(ASI) Dichiarazione dell'avv. Vincenzo di Nanna, segretario di Amnistia Giustizia Libertà Abruzzi. La "bocciatura" da parte dell’UE del piano del ministro Alfano per via della sua natura
discriminatoria è la conferma di quanto ha esposto Marco Pannella al Procuratore della Repubblica di Roma, dott. Giuseppe Pignatone, denunciando Roma Capitale per discriminazione razziale nei confronti dei Rom e dei Sinti.
La denuncia del leader radicale mette in luce la connessione tra politiche razziste e corruzione: le prime sono finalizzate alla seconda, il razzismo è un "business" che si consuma sulla pelle degli ultimi portando vantaggi politici ed economici a chi infrange le leggi che tutelano i diritti umani, sempre impunemente. Il docufilm radicale “Dragan aveva ragione”, che è stato consegnato alla procura in quanto i contenuti sono alla base della denuncia, offre infatti allo spettatore la possibilità di comprendere come dietro le ordinanze illegali di sgombero, che i cittadini sanno essere mere operazioni di facciata non risolutive, si nascondano in realtà gli interessi emersi dall’inchiesta nota come “Mafia Capitale”.
L’UE ha sottolineato, così come i Radicali fanno da tempo, l’impossibilità di intraprendere politiche su base etnica senza incorrere in una procedura d’infrazione: i trattati internazionali che il nostro paese ha ratificato non consentono di avviare misure discriminatorie. L’unico strumento in grado di risolvere i problemi della condizione dei Rom e dei Sinti è la “Strategia nazionale d’inclusione”, presentata dall’Italia e ratificata dall’Europa nel marzo 2012, che oltre a prevedere la partecipazione diretta della minoranza offre un ampio quadro di finanziamenti che l’UE ha messo a disposizione e che le amministrazioni non hanno mai richiesto.
Sarà forse per via dei criteri di trasparenza su cui si fonda la possibilità di accedere ai fondi strutturali, che bloccherebbero per sempre la spartizione dei soldi pubblici condotta negli ultimi vent’anni dalle amministrazioni di centrodestra e centrosinistra che lucravano sugli sgomberi e sui campi nomadi?
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Copia del testo della denunzia a firma di Marco Pannella
On. Sig. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma
Atto di denunzia
Il sottoscritto Giacinto Marco Pannella, nato a Teramo il 2 maggio 1930 ed elettivamente domiciliato in Teramo alla Via M. Capuani n. 95, presso lo studio dell’avv. Vincenzo di Nanna, espone quanto segue.
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La decisione di accogliere e concentrare i cittadini d’etnia rom in quei luoghi di segregazione spaziale, abitativa e sociale, denominati “villaggi della solidarietà”, nasce nel 1994, come soluzione “provvisoria” assunta con ordinanze del Sindaco di Roma, nella forma dei provvedimenti “contingibili e urgenti” e con l’obiettivo, mai realizzato, di programmare una graduale serie d’interventi finalizzati a dare dignitosa e civile accoglienza ai nuclei di Rom e Sinti aventi i requisiti di legge e di cui si èaccertata la presenza nel territorio comunale. (ordinanza n. 80/1996)
Il Comune di Roma, tuttavia, non solo ha fallito tale obiettivo, ma, addirittura, condotto una politica marcatamente discriminatoria, alimentata da un sistema di malaffare, che sembra aver tratto rilevante profitto proprio dal mantenimento, a tempo indeterminato, del “sistema dei campi”, i cui elevatissimi costi pubblici potrebbero giustificarsi solo in una situazione realmente transitoria e non certo protratta per ben venti anni.
Una politica discriminatoria, non è inutile ricordarlo, che:
1) si pone in netto contrasto con gli obiettivi che lo stesso Governo Italiano ha fatto propri nel febbraio del 2012, mediante l’adozione della “Strategia Nazionale d’inclusione dei rom, sinti e dei camminanti” per l’attuazione della comunicazione della Commissione Europea n. 173/2011, in cui i campi Rom sono stati definiti condizione fisica d’isolamento che riduce la possibilitàd’inclusione sociale ed economica della comunitàRCS;
2) è stata realizzata mediante una condotta, con riferimento alla quale il Comitato Europeo dei Diritti Sociali (CEDS), il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, il Comitato per l’eliminazione della discriminazione razziale, l’Alto Commissario OSCE per le minoranze nazionali, hanno già ripetutamente denunziato la violazione da parte dell’Italia del principio generale di non discriminazione;
3) è stata “condannata” dal Senato della Repubblica Italiana che, nel Rapporto conclusivo all’indagine sulla condizione di rom, sinti e camminanti, approvato il 9 febbraio 2011, ha riconosciuto l’inefficacia del “Piano Nomadi” sotto il profilo della sicurezza e dell’integrazione.
Detto “Piano”, non è inutile ricordarlo, è stato dichiarato illegittimo e annullato con sentenza (n. 60050) emessa dal Consiglio di Stato il 16 novembre 2011.
Il carattere palesemente discriminatorio della catastrofica gestione dei campi rom da parte di Roma Capitale, è stato peraltro accertato e formalmente riconosciuto, con ordinanza emessa dal Tribunale civile di Roma il 30 maggio 2015 (proc. n. 17035/2012 R.G.A.C.), in relazione alla specifica fattispecie dell’assegnazione di alloggi nel “campo attrezzato” della “Barbuta”.
Il Giudice del Tribunale di Roma, in effetti, all’esito di un’amplia e articolata attività istruttoria, dopo aver operato un’esauriente esposizione del quadro normativo vigente, ha accertato che detto “campo attrezzato” risulta:
1)non idoneo a ospitare un insediamento umano per incompatibilità con il d.lgs. n.96/05 e D.M. 20 aprile 2006, perché posto a ridosso dell’aeroporto di Ciampino;
2)ubicato in area periferica del Comune di Roma caratterizzata da strutturale mancanza della rete di servizi necessaria e propria delle aree destinate all’espansione urbanistica, quale conseguenza inevitabile dell’originaria e non mutata destinazione a “verde pubblico”della zona;
3)realizzato con moduli abitativi rappresentati da prefabbricati di circa 30 mq, conformi alla normativa tecnica tesa a garantire la salute e la sicurezza delle persone che utilizzano case mobili come alloggio temporaneo o stagionale, quali caravan, e, tuttavia, destinati a ospitare stabilmente estesi nuclei familiari;
4)gestito in maniera da produrre rilevanti limitazioni persino alla libertà personale e riservatezza degli “ospitati”, derivanti dal rigido regolamento del campo “Villaggio della solidarietà”, che comprime, in maniera inaccettabile, modalità e orari di visite.
Il Magistrato giunge persino ad affermare una compromissione e “ridimensionamento” della “natura realmente libera della permanenza”.
Definisce “condizionata” la “volontarietà”dell’accettazione degli “alloggi”del campo autorizzato da parte di chi viene sgomberato dai campi non autorizzati ovvero abusivi, atteso che …la soluzione offerta, e quanto meno statisticamente prevalente, in quanto a monte predeterminata, non risulta essere altra che quella del campo autorizzato.
Dunque, secondo il giudizio del Tribunale civile, è proprio il carattere non transitorio della “soluzione abitativa” offerta, ad aver determinato un deteriore, non transitorio, trattamento differenziato rispetto ad altri soggetti in situazione di disagio sociale anche abitativo, violando il diritto inviolabile di ogni persona –ex art. 2 Cost –come singolo e quale componente di una formazione sociale in cui si esprime la sua personalità, ad un’esistenza dignitosa, dal punto di vista delle esigenze primarie dei singoli ma anche di quelle di relazione, crescita, affermazione sociale, e dunque a un’esistenza innanzitutto libera da ogni forma di degrado, igienico, ambientale, familiare, sociale, culturale lavorativo etc.
Un trattamento che, come si legge nel testo dell’ordinanza, appare riconducibile alla fattispecie della “discriminazione indiretta–ex art 2 comma 1 lett. b) del d.lgs. n. 215/03 –la quale ricorre “quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza od origine etnica, in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”.
Il Giudice civile non ha tuttavia ritenuto di dover esprimere alcun giudizio diretto sulla possibile rilevanza penale della descritta condotta discriminatoria, valutazione di competenza dell’Ufficio della Procura della Repubblica, che vorrà dunque verificare se la scelta di mantenere immutato l’illegale e segregante sistema dei “campi attrezzati”, risponda a un preciso disegno criminoso, ideato da chi ha inteso speculare sul lucroso affare dell’assistenza ai rom.
L’accertata e dichiarata condotta di palese discriminazione razziale, protratta, si ripete, per quasi 20 anni, ben potrebbe allora assumere i connotati marcatamente dolosi della “premeditazione” e quindi integrare gli estremi del grave delitto di discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, previsto e punito dall’art. 3 della legge del 13 ottobre 1975 n. 654, così come modificato dalla Legge n. 205 del 25 giugno 1993.
Ma, come spesso accade, al malaffare delle speculazioni, si accompagna l’utile “diversivo” della propaganda razzista, come dimostrato dai numerosi (e costosi) esempi di “sfratti mediatici”, posti in essere dall’Amministrazione Comunale, in maniera spettacolare e violenta, per così alimentare, se non creare, un sentimento d’odio.
Accade allora che i nomadi “fuggiti” dai ghetti “autorizzati” siano raggiunti dalle ruspe che, con autentico furore, distruggono persino i pochi e miseri beni personali.
Un’importante prova del peculiare funzionamento del “sistema” campi rom, utile per l’accertamento del grave delitto di discriminazione razziale, è rappresentata dal film “DRAGAN AVEVA RAGIONE”, un documentario -denunzia girato dai militanti radicali Giovanni Carbotti e Camillo Maffia all’interno dei campi rom nel periodo agosto – novembre 2013, la cui visione pone in rilievo ulteriori fatti di chiara rilevanza penale.
Il film (parte I, 40:51 – 51:51), in particolare, ritrae la cruda scena dello sgombero (distruzione) di un campo “non autorizzato” sito in via Salviati, quartiere Tor Sapienza, eseguito il 12 settembre 2013 (ordinanza a firma del Sindaco di Roma del 5 agosto 2013, n. 184, prot. n. 13159), in danno di alcuni rom d’origine serba, fuggiti da quello “autorizzato” di Castel Romano e immortala l’opera gratuitamente distruttiva delle ruspe, messe in azione in una zona neppur evacuata, tanto che si vedono bambini a brevissima distanza.
Ma, quali interessi, oltre a quello già evidenziato dell’”utile” opera di propaganda, si celano dietro l’esecuzione di uno “sgombero” costato al Comune di Roma “solo” 150.615 Euro, per l’azione di due ruspe e un camion?
E quale la “ragione” di tanta “insistenza” per riportare i rom fuggiti proprio nel ghetto, così come previsto nell’ordinanza di sgombero (n. 184 del 5 agosto 2013, Prot. 13159) a firma del Sindaco di Roma, in cui si legge che i “nomadi” saranno ricollocati presso il villaggio della SolidarietàCastel Romano?
Una risposta potrebbe forse rinvenirsi nell’attività d’indagine denominata “MONDO DI MEZZO”, considerato che Castel Romano era “gestito” proprio dalla cooperativa “ERICHES 29”, facente capo a tal Salvatore Buzzi, il quale, nel corso di una conversazione oggetto d’intercettazione, così come pubblicata dalla stampa (L’Espresso, ed. “on line” del 2 dicembre 2014) avrebbe dichiarato:
noi quest’anno abbiamo chiuso con quaranta milioni di fatturato ma tutti i soldi, gli utili, li abbiamo fatti su zingari, sull’emergenza alloggiativa e sugli immigrati, tutti gli altri settori finiscono a zero.
Tra i costi dello “sgombero – ricollocazione” figurano, in effetti, quelli di euro 11.761 (agosto 2013) ed euro 13.469 (ottobre 2013), previsti per la “ricollocazione” e corrisposti alla ditta Gruppo Marini s.r.l. per un intervento di stoccaggio e trasporto UMA (sic!), e alcuni autobus sono chiaramente visibili dietro alle ruspe e ad altri mezzi, nella parte del filmato relativa al primo tentativo di sgombero (12 agosto 2013), nelle sequenze iniziali e nel momento in cui Dragan, il protagonista del film, è intervistato da Andrea Billau, giornalista di Radio Radicale.
Non si fugge dal ghetto di Castel Romano, come ben compreso ed esposto, sia pure in relazione ad altra fattispecie, ma con acuta affermazione di principio, nel testo della citata ordinanza del Tribunale civile di Roma, che, giova ripeterlo, pone tra virgolette la “volontarietà” dell’accettazione degli “alloggi” del campo autorizzato da parte di chi viene sgomberato dai campi non autorizzati ovvero abusivi, atteso che …la soluzione offerta, e quanto meno statisticamente prevalente, in quanto a monte predeterminata, non risulta essere altra che quella del campo autorizzato.
Il destino del fuggiasco Dragan e della sua comunità rom, era dunque già “predeterminato”.
Ma non è finita.
Il 19 settembre i rom non ancora “ricollocati” e accampati nei pressi del campo distrutto dalle ruspe, saranno sorpresi da un violento “raid” della polizia municipale, guidati dal vice comandante Antonio Di Maggio, per esser allontanati. (vd. parte II, 7:59 – 11:59).
Gli autori del film hanno peraltro ripreso, non solo la descritta scena di cruda e gratuita violenza delle operazioni di sgombero, ma anche un incendio di probabile matrice dolosa, raccolto testimonianze di violenze subite da donne e bambini, fotografato un contesto d’inaudito degrado sociale, descritto un ambiente gravemente inquinato, quale il campo “autorizzato” di via Salone, ove, tra le emissioni della fabbrica chimica “BASF” e quelle del deposito g.p.l., dei bambini giocano nei pressi di una discarica abusiva.
La visione del filmato, in particolare, evidenzia come le distese di rifiuti che circondano il campo siano composte, prevalentemente, da calcinacci, materiali edili, residui di macchinari industriali, fusti di dubbia provenienza e dal contenuto non identificabile, oggetti che certo non sono stati gettati dai rom, ma da chi ha inteso sfruttare la mancanza di controlli per smaltirli abusivamente.
Inoltre, a ridosso del campo e della discarica abusiva, è ubicata una rimessa di camion recanti sulle fiancate i loghi di supermercati (“Despar”, “Tuodì”): impiegati per il trasporto di generi alimentari?
Dunque, una formidabile prova, un severo atto d’accusa della durata di un’ora e quarantadue minuti, la cui “shoccante” visione conduce lo spettatore in un viaggio da girone infernale.
Le immagini e le parole registrate, come si è detto, rappresentano già un atto di denunzia e la visione del film appare indispensabile per l’accertamento di fattispecie di sicura rilevanza penale.
Esposti dunque i fatti, con il presente atto propone formale
denunzia
per il delitto di discriminazione, odio o violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, previsto e punito dall’art. 3 della legge del 13 ottobre 1975 n. 654, così come modificato dalla Legge n. 205 del 25 giugno 1993e per tutti i reati che si riterranno configurabili nei fatti narrati e documentati dal film “DRAGAN AVEVA RAGIONE”.
Chiede sin d’ora, ai sensi dell’art. 408 c.p.p., d’esser preventivamente avvisato ove sia formulata richiesta di archiviazione e, a tal fine, dichiara di eleggere domicilio in Teramo, alla via M. Capuani n. 95, presso lo studio dell’avv. Vincenzo di Nanna.
In via istruttoria, produce i seguenti atti e documenti:
1) trascrizione di alcuni brani di testimonianze e significative conversazioni, tratte dal film “Dragan aveva ragione”;
2) copia (C.D.) del film “Dragan aveva ragione”;
Il presente atto è composto da n. 9 pagine compresa la presente.
Roma, lì 17 giugno 2015
Marco Pannella
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ALLEGATO N. 1
Copia trascrizione di alcuni brani di testimonianze e significative conversazioni, tratte dal film “Dragan aveva ragione”:
Il film ha inizio con il racconto di alcune donne rom che descrivono le sofferenze vissute insieme ai loro figli e al resto della comunità. Segue la lettura di un documento, quindi un'intervista.
(Parte I 06:06 – 12:28, data 10 agosto 2013)
Esperienza… Mica tanto, come esperienza … Perché siamo stati come in un campo di concentramento, lì. Eravamo rinchiusi sia noi che i bimbi. I bambini andavano a scuola, però non ce la facevano a stare fuori perché bambini venivano, li spingevano, gli dicevano parolacce. Ci spaccavano le finestre e tutto… I musulmani, non noi. Noi siamo serbi! I bosniaci!
I bosniaci. Non: “i musulmani”.
Quindi c’erano dei problemi di conflitti di etnia?
Sì, tra etnie. I bambini erano terrorizzati a stare fuori. Qui i bambini sono liberi, si sentono liberi di giocare tra di loro. Sono integrati. Come ho detto, ci spaccavano le finestre e noi non lo potevamo dire a nessuno perché sennò ci dicevano che noi facciamo l’infamata. Andavamo solo lì dai guardiani che stavano attenti, venivano, facevano le foto e basta.
Non facevano più niente. Non abbiamo avuto tanto aiuto.
Abbiamo avuto acqua, corrente… Grazie che abbiamo avuto quei container. Siamo stati troppo contenti, con quei container. Però con la gente lì non potevamo vivere. Perché ogni sera buttavano un sasso che spaccava … Un altro giorno spaccavano la mia, la sua, di mio figlio … La macchina tutta distrutta di mio marito … Se uno vede, neanche può parlare. Si deve rinchiudere. C’è paura a dire, perché se tu dici queste cose dopo due giorni ti spaccano di nuovo un’altra… E allora meglio che stai zitta, per non fare danni.
Non potevamo manco parlare finché non andavamo via da là. Non eravamo liberi di parlare perché sennò loro ci minacciavano. E, come siamo stati minacciati, hanno dato fuoco in pieno giorno, alle 11 di mattina.
Si parla degli incendi dolosi nel “campo autorizzato” di Castel Romano:
Un ragazzo dormiva dentro, meno male che eravamo tutti svegli. Non ha avuto il tempo di prendersi le ciabatte. L’abbiamo svegliato in modo che si salvava lui. I vestiti non ha potuto prenderli.
Quanti anni aveva questo ragazzo?
C’ha 21, 22 anni.
Questo è scarico!
No, no, non è scarico. Sto registrando.
Ah… okay.
Io vedevo i ragazzini, perché io ho lavorato tanti anni con i ragazzini e vedo le espressioni dei ragazzini, come sono contenti qua. Lì erano tristi, perché io, come mia figlia… Mia figlia… è stata… cioè, lì, davanti alla porta mia, da dietro è venuto un adolescente. Voi sapete che significa, adolescenti. E … cioè, si continuava a masturbare, e mia figlia … quando io ho visto … mia figlia poi è venuta, piangendo. Io l’ho chiusa dentro. E non potevo dire a quello là: perché fai questo? Perché loro venivano tutti, spaccavano, tiravano i sassi.
Si parla di ulteriori violenze e dell’inerzia degli addetti alla sorveglianza del campo:
Noi la sera, così, stare, non potevamo.
E la vigilanza, nel campo autorizzato, che cosa faceva?
Aveva paura.
Noi andavamo lì a dire: intervenite!... A chiamare qualcuno a darci qualche aiuto … Ma è inutile. Loro sanno come sono e quindi non potevano intervenire. C’avevano pure loro paura.
Lettura del testo di un documento inviato nel 2012 al Dott. Angelo Scozzafava, Dirigente del V Dipartimento di Roma Capitale:
“I sottoscritti, in rappresentanza delle 60 famiglie trasferite dal campo di via della Martora presenti al campo di via Pontina, Castel Romano, rappresentano quanto segue. Siamo continuamente vittime di attacchi e soprusi da parte degli abitanti dei campi di via Pontina. Tali azioni avvengono anche di giorno, ma soprattutto di notte. I nostri figli hanno difficoltà a giocare all’aria aperta, ed hanno paura anche di andare a scuola. I container forniti dall’amministrazione comunale sono oggetto di continui attacchi, ad esempio con sassi. Ultimamente, a causa di un incendio d’immondizia, le fiamme hanno lambito un’unità abitativa. Siamo oggetto di minacce da parte degli altri ospiti del campo, e alcuni componenti delle nostre famiglie sono stati picchiati. Durante la notte vi sono automobili che vagano a forte velocità per l’area a noi assegnata con radio ad alto volume, mettendo in pericolo l’incolumità delle nostre famiglie. A causa di rumori, paura e schiamazzi, il riposo dei nostri figli non è garantito. Si sottolinea che nessuno degli abitanti dell’area a noi assegnata ha mai reagito a provocazioni o violenze”. Questo documento, con richiesta d’incontro, è del 14 marzo 2012. Siamo ad agosto, del 2013. Queste famiglie, che sono scappate, stanno per essere sgomberate”.
Che cosa vi ha risposto il V Dipartimento?
Non ci hanno accettati. Dicono: “Se non accettano di ritornare a Castel Romano, noi non accettiamo nessuna proposta con i portavoce del campo Salviati 3. Se accettano tutto, gli daremo tutto quello che vogliono”. Il campo era composto così: qua ci sono dei gabbiotti delle “Risorse di Roma”…
Le “Risorse di Roma” sono la vigilanza.
La vigilanza, certo. Allora: qui in mezzo è l’Area D, campo “D” di Dragan. Qui ci sono altri due campi. Noi siamo in mezzo, qua. Ma siccome qui c’era un varco, che si passava, i ragazzini di tutti e due i campi, quelli che stavano quaggiù, passavano da qui per andare a prendere i pullman. Perché qui si fermavano i pullman. E sa, i ragazzini son sempre ragazzini, si attaccavano sempre… Non andavano d’accordo, alcuni sì, alcuni no… E questo è diventato un problema, praticamente.
Ma i bambini vostri avevano problemi con i grandi loro, pure? O solo tra bambini?
Ma veramente, guarda… Sì… Quando arrivavano dei sassi, non si vedeva chi buttava i sassi… Però arrivavano sassate grosse… Il campo è grosso, sai, sono ottocento persone… E quando stai seduto qua ti arriva un sasso…
Dragan …
E tu non puoi vedere da dove arriva il sasso, in mezzo a tutti questi container…
Dragan … Digli, digli che tuo nipote l’hanno mandato in cinque di loro all’ospedale! Non devi avere paura!
No, no… c’era… c’era pure questo. Anche quelli grandi. Ragazzini di sedici, diciassette, diciotto anni, hanno mandato mio nipote all’ospedale…
Un nipote di quanti anni?
Lui c’ha quattordici anni.
( Parte I 16:24 – 16:49).
Intervista a Dragan, protagonista del film, da parte del giornalista di Radio Radicale Andrea Billau:
Noi abbiamo fatto denuncia però le denunce, siccome lì ci sono Risorse di Roma facevano queste relazioni che sono andate tutte al Comandante Di Maggio. Il Comandante Di Maggio sapeva tutto ‘sto fatto qua, che Risorse di Roma non è che andava e diceva direttamente, faceva soltanto queste…ehm, denunciava ‘sto fatto…
Il Comandante di Maggio ricordiamo chi è?
Eh, il Comandante Di Maggio è il comandante dei Vigili, dei Vigili della Roma Capitale…
Michel, un residente del campo di via dei Gordiani, sembra alludere a possibili forme di mercimonio sessuale per ottenere trattamenti di favore all’interno del campo.
(parte II 34:07 – 35:08)
C’è questo, pure: tra una persona, diciamo, che viene da ieri, l’altro ieri; e una persona che è nata qua, cresciuta qua; se gli date un posto per abitare, una roulotte, a chi spetta prima? A una persona che è nata qua, cresciuta qua, che è residente qua, che ha le scuole qua, che ha i documenti qua? O a una persona che viene da tutta un’altra parte? Da tutto un altro campo? Si piazza qua, viene qua, e gli fate i bagni, gli mettete lavatrici, gli fate i boiler, gli fate questo, gli fate quest’altro. Gli fate un sacco di cose. Invece io niente! Tutte le cose me le so’ fatte io da solo!
Ma secondo te perché?
E che ne so perché! Boh. Quello diceva: “Noi ci occupiamo di viale Manzoni” … Quello “siamo così”, quello “siamo cosà” … Poi vai a vedere, è perché sono ragazze, pischelle. Uno ci provava, uno ci faceva, ci uscivano … E’ tutta una cosa, capito, tutta una cosa che se io devo fa’ una cosa la faccio perché tu mi devi da’ una cosa in cambio. Capisci come? Usciamo una settimana e chi s’è visto s’è visto. Casomai, tieni: pure qualche soldo per i bambini. Intanto tu hai fatto quello che dovevi fa’ con lei, che cazzo ti frega a te?