Il presidente di Confeuro denuncia l’inerzia delle istituzioni sulla crisi idrica: “Poche azioni, nessuna visione”
(ASI) Il cambiamento climatico è una realtà evidente, eppure troppo spesso ignorata. In questa intervista, Andrea Tiso — presidente nazionale di Confeuro — esprime profonda preoccupazione per l’assenza di politiche strutturali capaci di affrontare la crisi ambientale e la gestione delle risorse idriche. Parla di infrastrutture obsolete, di interventi spot e del bisogno urgente di un piano nazionale che guardi al futuro, partendo dalla mappatura dei territori e da progetti concreti.
Presidente Tiso, cominciamo questa intervista parlando un po' del cambiamento climatico. Qualcuno vuole fare finta di niente, ma il problema c'è e colpisce sempre di più: a luglio, in inverno e siccità in estate sono solo alcuni dei problemi. Lei è d'accordo? Che cosa ci può dire su questo?
Il cambiamento climatico è una realtà ormai, da almeno vent’anni. Non è qualcosa che scopriamo oggi. Mi preoccupa molto che ci siano ancora persone — e anche istituzioni — che non riconoscono questo forte ed evidente cambiamento delle condizioni climatiche globali.
Non è solo una questione italiana. La nostra organizzazione è molto attenta al tema, soprattutto per quanto riguarda la gestione delle risorse idriche. In Italia, gli eventi estremi sono sempre più frequenti e devastanti: alluvioni e siccità stanno diventando la norma. Il governo ha nominato un commissario straordinario per la gestione della risorsa idrica, ma finora non abbiamo visto iniziative capaci di migliorare concretamente la situazione.
Vorrei tornare a quanto accaduto nel 2011 con il referendum sull’acqua, che aprì la strada anche ai soggetti privati nella gestione della risorsa. Sono passati quasi 15 anni, ma le infrastrutture idriche sono ancora le stesse. Erano obsolete allora, lo sono ancor di più oggi. La maggior parte della gestione resta pubblica, ma anche l’ANBI, l’associazione nazionale che dovrebbe guidare il settore, non ha prodotto cambiamenti tangibili.
Si parla molto del Piano Mattei per l’Africa, ma poco o nulla si dice di un piano infrastrutturale nazionale. Eppure in alcune regioni, come la Basilicata, la dispersione idrica supera il 60%. È inaccettabile. Serve un piano straordinario per l’acqua, non progetti vaghi o slogan.
Per chiudere, lei ha sottolineato molte criticità. Accusate il governo e le istituzioni locali e regionali di mettere in campo solo interventi spot, magari legati all’emergenza, ma non un piano complessivo e preventivo che possa contrastare in maniera efficace e definitiva il problema legato alla crisi idrica.
Assolutamente sì. Non abbiamo una mappatura chiara del Paese, almeno non pubblica, che indichi dove intervenire prioritariamente. Oltre alla consegna di tre dissalatori in Sicilia, si continua con misure episodiche.
Circa quindici giorni fa si è tenuto un summit sull’acqua. Ma oltre a ribadire che il problema esiste, non è emersa una strategia concreta. Vogliamo sapere cosa intende fare il governo: realizzare invasi? Modernizzare le infrastrutture esistenti? Costruirne di nuove? Utilizzare l’acqua anche per produrre energia? Tutto questo è fattibile.
Ma serve volontà. Serve un piano. Serve capire quando cominciamo a realizzare qualcosa. Perché il tempo è finito.



