L’assurdo conflitto istituzionale e il governo del presidente in un Paese allo sbando

Parlamento Italiano Giuramento di Giovanni Leone(ASI) Il pasticcio ora è completo. Fallito - vedremo da parte di chi e perché - il tentativo di formare il governo tra il M5Stelle e la Lega, ora ci sarà un esecutivo provvisorio, probabilmente senza maggioranza parlamentare, guidato da Carlo Cottarelli, colui che era stato chiamato per fare la spending review, cioè la riduzione del debito pubblico mediante il taglio degli sprechi e che ora, incaricato da Sergio Mattarella, guiderà il nuovo governo.

E’ questa la conseguenza dopo più di due mesi dalle elezioni, di un assurdo e del tutto incomprensibile braccio di ferro tra il presidente della Repubblica, ed il duo Di Maio-Salvini, su Paolo Savona, l’economista scelto cui assegnare il ministero dell’Economia. Paolo Savona, che ha 81 anni ed è già stato ministro dell’Economia, ha anche avuto incarichi prestigiosi in altre importanti istituzioni, insomma è una persona esperta ed autorevole, seppure con qualche ombra nel suo passato. Era la persona adatta? Savona ha più volte dichiarato di non essere entusiasta (un pietoso eufemismo) né dell’euro né di questa Europa e avrebbe voluto modificare i trattati o comunque i rapporti che l’Italia ha con gli altri Paesi, soprattutto con quelli che comandano, vale a dire Germania e Francia. Questa posizione, con l’ostracismo all’euro, non è stata giudicata dal Quirinale - e immagino da tanti altri poteri più o meno forti - adeguata al ruolo e, dunque, da non avallare. Esattamente l’opposto di quello che hanno invece sempre pensato, peraltro con straordinaria ed del tutto eccezionale determinazione, Di Maio e Salvini. Ne è nato un imbarazzante conflitto istituzionale perché il secondo comma dell’articolo 92 della Costituzione dice che “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e, su proposta di questo, i ministri”. E’ chiaro che i padri costituenti intendevano indicare la strada maestra, perché ci fosse, sempre, un’unità di intenti, una condivisione delle decisioni e delle scelte, una sintonia tra il presidente della Repubblica e il Governo. Il problema nasce (ed infatti è nato) quando i giudizi sono diversi. Ci sono tanti precedenti, ma ogni volta è stato il presidente del Consiglio incaricato che si è adeguato alle richieste del Capo dello Stato. D’altronde proporre (dal latino proponere) sta a significare, riporta il Palazzi “porre avanti qualcosa, perché sia esaminata, discussa, accettata”. Lo ricordo a beneficio dei milioni di costituzionalisti che abbiamo scoperto ci sono in Italia, quindi la proposta di Savona, significava che era suscettibile di essere messa in discussione, come è avvenuto. Certo se si pensa che Mattarella non ha battuto ciglio quando ha nominato Valeria Fedeli, ministro dell’Istruzione, e tante altre mezzecalzette in dicasteri importanti e delicati, sorgono molte perplessità sul comportamento del Capo del Stato, però questa volta si trattava di questioni assai importanti come l’Europa, la moneta e i conti pubblici. Giuseppe Conte, il presidente costretto a rinunciare all’incarico, aveva dietro di sé gli esponenti di 5 Stelle e Lega che non hanno voluto assolutamente modificare le loro scelte. Perché? Molti ipotizzano che l’impuntatura di Salvini, per certi versi del tutto incomprensibile, considerando che cosa c’era in ballo, sia stata fatta volutamente: cercava un alibi per addossare ad altri la responsabilità di rompere il contratto con Di Maio. E’ un’ipotesi che ha molti sostenitori. Se così fosse il beffato sarebbe Luigi Di Maio ed i 5 Stelle, che ingenuamente hanno seguito ed avallato fino alle estreme conseguenze il decisionismo strumentale della Lega. Ora tutti, smarriti, ancora si chiedono, in questi casi, quale parere debba prevalere. La saggezza e il senso dello Stato dovrebbe consigliare, meglio: imporre a tutti di evitare di arrivare a questi conflitti. Credo non ci sia, però, alcun dubbio, che a cedere, alla fine, debba essere il Quirinale. Perché se è vero che il Capo dello Stato non debba fare il semplice notaio, come ha detto in questi ultimi tempi Mattarella, ricordando un suo predecessore, Luigi Einaudi, è altrettanto vero che si tratta di scegliere dei ministri che debbono poi avere la fiducia del Parlamento, la cui forza ed autorevolezza costituzionale è data dalla elezione diretta che arriva dal popolo, che è sovrano (secondo comma art. 1 Costituzione).

Ora ci aspettano le urne, con una spesa di 300 milioni. Qualcuno ipotizza già alla fine dell’estate, la seconda domenica di settembre, sperando che nel frattempo il Parlamento riesca a fare una riforma dell’attuale legge elettorale per non riproporre i problemi sorti dopo il voto del 4 marzo. Vedremo. Intanto Carlo Cottarelli, per il suo passato, per l’esperienza e l’autorevolezza di cui gode, rassicura i mercati: mentre scrivo la Borsa ha un guadagno del 1,5% dopo aver bruciato 51 miliardi di euro in nove sedute.                                          

Fortunato VinciAgenzia Stampa Italia

 
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