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                                                        Crisi Economica BERSANI (PD): "Facciano un passo indietro. E' necessaria una vera discontinuità"

                                                                                        Intervento del Segretario del PD Pier Luigi Bersani dopo il discorso di Berlusconi alla Camera

Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio,

O lei ha sbagliato discorso o ha sbagliato Parlamento. Siamo in Italia e non si può descrivere la nostra situazione con i tratti di un cielo azzurro con qualche nuvola, che adesso spazziamo via facilmente.

Credo che l'unico merito del suo discorso sia stato quello di essere stato fatto a mercati chiusi, francamente.

Mi ha impaurito il discorso di Alfano, mi ha impaurito, mi ha impaurito il discorso di Alfano perché...non credo che ci sia più consentito, a proposito dei reciproci ruoli, di stare nella genericità.

Avrei molti motivi di polemica riguardo alle cose che ha detto il Presidente, al modo in cui siamo stati trattati in questi tre anni a proposito delle proposte che non avremmo avanzato, alla sufficienza, all'arroganza.

Ma voglio far forza a me stesso e non farò nessuna polemica, e quel che dovevo fare l'ho già fatto.

Attualmente, ho un altro tono rispetto a quello del

Presidente del Consiglio: o sono su Marte io o è su Marte lui. Io penso che l'Italia sia finita molto seriamente nei guai. Quindi, voglio dire l'essenziale, poche e basilari considerazioni.

Primo: nel nostro Paese, che è colpito, impaurito, da una crisi che non ha precedenti, sta montando un disprezzo verso la politica e le istituzioni, una sfiducia inedita che sta bruciando a poco a poco quello spirito civico di cui avremo un disperato bisogno per reagire.

Secondo: fuori dal nostro Paese il mondo sta volgendo lo sguardo altrove da noi. Non è solo speculazione. Stiamo parlando di investitori, stiamo parlando dei nostri creditori che pensano, se vogliamo i loro soldi, di farceli pagare di più perché non si fidano più.

Ora, questa sfiducia interna e internazionale non è un umore passeggero. Quell'opinione pubblica, quei mercati, quegli investitori, quei creditori hanno tirato le somme di una vicenda che ai loro occhi è già conclusa e che, se protratta, non può portare l'Italia da nessuna parte.

Vi prego di credere che non è per polemica politica, per interesse di bottega, che noi diciamo che ci vuole una svolta politica, che è l'unica vera cosa che possiamo fare subito; una svolta politica senza la quale nessuna cosa di quelle che faremo ci porterà ad un risultato.

E, comunque, qualsiasi cosa noi facciamo ha bisogno di tempo. Non lo si risolve con un discorso o con un monitoraggio con le parti sociali. Prendiamo atto di questa situazione. C'è bisogno di un po' di tempo, di una tregua con gli investitori, di una tregua con i mercati, con le istituzioni europee, con l'opinione pubblica: una tregua. Bisogna darci un tempo. E quel tempo ce lo può dare soltanto un gesto politico.

E, in quel tempo, noi dobbiamo onestamente rifare l'analisi del nostro problema. So anch'io che ci sono gli Stati Uniti e che c'è l'Europa, lo sappiamo tutti, leggiamo anche noi i giornali, e vedo che c'è anche qualche annotazione della Banca d'Italia all'interno di quanto ha detto il Presidente del Consiglio. Mi fa molto piacere.

Però - perbacco - noi dobbiamo rifare l'analisi della nostra situazione. Ci siamo raccontati delle cose non vere. Il nostro problema è il debito? Il nostro problema è il deficit? Sì, per l'amor di Dio, certamente. Ma sono i soli problemi? Arrivo a dire: sono i problemi fondamentali? No, no, tre volte no!

Sono tre anni che diciamo questa cosa. Noi abbiamo un paio di altri problemi.

Dopo una lunga stagione di bassa crescita - otto anni su dieci avete governato voi, comunque, chiudo qui l'inciso -vi è stata una precipitazione, una contrazione, che è avvenuta così forte solo in Italia.

Ma volete prendere atto di questa cosa? Sono tre anni che lo diciamo. Abbiamo perso sei punti di PIL, non li ha persi nessuno; e ne stiamo rimontando scarsi due. Pag. 45

Questo vuol dire - è molto semplice - che, mentre gli altri hanno già assorbito la contrazione, tanto o poco - tanto la Germania, meno un altro Paese, ma sono in quella che si può chiamare lieve ripresa -, noi stiamo ancora faticosamente sforzandoci di recuperare una cosa che non abbiamo recuperato.

Ci siamo raccontati che stiamo meglio degli altri, nel conformismo generale. Che stiamo meglio degli altri! Non abbiamo guardato in faccia questo problema.

Il secondo problema è la produttività. Abbiamo un divario di produttività micidiale, che non può essere risolto solo con il mercato del lavoro, con le relazioni sociali, e così via, soprattutto, se gli si dà una piega di precarizzazione, di atomizzazione e di sussidiarietà ideologica. E la ricerca? E le tecnologie? E le riforme di sistema? E i nuovi prodotti? E i nuovi servizi?

Questa è la produttività. Vogliamo, almeno per una volta, discutere questi temi, che sono temi di economia reale? Ma pensate davvero che i mercati guardino lo 0,1 per cento del deficit e non guardino i dati impressionanti della nostra bilancia commerciale, che ci sta dicendo che, strutturalmente, stiamo perdendo pezzi nella divisione internazionale del lavoro?

La domanda con cui ci si chiede come cavolo faranno questi a pagarsi il debito se non crescono neanche potenzialmente nel futuro, è una domanda legittima, che non viene dalla speculazione.

Quando si parla di banche, si dice: non hanno preso i subprime? Benissimo. Hanno superato gli stress test? Benissimo. Hanno i titoli «in pancia»? Ne hanno un po', non tanti quanto si dice. Il problema delle banche è che sono nei guai, perché le imprese sono nei guai.

Infatti, tutto il mondo sa che le nostre banche sono legate alle imprese, ma le imprese non hanno liquidità, non girano i pagamenti, c'è poco lavoro. E questo significa sofferenza, tagli e via dicendo per le banche. Il mondo lo sa. È necessario far girare un po' i pagamenti.

In questo quadro, si è detto: intanto, però, teniamo i conti a posto.

Vorrei dire questo, sinceramente, al Ministro Tremonti: io gli auguro che il codardo oltraggio non raggiunga le vette del servo encomio, che il Ministro un po' ha preteso in questi anni e che ha ottenuto troppo largamente. Me lo auguro, sinceramente.

Ci siamo detti, infatti, che i conti sono a posto, ma abbiamo 300 miliardi di euro in più di debito, è stato mangiato l'avanzo primario, la spesa in capitale è stata trasformata in spesa corrente, vi sono i tagli lineari e nessuna qualità all'interno delle manovre.

Devo concludere. Non si fanno miracoli nei conti pubblici, lo sappiamo benissimo, però, se siamo arrivati fin qui, non dite che le avete azzeccate tutte: una parola di autocritica, uno straccio di parola di autocritica, perbacco! Uno straccio di parola, ce lo dovete!

Adesso, è necessario un messaggio al Paese: chi ha di più, deve dare di più, chi è stato disturbato meno, deve essere disturbato di più, e ci disturbiamo tutti.

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