(ASI) L’Italia suddivisa in tre aree presenta moltissime difficoltà e la popolazione fa fatica ad accettare le restrizione. Il sistema sanitario però presenta sempre più falle per l’emergenza Coronavirus.
Infatti, in base alla circolare del Ministero della Salute del 12 ottobre 2020, si evidenzia la posizione di coloro che, non presentando più sintomi, risultano ancora positivi dopo 21 giorni dalla prima diagnosi di infezione. In questi casi, il ministero prevede che questi, “in caso di assenza di sintomatologia da almeno una settimana, potranno interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi. Questo criterio potrà essere modulato dalle autorità sanitarie d’intesa con esperti clinici e microbiologi/virologi, tenendo conto dello stato immunitario delle persone interessate (nei pazienti immunodepressi il periodo di contagiosità può essere prolungato)”.
Purtroppo la realtà dei fatti presenta una situazione molto diversa e preoccupante, in quanto i positivi possono uscire liberamente con un certificato di riammissione delle Asl competenti che permette ai soggetti in isolamento di reintrodursi nella comunità, rimuovendo le disposizioni di isolamento contumaciale.
Tuttavia molti positivi rientrano con dei sintomi chi con l’assenza del gusto e dell’olfatto, chi con raffreddore e chi presenta addirittura tosse secca e pertanto possono essere potenzialmente, se non altamente, ancora contagiosi. Tutto ciò ci pone di fronte a un contesto pieno di restrizioni, spesso discutibili, ma dove positivi possono ritornare in libera circolazione, prendendo mezzi pubblici o frequentando uffici e locali ecc., con il serio rischio di contagiare altre persone.
La situazione emerge dalla carenza di fondi e dall’aver mal preparato la seconda ondata, ma il termine di 21 giorni lascia decisamente perplessi. A questo punto se di quarantena vogliamo parlare non sarebbe meglio ipotizzare il vecchio termine dei quaranta giorni, considerando che spesso per negativizzarsi ci vuole oltre un mese?