(ASI) Secondo uno studio della Cgil presentato oggi, il mercato immobiliare residenziale italiano sta infatti conoscendo una fase di crisi che negli ultimi 25 anni non si era mai verificata, prodotto di cause esterne (la crisi economica) ed interne (una crescita degli scambi durata 9 anni su 10).
La conseguenza di questa crisi si pesa nella forte discesa in termini di volumi quantificabile in un -30% degli acquirenti in meno in tre anni. In questo quadro i prezzi di vendita si sono abbassati ma non nella stessa misura e non abbastanza per incontrare la domanda. Sono alcune delle considerazioni presentate oggi in Corso d'Italia per l'iniziativa "Bisogni abitativi e housing sociale".
Negli ultimi dieci anni, spiega lo studio sindacale, “l’innalzamento dei prezzi di vendita e dei canoni d’affitto delle abitazioni è stato ampio e di gran lunga superiore alla crescita dei redditi delle famiglie”. Secondo un’indagine effettuata dalla CGIL e dal Sunia i canoni dei contratti rinnovati sono cresciuti nel periodo 200-2010 mediamente del 130%, con punte del 145% nei grandi centri abitativi. Nello stesso periodo l’aumento medio dei costi degli immobili è risultato pari a + 50%, fino al 100% nei grandi centri urbani. “In una situazione di generale difficoltà economica per le famiglie”, le spese per le abitazione costituiscono oggi una delle voci principali del bilancio familiare: “quasi 2,5 milioni di famiglie, pari al 10% del totale, si trovano in condizione di serio disagio nel pagare tali spese che pesano, di fatti, per oltre il 40% sul reddito”.
Si tratta in particolare di famiglie in affitto (31%), di quelle con redditi più bassi, inferiore a 15 mila euro (27%), di famiglie monogenitori con figli minori (26%), di persone sole con meno di 35 anni (24%), a conferma delle difficoltà che i giovani incontrano nel realizzare il progetto di uscita dalla famiglia di origine”. Il 13,5% delle famiglie si è ritrovata nel 2008 in arretrato con il pagamento delle spese per la casa: il 12% con i pagamenti delle utenze domestiche, il 14% con l’affitto e l’8% con le rate del muto. In sintesi quindi “aumentano le condizioni di disagio delle famiglie legate alla diminuzione dei redditi reali in fascia intermedia e alle minori capacità reddituali; aumentano le condizioni di forte disagio relativo alle famiglie che hanno un’incidenza delle spese oltre il 40% del reddito, oltre cioè la soglia ritenuta critica per l’equilibrio familiare”.
Tra le dinamiche che concorrono a definire il problema abitativo alcune sono legate alla tipologia familiare che negli anni si è fortemente modificata, con una diminuzione di componenti per nucleo familiare, oggi pari a 2,4 componenti per nucleo, ma contemporaneamente si è registrato un aumento dei nuclei. Ci sono più famiglie ma sempre più piccole (negli ultimi 30 anni le famiglie mono componente sono passate dall’8,5% al 27%). A questo deve aggiungersi la presenza dei migranti, ai quali si deve il saldo positivo della popolazione del nostro paese. Al primo gennaio dello scorso anno gli stranieri residenti erano 4 milioni e 279 mila, il 7% del totale della popolazione. Gli irregolari sono stimati in circa 600 mila. Per la quasi totalità sono persone che si rivolgono al mercato dell’affitto e corrispondono a circa 1 milione e 300 mila nuclei familiari dove l’80% vive in coabitazione con uno o più nuclei, l’85% ha un contratto non registrato o per una cifra inferiore, l’80% è monoreddito, il 70% percepisce un reddito inferiore a 15mila euro annui. In sintesi si riducono i componenti per nucleo familiare ma aumentano i nuclei, sempre più famiglie e sempre più piccole, aumenta la popolazione per la presenza dei migranti.
Secondo la CGIL, quindi, “un effetto delle modificazioni delle tipologie familiari legate al generale processo di impoverimento in corso degli anni, e del peso che su questo hanno le spese per la casa, è lo spostamento di sempre maggiori famiglie dalla città verso l’esterno, nel tentativo di risparmiare su quella che è la spesa che maggiormente incide sul bilancio familiare”. Parallelamente negli anni le politiche rivolte al settore sono state “sempre più disincentivanti”: il comparto pubblico ha visto nell’impegno per l’edilizia residenziale già esigua (il 4% dello stock abitativo contro una media europea del 20%), uno sostanziale “smantellamento” dell’intervento diretto. La produzione annua è passata dalle 34 mila abitazioni in edilizia sovvenzionata del 1984 alle circa 2 mila unità degli ultimi anni su un totale di circa 300 mila abitazioni costruite. Alla diminuzione della produzione si è accompagnato un progressivo aumento del fabbisogno stimabile in circa 600 mila domande di aventi diritto nelle graduatorie dei comuni.
La CGIL pone quindi al centro della casa perché “cresce un forte disagio abitativo” nonostante, riporta lo studio, nel nostro paese ci siano più abitazioni che famiglie, rispettivamente 32 milione e 25 milioni), nonostante una produzione edilizia molto sostenuta, in particolare nell’ultimo decennio (escluso l’ultimo periodo circa 300 mila nuove alloggi ogni anno), nonostante si stimano essere 800 mila gli alloggi vuoti. Perché nonostante questi dati strutturali la casa è tuttora un problema. Ma se la casa sembra essere già oggi un problema nel prossimo futuro si manifesta “una chiara e drammatica tendenza”. Si stima infatti che nei prossimi anni ci saranno in Italia tra le 13 e le 15 milioni di famiglie che disporrano di un reddito mensile di 1.500 euro al mese o poco meno. Si tratta perlopiù di nuclei il cui capofamiglia è un pensionato, un operaio, un giovane precario o un lavoratore extracomunitario stabilizzatosi in Italia. Essi rappresentano una sorta di ‘cuscinetto sociale’ che rimane al di sotto della media dei redditi dei cittadini italiani e sopra però la soglia di povertà. L’ esplosione di questa fascia di reddito intermedia non può trovare nel mercato attuale una risposta.
Tutto ciò, secondo le previsioni del sindacato, produrrà un mercato dell’affitto con ad un estremo un’area di canone libero pari a 1.100 euro e all’altro i canoni di edilizia sociale (80 euro). All’interno due aree con livelli di canone già individuabili nei soggetti proponenti: la prima di canone concordato (800 euro), seppure con le difficoltà che questo strumento avrà nella sua applicazione in seguito alle misure recentemente introdotte, la seconda di canoni convenzionati praticati dai nuovi Fondi immobiliari tramite operazioni che presuppongono comunque interventi su un insieme di fattori: aree, procedure, tipologie edilizie, tempi, costi di costruzione, opportunità di investimenti integrativi (600 euro). La parte di popolazioni riferita alla fascia di reddito intermedia prima identificata (13-15 milioni di famiglie con reddito mensile pari a 1.500 euro al mese) tenendo conto delle “limitatissime opportunità” di accesso all’edilizia pubblica, è completamente priva di una offerta adeguata alle sue possibilità di reddito. “Se non si interviene su altri fattori - conclude lo studio - non ci sarà la possibilità di trovare nel mercato attuale una risposta”.