(ASI) E’ piuttosto evidente che la realizzazione del contratto di governo, firmato da Luigi Di Maio per i Cinquestelle e da Matteo Salvini per la Lega, è un percorso accidentato e alquanto impervio.
Non solo per il fatto che i due schieramenti politici abbiano pochi obiettivi in comune, ma anche perché prevedono spese senza adeguate coperture. E il fatto che finora siano riuscite, in qualche modo, ad andare d’accordo è quasi un miracolo. Ed è anche per questo che è necessario, prima possibile, che entrambi i leader depongano le baionette e facciano prevalere il buonsenso. Che finora è mancato in tante occasioni. L’ultimo caso, per l’ennesimo conflitto, sono i rifiuti. Siccome ci sono - i rifiuti, intendo - in qualche modo bisogna smaltirli. Per evitare le discariche, ormai quasi dappertutto strapiene, Salvini vorrebbe un termovalorizzatore in ogni provincia. Di Maio è nettamente contrario. Va bene la raccolta differenziata, ma non si può fare per tutto. I termovalorizzatori per i 5 Stelle sono tabù, a prescindere. E poi l’argomento, aggiungono, non è nel contratto di governo. Non ci sarà, ma se all’improvviso, sorge un problema, come peraltro è successo con il crollo del ponte a Genova, bisogna trovare comunque una soluzione. Non si può governare solo con quello che c’è nel contratto. E con le ossessioni pro o contro. Come è successo con i vaccini. E’ un’idiozia che può avere gravissime conseguenze, pensare di risolvere i problemi con le opinioni o, peggio ancora, con le ideologie. In questi casi ci vuole l’umiltà di ammettere l’ignoranza e di affidarsi agli esperti che in questo caso sono i medici, peraltro gli unici che possono e devono dare le soluzioni adeguate; e allora poiché in parlamento ci sono alcuni medici, e anche qualche scienziata, il buonsenso avrebbe consigliato di affidare a loro la decisione. Senza inutili e ridicole polemiche. Lo stesso vale per la tratta ad alta velocità per i treni merci Torino Lione. Si facciano gli studi su costi benefici e si traggano le conseguenze, senza guerre di religione, che sono assurde, inconcepibili e dannose. I 5 Stelle hanno avuto come cavallo di battaglia, durante la campagna elettorale, il “reddito di cittadinanza”. Hanno promesso agli elettori (tra cui c’è il sottoscritto, che ha fatto 1600 chilometri per andare a votare, ovviamente a proprie spese) che avrebbero dato un aiuto ai disoccupati e a chi si trova in situazioni economiche difficili; e che avrebbero anche aiutato, con i centri per l’impiego, a trovare un lavoro. Il fatto di voler assistere chi ha bisogno è un’intenzione nobile e condivisibile. Qualche dubbio sorge sui mezzi che s’ intende utilizzare. Anche perché l’aiuto non può che essere temporaneo, mentre ci vogliono interventi di politica economica che rilancino l’economia di un Paese che stenta a decollare, appesantito da un debito enorme, eccessivamente oneroso che a lungo andare diventa impossibile sostenere. Come prova a ricordarlo (inutilmente) quasi ogni giorno Mario Draghi, il presidente della Bce, che con i massicci acquisti di titoli di Stato (finora 2.547 miliardi di euro) e i bassi tassi di interesse ci ha consentito di tenere a galla il Paese.
Da noi, è risaputo, (da quelli che pagano, naturalmente) che la pressione fiscale è insopportabile e porta anche, come fatale conseguenza, ad una elevata evasione fiscale, calcolata intorno ad un centinaio di miliardi di euro l’anno. Un’enormità. Un imprenditore che investe, e quindi rischia, un capitale, più o meno cospicuo, lo fa per ottenere un profitto, ma se questo profitto viene taglieggiato così pesantemente dal fisco, a volte anche con una tassazione che in alcune regioni arriva perfino al 70 %, l’imprenditore ha solo due strade: o evade o chiude. E’ veramente inspiegabile che i politici non riescano a capirlo. Non solo, questa enorme pressione fiscale scoraggia gli investitori stranieri. I quali, anche quando investono in Italia, appena possono lasciano il nostro Paese (con centinaia di disoccupati) e trasferiscono armi e bagagli in altre Nazioni. L’ultima è la vicenda Pernigotti. Un danno enorme per i singoli e per tutta l’economia. Ecco perché la riduzione della tassazione, in maniera drastica ed incisiva, per tutti e non per alcune categorie, era la prima decisione che questo governo doveva prendere. Questo sarebbe stato il vero cambiamento. Alcuni economisti hanno rilevato che ridurre la tassazione dell’1% porta come conseguenza un aumento del Pil di almeno il 2%. Ma senza essere economisti si arriva alle stesse conclusione se si considera che se in una famiglia ci sono maggiori risorse si è portati a spendere di più, quindi a far aumentare la domanda di beni e servizi, e questo fa sì che aumenti la produzione, con la crescita dei posti di lavoro e la riduzione dei disoccupati. D'altronde è inutile pensare ai centri per l’impiego se i posti di lavoro non ci sono, prima bisogna crearli, e ciò è possibile sostenendo la crescita della domanda. Sono semplici, elementari nozioni di economia, da scuole serali. O, se preferite, di semplice buonsenso. Appunto. Qualcuno potrebbe ribattere che servirebbero comunque delle risorse. Dove trovarle? Riducendo gli sprechi. Che sono tantissimi. E un Paese così malridotto non se li può più permettere.
Fortunato Vinci - Agenzia Stampa Italia