(ASI) La dichiarazione della zona rossa al campo container di Testa dell’Acqua è la cartina tornasole del fallimento, della Regione Calabria così come del governo nazionale, nella gestione dell’epidemia e delle condizioni sociali e abitative dei braccianti. Né l’una, né l’altra sono emergenza.
Si tratta di problemi strutturali che abbiamo sempre denunciato e che abbiamo posto su ogni tavolo possibile già nel corso del lockdown, quando il governo si è degnato di ricordarsi dei braccianti, ma solo – è bene ricordarlo – per andare incontro alle richieste delle associazioni di produttori, che vedevano marcire frutta e verdura sugli alberi e nei campi. Come ampiamente prevedibile, la finta regolarizzazione prevista dal decreto Rilancio non ha minimamente risolto il problema, così come riteniamo ancora insufficienti le modifiche ai decreti sicurezza.
Tagliati fuori da un sistema in cui il lavoro nero o grigio è la regola e non l’eccezione, la maggior parte dei braccianti non ha potuto regolarizzare la propria posizione, pur continuando a spaccarsi la schiena quotidianamente nei campi. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: migliaia di lavoratori che permettono al cibo di arrivare sugli scaffali e nei mercati – unico settore della filiera a non aver mai subito uno stop dall’inizio della pandemia – tagliati fuori dall’assistenza sanitaria, impossibilitati a cercare un alloggio decoroso e oggi costretti a rimanere “chiusi”, se non prigionieri, di un vecchio campo “provvisoriamente” da anni messo in piedi per ospitare i braccianti e dove mancano i servizi essenziali.
Ma dalla Regione ci si premura di raccomandare agli abitanti del campo container di “mantenere comportamenti rispettosi dell’igiene, del distanziamento interpersonale con divieto di assembramenti e dell’uso continuato di protezioni delle vie aeree”. Se la situazione non fosse tragica, sarebbe ridicolo.
A rigor di logica dovrebbe essere superfluo, ma tali “raccomandazioni” ci impongono di ricordare alla Regione una situazione che dovrebbe essere ben nota. La stagione degli agrumi è alle porte e a breve nella Piana arriveranno migliaia di braccianti senza i quali l’intera filiera è destinata a fermarsi e arance e mandarini a marcire sugli alberi. Non servono raccomandazioni, ma azioni concrete che Santelli e la sua Giunta si erano impegnate a fare non più tardi di qualche mese fa.
Servono alloggi decorosi, screening regolari e assistenza medica, servono dpi e mascherine, servono strutture per la quarantena con personale medico e infermieristico preparato all’assistenza, servono controlli rigorosi sugli imprenditori omaggiati dei fondi della Regione senza neanche uno straccio di verifica sulla regolarità dei contratti dei dipendenti, costretti all’irregolarità dall’ingordigia dei datori di lavoro.
Non si tratta di un problema dei braccianti, ma di un problema di tutti. Ma evidentemente otto mesi di pandemia non hanno ancora insegnato che il Covid19 è democratico e non guarda il colore della pelle nel suo propagarsi. Considerando la palese incapacità della Regione nel potenziamento del sistema sanitario, è dato che dalle parti della Cittadella dovrebbero tenere a mente: il propagarsi dell’epidemia nella Piana rapidamente metterebbe in crisi l’intero circuito ospedaliero, saturando reparti e posti letto. Di certo, a nulla potranno servire le Usca, deputate al monitoraggio domiciliare, non solo perché nel caso dei braccianti un domicilio decoroso non c’è, ma anche perché poco o nulla possono fare unità di assistenza domiciliare create su carta e mai dotate di personale adeguato, mezzi, dotazioni e protocolli.
Alla luce dell’inadeguatezza della Regione Calabria nell’affrontare una situazione che mette a rischio la salute dei singoli lavoratori, come potenzialmente di un’intera comunità, come Usb e Sportello dei diritti Soumaila Sacko abbiamo chiesto un incontro urgente alla Prefettura, chiamata ad intervenire prima che la situazione diventi per l’ennesima volta emergenziale. Inoltre, per l’ennesima volta, non possiamo che tornare a sottolineare come ogni soluzione tampone quali tendopoli o insediamenti temporanei, siano solo provvedimenti di corto respiro, costosi e sostanzialmente inutili. Alla base dell’attuale problema sanitario fra i braccianti della Piana c’è la privazione di diritti fondamentali di cui da decenni sono vittime.
Come rilanciato anche nel corso della partecipata assemblea tenutasi a Roma il 3 ottobre, che ha visto il coinvolgimento di diverse associazioni e realtà impegnate nella difesa dei diritti dei migranti, l’unica soluzione rimane la regolarizzazione per tutti, in modo da consentire ad un esercito di lavoratori, essenziali per la sopravvivenza della collettività tutta, di poter godere delle garanzie basiche previste da Costituzione e Statuto dei lavoratori: casa, cure, dignità.
Così in una nota USB Lavoro Agricolo Reggio Calabria.