(ASI) L’Italia è nota nel mondo per molti motivi. Il patrimonio storico e quello artistico-culturale, la buona cucina e le bellezze del suo territorio. Sfortunatamente è anche nota per le lentezze nella costruzione delle infrastrutture e nel loro aggiornamento tecnologico, oltre che nell’adeguamento dei progetti che, spesso, risultano obsoleti ancor prima di vedere la luce.
Di questa ben nota tematica, e dei disagi ad essa collegata, parliamo, in esclusiva, con Luca Scateni, responsabile infrastrutture per la CDU Toscana.
Dott. Scateni, perché secondo lei è importante parlare di infrastrutture mancanti, inadeguate o mai realizzate?
In Italia, abbiamo uno strano record: quello delle opere pubbliche non finite. Sono sparse qua e la in tutta la penisola, e la Toscana non fa eccezione. Si tratta di un record di cui non vantarci. Tale “record” è in larga parte dovuto anche e soprattutto al lungo iter gestazionale dei progetti di casa nostra che ovviamente finisce per risentire di correzioni in corso d’opera. Queste ultime, tra l’altro, alle volte si rendono necessarie, poiché, come già accennato, le lungaggini progettuali, burocratiche ed attuative, finiscono sempre per far rischiare l’obsolescenza dei progetti prima ancora che si arrivi a vedere l’inizio dei lavori. Normalmente, se voglio puntare ad opere pubbliche efficienti, il concetto di fondo è il tempo. Bisogna fare le cose con modo ed efficienza onde non doversi ritrovare in una situazione tale per cui io debba fare correzioni in corso d’opera. Tutto ciò ha portato nel corso della nostra storia recente, alla cancellazione a tempo indefinito di importanti opere pubbliche. Ci può stare che un’ opera pubblica non sia terminata, oppure che il progetto venga rivisto, ma dovrebbero essere dei rari casi dovuti a motivazioni di forti ed improvvisi mutamenti degli assi economici, o a motivazioni di pari forza e tenore.
Ma secondo lei quindi è la burocrazia il “male” italiano in materia di opere pubbliche ed infrastrutture?
Diciamo che la legislazione in materia di opere pubbliche, recentemente rivista (secondo me in peggio), non aiuta. Questo perché non è intervenuta nei punti in cui il meccanismo della legge italiana si “inceppa”. Tali inceppature sono anche e soprattutto il frutto di fondi erogati con il contagocce oppure scandali e “scandaletti” vari che fanno alzare il costo delle opere. In tale situazione, la pubblica amministrazione non ha più le risorse necessarie poiché esse o non vengono stanziate a causa di strozzature burocratiche e di ripensamenti a monte, oppure si vedono erogare fondi per progetti il cui iter è ancora in corso.
Quando lei parla del “non finito”, a cosa si riferisce?
Per fare un esempio concreto, voglio portare alcune opere toscane che, dopo apprezzabili slanci iniziali, vedono da anni una fase di stallo. Il caso più clamoroso in casa nostra è quello della S.G.C. Fano-Grosseto, nota come Due Mari, o E78. Si tratta un’opera importante dal punto di vista sia economico che turistico. Economicamente è chiaro che porterebbe al collegamento tra le due costiere italiane, quella adriatica e quella tirrenica, con tutti gli ovvi benefici del caso per quanto riguarda il traffico delle merci, ma anche quello di tanti italiani che si spostano per lavoro, così come dei potenziali flussi turistici che scaturirebbero da un simile nuovo itinerario veloce. Rimanendo su questo punto, non si può non sottolineare che potenzialmente, lungo questo itinerario, si potrebbe creare un indotto economico proprio legato al turismo. Ormai chiunque parli di economia italiana dovrebbe aver capito che i flussi turistici sono la vocazione del nostro sistema-nazione. Ultimamente la situazione, per la Fano-Grosseto, sembra essersi quasi sbloccata, secondo dichiarazioni rese alla stampa dal Sen. Riccardo Nencini.
Lei è dunque fiducioso che i toscani vedranno realizzata quest’opera in tempi brevi?
P Per adesso rimangono solo dichiarazioni. Siamo in attesa di vedere i fatti. Allo stato attuale, per la E78, risultano da completare in Toscana: il collegamento tra Le Ville e la E45 con la galleria della Guinza, il Nodo di Arezzo, tra Palazzo del Pero e San Zeno, il collegamento tra Monte San Savino e il raccordo Siena-Bettolle-Perugia.
Praticamente si tratterebbe di un’opera strategica non solo per la Toscana, ma anche per le regioni confinanti.
Mi pare chiaro. Per questo motivo ho proposto da tempo, ed anche su altre questioni (vedasi il cosiddetto “sfondamento” della ex Ferrovia Centrale Umbra verso Arezzo), la formazione di un tavolo infrastrutturale tra Toscana, Umbria, Emilia-Romagna e Marche. Quando si parla di infrastrutture non bisognerebbe vincolarsi infatti ad un rigoroso rispetto dei confini amministrativi. Prendiamo la cartina geografica dell’Italia, mettiamo nero su bianco le varie infrastrutture da ammodernare/costruire/completare, e solo in un secondo momento si aprano i necessari iter legislativi. Dico questo non perché io sia un anarchico che vuole bypassare le leggi nazionali e regionali, ma semplicemente perché una volta che si sia redatto un progetto d’insieme nell’interesse di più regioni confinanti, queste ultime potranno avviare un iter legislativo e procedurale comune, andando così a snellire le tempistiche della pubblica amministrazione.
Quanto lei propone in sostanza non pare al momento essere l’indirizzo politico delle regioni da lei citate, almeno su questa questione. Quali sono le conseguenze del continuare con gli attuali iter legislativi regionali, nelle singole regioni?
La domanda da lei posta necessiterebbe di una risposta estremamente articolata e complessa. Farò un semplice esempio riferito alla Toscana. Da fonte stampa mi risulta che l’AD di un’azienda casentinese abbia più volte denunciato lo stato di abbandono e la mancanza dello sbocco a nord delle infrastrutture casentinesi. Questa persona ha ragione a preoccuparsi. Vorrei sapere cosa pensa del fatto che la ferrovia casentinese sarà soggetta ad un dubbio upgrade tecnologico del costo di 20 milioni. Ricordiamoci che la ferrovia del Casentino è l’unica rimasta di proprietà della Regione Toscana e quindi tutta l’operazione ricadrebbe integralmente sui contribuenti toscani. Inoltre si va ad ammodernare un'infrastruttura che potenzialmente potrebbe interessare anche le regioni vicine. Questo potrebbe portare, nell’idea di un tavolo congiunto, ad una redistribuzione dei costi, ammettendo la “necessità” di questo intervento. Il vantaggio sarebbe da una parte un’alleggerimento delle spese sotenute dalla Regione Toscana, che di contro vedrebbero i lavori interessare anche le infrastrutture delle regioni vicine, collegate alla tratta ferroviaria del Casentino.
Si parlava prima di opere incompiute in territorio toscano. Quali altri esempi, oltre a quelli citati, si possono trovare?
L’altra grande incompiuta è il passante AV ferroviario di Firenze. In una recente intervista, l'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, Renato Mazzoncini, ha annunciato che il tunnel e la relativa stazione apriranno al servizio commerciale entro il 2022. Questa scadenza sembrerebbe essere portatrice di buone notizie, se non fosse che è accompagnata anche da quelli che si annunciano essere importanti disagi per i pendolari toscani. Pare infatti che la Linea Direttissima, a partire dal 7 dicembre 2020, sarà preclusa alla circolazione dei treni che non raggiungono i 200 km/h, cioè Regionali e InterCity. Sarà dunque inevitabile che i tempi di percorrenza aumentino. Questa “doppia velocità” è incomprensibile alla luce del fatto che tutte le tipologie di treno fanno parte dello stesso sistema di Trasporto Pubblico. Il passante Alta Velocità avrà come impatto la decongestione della Stazione di Firenze SMN. Rimane, tuttavia, il problema delle interferenze nella circolazione tra le varie tipologie di treni. Mi trovo a ripetere per l’ennesima volta che serve un vero ammodernamento della tratta Rovezzano-Valdarno-Arezzo. Questa è la vera ed unica soluzione al problema. Di questo aspetto ne vorrei parlare con l'AD di RFI, Ing. Gentile, per presentargli una minima bozza di progetto.
Un’altra grande incompiuta in Toscana rimane l'Autostrada A12. La tratta da completare è quella tra Tarquinia e San Pietro in Palazzi. L’opera è di fondamentale importanza poiché, una volta terminata, costituirà una valida alternativa all'A1, decongestionandola in parte con l’itinerario Roma-La Spezia-Parma, con la A15 Pontremolese e relativo innesto con l’A1 a nord di Parma. In questo modo, Roma sarà collegata senza interruzioni a Pisa e Livorno fino a Genova. Per realizzarla basta semplicemente ammodernare la SS1 Aurelia.
Un ultimo pensiero lo vorrei dedicare ad uno specifico problema di Arezzo: quello di Ponte Buriano. Si tratta di un manufatto romanico, oramai non più adeguato ad una moderna circolazione stradale che si trova nel territorio comunale. Si reperiscano, anche con le risorse dei Ministero dei Beni Culturali, i fondi necessari a modificare la viabilità con un nuovo ponte. Ho citato questo Ministero perché eroga risorse a condizione che vi sia realizzata un’opera d’arte, in questo caso il restauro del ponte.
Come si potrebbe ovviare a simili ritardi nella realizzazione delle infrastrutture strategiche del trasporto nazionale?
Sul fronte puramente legislativo io affronterei la questione a livello nazionale. In Italia non abbiamo un Piano Nazionale delle Infrastrutture e dei Trasporti. Per fare ciò credo vada modificato, e bene, il Titolo V della Costituzione, in particolare l’Art. 117 che testualmente recita: "Sono materie di legislazione concorrente [...] porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione". Tornino ad essere di competenza esclusiva dello Stato le infrastrutture. I danni provocati dalla riforma del 2001 sono molteplici. In primo luogo, sotto l’aspetto manutentivo, poiché le regioni, e quello che rimane delle province, non hanno obbiettivamente le risorse finanziare per affrontare questo tema in maniera organica, e soprattutto nel quadro di una necessaria qualitativa e quantitativa uniformità di servizi infrastrutturali su tutto il territorio nazionale.
Alexandru Rares Cenusa – Agenzia Stampa Italia
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