(ASI) “A Rieti si è sfiorato l’assassinio di un agente penitenziario. Il detenuto che lo ha colpito al collo con una lametta avrebbe potuto uccidere. Il fatto che avesse problemi psichiatrici non può essere più una scusante per passarci sopra come è già accaduto l’11 giugno scorso nel carcere di Frosinone con una profonda ferita alla gola provocata ad un nostro collega sempre da un detenuto con problemi psichiatrici”.
Così in una nota,Aldo Di Giacomo, segretario S.PP., che aggiunge: “solo qualche giorno fa a Castelfranco Emilia un agente per lungo tempo in balia di un detenuto con problemi psichiatrici e noto per atti di violenza ha rischiato di essere strangolato. Lo ripetiamo da settimane: la situazione nelle carceri è sfuggita al controllo dello Stato. A rimetterci sono sempre gli agenti diventati il bersaglio di inaudite violenze. Non vogliamo aspettare che l’assassinio avvenga realmente. È ora di pensare ad un avvicendamento del Capo del DAP e definire misure di reazioni forti come forte e senza precedenti è l’attacco che viene dalle carceri. Tanto più – continua Di Giacomo – che non possiamo continuare ad assistere allo spettacolo della politica che dà il peggio di sé con le polemiche tra maggioranza ed opposizioni a colpi di interviste, articoli di giornali, comunicati per rimballarsi responsabilità che appartengono ad entrambi. Si continua a sottovalutare la situazione esplosiva delle sempre più gravi tensioni in corso, sicuramente aggravata dalle temperature torride e da un clima non solo determinato dal meteo. In questa situazione d’emergenza e di “caccia al basco blu” ci adopereremo per trovare convergenze tra i sindacati di polizia penitenziaria e per convergere in una unitaria risposta di mobilitazione tenuto conto che dal Governo dopo le belle promesse in occasione del documento programmatico di insediamento non è venuto nessun atto concreto. Siamo fortemente preoccupati – afferma Di Giacomo – perché l’escalation di violenza è destinata a crescere in questa torrida estate. Ci sono già troppi segnali che vanno solo intercettati. Invece basta una scintilla per scatenare la “prova di forza” di una popolazione carceraria che da troppo tempo ha manifestato atteggiamenti non solo di aggressione ma di sfida quotidiana agli agenti che, soprattutto a causa della normativa sul reato di tortura, hanno poche possibilità di difesa e di reazione. L’Amministrazione pensa di risolvere la situazione trasferendo gli autori di violenze e rivolte che, puntualmente, le ripetono nelle nuove carceri. La soluzione invece è una sola: pene severe che hanno prima di tutto l’obiettivo di rompere l’impunibilità di cui godono i detenuti violenti, perché va stroncata la diffusa convinzione dei detenuti di riuscire a farla franca”.