Merloni , Acciaieria Basell: quali le ricette della Regione per venire incontro alle esigenze economiche del territorio?
Non c’è dubbio che ci sono aree territoriali della Regione che sono sotto i riflettori per quanto concerne la “sofferenza” del tessuto imprenditoriale ed occupazionale.
Non è un caso che l’area ternana sia ormai considerata una vertenza europea e che quella appenninica abbia un evidente risvolto interregionale.
La Regione ha qui un ruolo di raccordo fondamentale dal punto di vista politico e tecnico.
Salvaguardare gli ammortizzatori sociali e tenere desta un’attenzione che non può non avere un riflesso sulla “accoglienza” che società multinazionali o grandi gruppi industriali devono avere nel tessuto regionale. Non si possono prendere i benefici dell’investimento e poi scappare.
Troppo spesso questo è avvenuto in Umbria e poche volte si è posto rimedio con avvedute politiche nazionali di “diplomatica rappresaglia”.
Quale invece il ruolo dei sindacati nel contesto della grande industria umbra?
I sindacati, dispiace dirlo, hanno perso ruolo e peso politico. Blindandosi dietro a una politica accentratrice, hanno trovato una paradossale alleanza con le organizzazioni datoriali non su politiche di partecipazione, ma sul reciproco riconoscimento della intangibilità di contrattazioni di primo livello.
Dovevano invece cercare di decentrare al livello aziendale per promuovere merito e politiche di secondo livello ed anche individuali di retribuzione e compartecipazione.
I risultati nefasti sono sotto gli occhi di tutti: nessuna capacità di incidere sulle politiche economiche e semplici ratifiche di accordi al ribasso.
Cosa propone Fratelli d'Italia per rilanciare (o soccorrere) l'economia locale?
Il bilancio regionale è ormai estremamente rigido.
Solo poco più dell’uno per cento è composto da risorse a libera destinazione, determinate da scelta politica.
Occorre quindi sfruttare il treno dei fondi europei, preservando le percentuali del fondo di sviluppo rispetto al fondo sociale, nonostante l’Europa chieda esattamente il contrario.
Questo, perché i fondi per le politiche attive del lavoro e formazione non hanno di fatto invertito la tendenza al ribasso dei parametri economico-sociali dell’Umbria, sempre più simili a quelli del Mezzogiorno e sempre più lontani da quelli delle regioni del Nord.
Non basta spendere i fondi europei, bisogna spenderli “bene”, investendo in politiche di valutazione trasparenti. Per lo sviluppo occorre investire nell’indotto turistico e culturale, oltre che nell’agroalimentare, risorse che fanno parte della specificità dell’Umbria e non sottoposte ad indebita concorrenza.
Parliamo della PMI: artigiani e piccole imprese potrebbe essere una soluzione per il rilancio dell'economia locale?
È bene sottolineare che anche gli altri comprensori dell’Umbria soffrono, non solo fascia appenninica e ternano. Lì ci sono aziende grandi e multinazionali che fanno notizia, ma ogni giorno ovunque chiudono piccole imprese artigiane e molte persone si riducono alla disperazione perché spesso non hanno nemmeno accesso agli ammortizzatori sociali.
Come detto, i fondi europei sono un’ultima occasione, ma la Regione ha il dovere di fare bandi mirati e trasparenti, con tempi congrui per fare domande e presentare documentazione: troppo spesso questi fondi hanno rappresentato “occasioni clientelari” che hanno determinato benefici privati ma non sviluppo. E questa non è un’opinione, ma un dato di fatto, considerando il mancato valore aggiunto al miglioramento dei parametri sopra ricordati.
Una inversione di tendenza in tal senso è moralmente doverosa, ma anche imprescindibile, se non si vuole ridurre l’Umbria ad una regione desertificata.
Marco Petrelli - Agenzia Stampa Italia