(ASI) L’accordo commerciale tra Unione Europea ed il Marocco ha provocato l’invasione di pomodori con una crisi senza precedenti della produzione nazionale, che si concentra in Puglia e Sicilia, dove si coltiva il pregiato pomodoro Pachino. E’ la Coldiretti a lanciare l’allarme sull’attacco ad un prodotto simbolo della dieta mediterranea Made in Italy minacciato, come l’olio di oliva, dalle agevolazioni accordate dall’Unione Europea per l’importazione di prodotti che fanno concorrenza sleale a quelle nazionali.
L’accordo con il Marocco - sottolinea la Coldiretti - è fortemente contestato dai produttori agricoli perché nel paese africano è permesso l’uso di pesticidi pericolosi per la salute che sono vietati in Europa ma anche perché le coltivazioni sono realizzate in condizioni di dumping sociale per il basso costo della manodopera.
Con l’aumento delle importazioni è cresciuto peraltro il rischio di frodi con il pomodoro marocchino venduto come italiano. Il risultato – evidenzia la Coldiretti - è che le quotazioni al produttore agricolo sono praticamente dimezzate rispetto allo scorso anno su valori inferiori ai costi di produzione che sono insostenibili e mettono il futuro della coltivazione in Italia.
Secondo l’Ismea nel mercato di Vittoria in Sicilia i pomodori ciliegini sono stati quotati ad inizio marzo appena 0,58 euro al chilo mentre quelli tondi lisci addirittura 0,35 euro al chilo.
La Coldiretti chiede che la Commissione Europea attivi urgentemente le clausole di salvaguardia previste dall’accordo, vista la grave perturbazione di mercato creata dall’eccessivo aumento delle importazioni, che rischia di mettere in ginocchio l’economia e le opportunità di lavoro di interi territori. Secondo la Coldiretti sono stati peraltro superati i contingenti di importazione fissati dallo stesso accordo tra Unione Europea e Marocco.
L’Italia - conclude la nota della Coldiretti - produce oltre un milione di tonnellate di pomodoro da mensa in pieno campo ed in serra, con la Sicilia leader di settore, ma la superfice coltivata si è ridotta del 13% negli ultimi 15 anni, da oltre 30.000 ettari del 2000 a circa 26.000 nel 2015.