentirebbe alle imprese italiane di recuperare questo divario di produttività, in quanto il venir meno dello scudo dell’art. 18 imporrebbe, ai lavoratori meno impegnati, comportamenti più efficienti, aumentandone la produttività, pena il licenziamento.
- E’ di tutta evidenza che le cause sopra elencate di questo deficit sono talmente tante e di carattere talmente strutturale e, oltretutto, solo in parte legate alla singola impresa e all’organizzazione dei fattori aziendali delle produzione, che l’articolo 18 appare come un elemento sostanzialmente insignificante nel determinare la produttività complessiva delle imprese italiane.
- Non solo l’abolizione o l’allentamento dell’art. 18 non avrebbe sostanzialmente nessun effetto sulla produttività generale dell’impresa ma avrebbe effetti limitatissimi anche sulla semplice produttività del lavoro in quanto introdurrebbe una logica del conflitto che difficilmente gioverebbe al sistema produttivo italiano.
- Al contrario, in un momento di grave crisi economica e di contestuale significativo allungamento dell’età per il pensionamento, l’allentamento dell’art. 18 rischierebbe, soprattutto nell’ambito dei lavori manuali e usuranti, di produrre un effetto di “rottamazione dei cinquantenni” che rischierebbero di essere sostituiti in massa da giovani meno costosi e più efficienti sotto il profilo del rendimento fisico.
- Per questa ragione Italia dei Valori oggi interviene sul tema, con delle proprie proposte basate su tre pilastri:
a) miglioramento della produttività del lavoro in concorso tra lavoratori e imprenditori;
b) flessibilità in uscita con lo strumento dell’orario di lavoro;
c) “Piano sociale” per settori o imprese che riorganizzano la produzione;
PRIMA PROPOSTA
- Se, l’art. 18, con l’aumento della produttività aziendale non c’entra pressoché niente, la contrattazione collettiva può essere invece un nodo importante.
- In Italia oggi abbiamo una vera e propria selva di 160 contratti nazionali, che disciplinano in modo dettagliato ed analitico tutti gli aspetti del lavoro e della retribuzione del singolo lavoratore, togliendo pressoché ogni spazio di contrattazione al livello territoriale e limitando pesantemente la possibilità per ogni singola azienda di affrontare attraverso una specifica contrattazione locale le proprie esigenze di organizzazione e di produttività.
- Oggi già esiste una legge che prevede una fiscalità premiante per chi stipula accordi aziendali che raggiungono obiettivi di miglioramento concordati, ma è una legge che non può funzionare, perché il sistema contrattuale nazionale è talmente esaustivo e puntuale, che non lascia margini di contrattazione locali.
- Solo cambiando la struttura contrattuale italiana si può realizzare una contrattazione realmente decentrata e adeguata al nostro sistema d’impresa; serve un ribaltamento di prospettiva: massimo decentramento del livello della contrattazione e dimagrimento di quella nazionale
- Per questo proponiamo che a livello nazionale, in sostituzione degli attuali 160 contratti, vi siano solo 4 aree contrattuali (industria, lavoro pubblico, servizi, artigianato) in cui si concentrino i diritti fondamentali (libertà individuali e di organizzazione sindacale, orario massimo, salario minimo).
- La rivisitazione delle mansioni con riduzione dei ruoli gerarchici, il piano di formazione permanente, gli obiettivi di competitività, così come gli obiettivi di efficienza e qualità, le carriere professionali basate sul merito, sono tutti argomenti che devono essere concordati nelle aziende (quando le dimensioni lo consentano) oppure a livello di distretti produttivi o di aree territoriali economicamente omogenee, legando gli aumenti salariali al miglioramento dei fattori che nella singola impresa si individuano.
- In altre parole, invece del conflitto che l’abolizione dell’art. 18 punta ad introdurre nel nostro mercato del lavoro, Italia dei Valori rilancia con una proposta proprio sul terreno della produttività, convinta che sia attraverso il concorso di interessi convergenti tra lavoro e impresa che si possano realizzare obiettivi molto più ambiziosi, attraverso un percorso che porti le imprese a definire obiettivi di efficienza, produttività e qualità, e che premi i lavoratori con aumenti stipendiali al raggiungimento degli obiettivi medesimi.
SECONDA PROPOSTA
Con gli ultimi provvedimenti del governo si aumenta l’età per la pensione fino a 67/70 anni o con 42 anni di contributi. Nella realtà le imprese chiedono che ad una certa età il lavoratore lasci il posto di lavoro per essere sostituiti da persone più giovani.
Quindi si firmano accordi con percorsi tra cassa integrazione ordinaria-straordinaria, in deroga e poi mobilità, che durano anni e anni. Oppure, per molti lavoratori di piccole e medie imprese siamo alla disperazione per non poter più rientrare al lavoro avendo 50-55 anni.
Proponiamo, dopo aver ben studiato le economie europee che funzionano, di definire con chiarezza l’obiettivo che è quello di accompagnare la riduzione graduale dell’orario di lavoro per le persone più anziane con il contestuale ingresso di giovani leve. I lavoratori più anziani possono anche fare da tutor ai giovani.
Ovviamente la nostra è un’idea pratica e quindi applicabile quando l’imprenditore e i lavoratori la condividono, non può certo essere imposta.
L’idea è quella di ridurre l’orario di lavoro giornaliero o settimanale oltre una certa età e per mansioni ben individuate, coprendo la differenza salariale e contributiva con uno strumento mai utilizzato ma ben regolato dalla legge, ed assumere contemporaneamente giovani apprendisti da affiancare.
In Italia esiste una legge che stabilisce agevolazioni alle imprese che stipulino contratti aziendali che prevedono “una riduzione stabile dell’orario di lavoro e della retribuzione e la contestuale assunzione a tempo indeterminato di nuovo personale”. Il nome è “contratto di solidarietà espansivo”.
Le agevolazioni previste per le imprese di cui sopra sono agevolazioni che riguardano i nuovi assunti e nello specifico sono contributi triennali in percentuale – 15%/10%/5% - sulla contribuzione contrattuale lorda erogata o in alternativa sgravi contributivi triennali per assunzioni di giovani dai 15 ai 29 anni di età. Manca totalmente la copertura per quei lavoratori che riducono l’orario di lavoro come invece è previsto per i contratti di “solidarietà difensivi”. E’ su questi strumenti che vanno concentrate le poche risorse proprio perché sono coerenti con l’obiettivo della crescita.
La quasi totalità delle imprese in Italia è ricorsa, dal settembre 2008 ad oggi, in modo diffuso e continuativo a riduzioni di personale per accompagnare i lavoratori alla pensione e/o a sospensioni dal lavoro, a fronte di una crisi globale e generalizzata in tutti i settori.
In molti casi si sono applicati i “contratti di solidarietà difensivi”.
I contratti di solidarietà difensivi stabiliscono una “riduzione stabile dell’orario di lavoro” al fine di evitare in tutto o in parte la riduzione di personale e la riduzione di orario stabilita è compensata al lavoratore con intervento della “cassa integrazione”.
Al lavoratore interessato dalla riduzione d’orario definito con contratto di solidarietà difensivo la norma riconosce inoltre la contribuzione figurativa e la maturazione integrale del TFR per le ore perse a seguito della riduzione di orario definita con l’accordo collettivo aziendale “contratto di solidarietà difensivo”.
Si tratta di riformare questo strumento rendendolo utile alla fase di cambiamento per mettere l’impresa nella condizione di governare i processi di ricambio e riqualificazione della manodopera senza incrementare i costi. Per semplificare moltissimo, se due lavoratori “anziani” vanno a 4 ore di lavoro al giorno e interviene per loro il contratto di solidarietà espansivo, essi avrebbero una retribuzione pari a circa 7 ore e l’impresa può assumere un apprendista ad 8 ore al giorno con evidenti vantaggi anche di natura economica.
TERZA PROPOSTA
La crisi ha conseguenze sull’apparato produttivo ben definite. Esistono realtà manifatturiere che si possono sostenere nel nostro Paese con una seria politica industriale, orientata alla ricerca e all’innovazione, che manca da anni, mentre altre attività sono perse verso Paesi low-cost.
In questa seconda situazione rimane il problema di come riqualificare e rioccupare i lavoratori, di come utilizzare i siti produttivi, di come attivare nuove imprese.
Proponiamo, sempre avendo un rigoroso punto di osservazione sulle migliori pratiche in Europa di applicare in Italia il modello di “Piano sociale” francese in cui i rappresentanti del governo sul territorio, oltre ai compiti tradizionali seguono un protocollo di intesa concordato con tutte le parti sociali realmente rappresentative al fine di mettere in moto l’alternativa.
Per evitare di fare solo teoria abbiamo “testato” questa impostazione in una grande provincia del Nord del Paese dove sono in atto sia crisi congiunturali che strutturali. Non è certo un modello riproducibile in fotocopia ma sicuramente è un esempio visto che è stato firmato a gennaio 2012 da tutte le parti protagoniste dell’economia reale, dagli industriali, agli agricoltori, agli artigiani, oltre a tutte le organizzazioni sindacali (ALLEGATO A)
ALLEGATI
ALLEGATO A
TESTO DEL PIANO SOCIALE
CONSIDERATO che la Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo si appalesa, anche in ragione del ruolo della funzione di presidenza all’interno della Conferenza Provinciale Permanente, nonché di mediatore nei conflitti sociali, la sede istituzionale più idonea per favorire il confronto tra le parti interessate e, quindi, il luogo per lo sviluppo di strategie condivise;
tutto ciò premesso, i partecipanti al presente accordo, nel condividere l’analisi svolta in premessa e nel condividere l’esigenza di creare nuove e più favorevoli condizioni per un confronto immediato e diretto tra tutti i principali soggetti istituzionali ed associazioni di categoria, convengono quanto segue:
Art. 1
(Tavolo per il rilancio del Sistema)
- I partecipanti al presente accordo assicurano l’intervento di un proprio, qualificato rappresentante agli appositi incontri, che verranno indetti dalla Prefettura almeno una volta ogni trimestre, a partire dal prossimo 1° febbraio 2012;
- Il tavolo così riunito presso la Prefettura – formato dai delegati degli enti che sottoscrivono il presente documento – prende il nome di “Tavolo per lo sviluppo del sistema”, chiamato, più avanti, semplicemente “Tavolo”.
- La Prefettura assicurerà le funzioni di Segreteria e, quindi, quelle di una sintetica verbalizzazione degli atti del Tavolo.
- Ciascun componente il Tavolo può proporre alla Prefettura le tematiche da sviluppare come ordine del giorno facendo pervenire le relative istanze con congruo anticipo rispetto alle date calendarizzate per gli incontri.
- Il Tavolo stabilisce i criteri in base ai quali dovranno essere ripartiti eventuali compiti e funzioni tra i diversi “gruppi di lavoro tecnici” di cui al successivo art. 2, ne valuta l’attività e le relative, eventuali proposte.
- Il Tavolo è presieduto dal Prefetto il quale, su formale mandato del Tavolo, potrà – ove necessario – esprimere proposte ed assumere impegni in nome del Tavolo medesimo.
- Il Tavolo può proporre la stipula di intese tra gli stessi enti e le istituzioni di cui al presente accordo ovvero tra il tavolo ed enti o istituzioni esterne, oltre che programmi d’azione o di indirizzo.
- Gli atti emanati dal Tavolo costituiscono patrimonio comune e potranno essere utilizzati autonomamente nell’ambito delle attività degli Enti partecipanti.
Art. 2
(I Gruppi di lavoro)
- All’interno del Tavolo le parti concordano di istituire dei gruppi di studio e di approfondimento che saranno operativi nelle seguenti “Aree di intervento”, anche a supporto di iniziative eventualmente esistenti presso altre sedi istituzionali:
- 1. Illegalità, concorrenza sleale e contraffazione
- 2. Prevenzione e gestione delle crisi aziendali
- 3. Formazione e riqualificazione dei lavoratori in settori colpiti da crisi
- 4. Innovazione, trasferimento tecnologico e ricerca
- 5. Accesso al credito
- 6. Accesso ai Fondi europei
- 7. Sostegno alle imprese per l’internazionalizzazione
- 8. Sicurezza sul lavoro
- 9. Accordi multilaterali
- I gruppi di lavoro si riuniranno secondo le necessità e comunque, almeno una volta al mese.
- I gruppi di lavoro effettueranno congiuntamente analisi dei fenomeni – quelli di proprio interesse – formulando al Tavolo eventuali proposte circa possibili approfondimenti da condurre o nuovi interventi da promuovere, anche al fine di delineare le condizioni di contesto favorevoli alla soluzione degli elementi di problematicità.
- I gruppi di lavoro saranno presieduti dai Rappresentanti degli Enti o delle Istituzioni proposte dal Tavolo in base agli specifici ambiti di competenza e si riuniranno presso l’ente che ne assume il coordinamento.
- I gruppi di lavoro potranno essere incrementati o ridotti nel numero in relazione alle indicazioni del Tavolo con la partecipazione dei soggetti più interessati agli argomenti trattati.
- Sull’attività di ciascun gruppo di lavoro verranno redatte sintetiche, periodiche relazioni, da trasmettere al Tavolo.
Art. 3
(Composizione dei Gruppi di lavoro)
- I gruppi di Lavoro sono composti dai rappresentanti degli enti e delle istituzioni che verranno indicati dai partecipanti al Tavolo.
Le parti che, pur avendo condiviso il presente accordo, non ritengano di doverne fare più parte o di non voler partecipare agli incontri, ne danno espressa comunicazione alla Prefettura affinchè anche il Tavolo possa prenderne ufficialmente atto.
7 marzo 2012