Il governo Meloni al banco di prova dell’immigrazione

(ASI) Roma – La strage di Cutro, con il suo carico di sofferenza e perdita di vite umane, è solo l’ultima delle vicende capaci di inficiare l’operato della maggioranza parlamentare in merito a una delle questioni contemporanee più scottanti.

Il grattacapo dell’immigrazione, del resto, è stato al centro delle campagne elettorali di Fratelli d’Italia e Lega. E mentre non accennano a placarsi le polemiche per il drammatico naufragio in prossimità delle coste crotonesi, la figura di Matteo Piantedosi continua a tenere banco nella discussione politica e dell’opinione pubblica.

All’attuale ministro dell’Interno non risultano certo nuovi gli ambienti del Viminale. Il prefetto, infatti, ha ricoperto il ruolo di capo di gabinetto di Matteo Salvini nel corso dell’esecutivo giallo-verde presieduto da Giuseppe Conte. 

La scorsa settimana hanno suscitato clamore le sue dichiarazioni sulla presunta “irresponsabilità” dei migranti. La loro mancanza consisterebbe nel rifuggire dall’impegno per migliorare le condizioni del proprio paese d’origine optando, piuttosto, per l’emigrazione attraverso quei pericolosi viaggi in mare spesso conclusisi in tragedia.

Piantedosi si è subito affrettato a smorzare le accuse di cinismo piombate dalle opposizioni e dal mondo delle organizzazioni non governative, anche alla luce del fatto che la maggior parte delle volte i paesi d’origine incriminati si ritrovano in balia di governi dittatoriali, congiunture economiche al limite della bancarotta o violente guerre civili. Tutte situazioni, in altre parole, difficilmente risolvibili a livello locale e in un periodo di tempo circoscritto.

Se da un lato non sembra ancora essersi attutita l’eco di tali affermazioni, dall’altro Piantedosi resta bersaglio di accuse incrociate legate al decreto legge che porta il suo nome. Un provvedimento proposto assieme al presidente del Consiglio Meloni di concerto con i ministri della giustizia, delle infrastrutture e trasporti, degli affari esteri e cooperazione internazionale, della difesa.

A tal punto che il controverso decreto legge n.1 del 2 gennaio 2023 – contenente “disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori” – viene ormai chiamato direttamente “decreto Piantedosi” o “decreto contro le Ong”.

Questo perché, di fatto, la misura punta a limitare l’operatività delle Ong impegnate, con le proprie imbarcazioni, ad aiutare i migranti. Si tratta di disperati intenti a cercare riparo presso le coste italiane. Disperati pronti a spostarsi in condizioni disumane, stipati in imbarcazioni di fortuna affollate, anguste, insicure, alla mercè delle onde del Mediterraneo.

Le organizzazioni avranno il permesso di transitare e sostare nelle acque territoriali italiane “ai soli fini di assicurare il soccorso e l’assistenza a terra delle persone prese a bordo a tutela della loro incolumità”.

Operazioni delicate, complicate dall’inedita propensione del Ministero ad assegnare alle imbarcazioni cariche di migranti salvati da morte crudele porti di sbarco lontani, localizzati sovente nel Centro o Nord Italia. Per i critici, ci si trova di fronte alla volontà di aumentare il tempo di navigazione per impedire alle Ong di effettuare, frattanto, altre attività di soccorso.

D’altronde il decreto, pur adottando un linguaggio piuttosto implicito, tende a proibire la pratica dei soccorsi multipli. Infatti, nel testo sta scritto che il porto di sbarco assegnato di volta in volta dalle autorità competenti deve essere raggiunto “senza ritardo”. Le navi delle organizzazioni sono tenute a “raggiungere tempestivamente” il porto comunicato dalle autorità, ufficialmente per evitare di “creare situazioni di pericolo a bordo”.

Una motivazione, questa, aspramente condannata dalle opposizioni parlamentari e dalle stesse Ong, le quali intravedono nella formulazione formale un evidente divieto di effettuare soccorsi multipli a seguito dell’assegnazione del porto di sbarco a ciascuna imbarcazione.

Al centro della contesa vi è pure una politica sanzionatoria giudicata discriminante. Le Ong che dovessero rifiutare di adeguarsi alla nuova normativa facendosi carico di più di un salvataggio alla volta, infatti, saranno suscettibili di una salata sanzione pecuniaria fino a 50.000 euro. In caso di contestazione, la nave sarà sottoposta a fermo amministrativo per ben due mesi. L’armatore, o in sua assenza in comandante, dovranno “provvedere alla custodia della nave a proprie spese” nonché “cessare la navigazione”. In aggiunta, è prevista la “confisca” e il “sequestro cautelare” a carico delle imbarcazioni responsabili di infrangere ripetutamente la procedura.

Durante le operazioni di soccorso, inoltre, l’equipaggio della nave è chiamato a fornire precise informazioni alle autorità italiane e a uniformarsi alle indicazioni via via ricevute. Contrariamente, nei confronti del comandante o dell’armatore verrà applicata “la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 2.000 a euro 10.000”. L’eventuale contestazione comporterà il “fermo amministrativo per venti giorni della nave utilizzata per commettere la violazione”.

Alla complessa sfida dell’immigrazione, dunque, il governo Meloni pare al momento intenzionato a rispondere con una legislazione restrittiva a carico delle organizzazioni umanitarie che più di una volta hanno impedito il verificarsi di stragi simili o peggiori di quella di Cutro.

Ma il “decreto Piantedosi” non avrà vita facile. In Parlamento, le opposizioni si sono mostrate compatte nel richiedere a gran voce le dimissioni dell’ex prefetto, anche in seguito alle sue dichiarazioni sui migranti. Al ministro dell’interno si è rivolto persino il Consiglio d’Europa, la principale organizzazione di difesa dei diritti umani cui aderiscono i ventisette Stati membri dell’Unione europea assieme a paesi terzi come Regno Unito e Turchia. La commissaria per i diritti umani, Dunja Mijatovic, ha scritto al titolare del Viminale in persona. Nella lettera, gli ha chiesto di ritirare il decreto in nome della salvaguardia dei diritti fondamentali. Secondo Mijatovic, “le disposizioni potrebbero ostacolare le operazione di ricerca e soccorso delle Ong e quindi essere in contrasto con gli obblighi dell’Italia ai sensi dei diritti umani e del diritto internazionale”.

Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia

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