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(ASI) Lettere in Redazione - Puntuale ogni anno arriva la Festa del 25 Aprile e con essa anche le polemiche legate ad una memoria che d'essere 'condivisa' proprio non vuol sentirne parlare L'Anpi, l'associazione che raccoglie i partigiani comunisti, insieme a sigle politiche e sindacali di sinistra da decenni detiene il monopolio della Resistenza. Bandiere, cori, canti, simboli: tutto fa riferimento all'ambiente comunista, quasi che sulle montagne e nei boschi dal Garigliano al Friuli operassero solo le bande con la stella rossa.

Spesso folklore e tradizione orale si sostituiscono alla saggistica, lasciando che le decine di migliaia di soldati del Sud (la 'resistenza tricolore' per citare un bel volume di Petacco e Mazzucca), che i partigiani azionisti,  cattolici e i 'fazzoletti verdi'  spariscano dalle celebrazioni pubbliche dominate dalla 'eterna' Bella Ciao, un brano posteriore alla guerra ma spacciato per canto del '43-'45.

Nelle foreste e nei laghi del centro e del nord Italia i resti di militari di Salò e di civili, di  colpevoli e di innocenti giacciono ancora insieme, muta testimonianza delle sanguinose giornate del post 25 Aprile, quando una parola o un'azione non in linea con il Partito Comunista poteva costare una revolverata.

Fianco a fianco nelle Foibe e nelle fosse comuni talvolta hanno riposato le spoglie di fascisti e partigiani, entrambi vittime di quel 'rosso' che il giorno della Liberazione sventola nei cortei di sindacati e partiti.

I fazzoletti verdi della Osoppo sono tragico ma emblematico esempio di un atteggiamento di monopolio della memoria che, quasi 70 anni dopo, non accenna ad allentare la presa. Unica forza non comunista in un Friuli tragliato in due da sloveni e tedeschi, gli osovani rifiutarono la sottomissione al IX Corpus dell'Esercito popolare di Liberazione della Jugoslavia cercando di mantenere, per quanto e fino a quando possibile, un avamposto di italianità sul confine orientale.

Bastò poco per metterli fuori combattimento: il non voler obbedire a Tito fu la loro condanna a morte, pena non eseguita però dai titini bensì dagli italiani delle Garibaldi, per nulla infastiditi dalla forte ed egemonica presenza dei miliziani jugoslavi in terra italiana.

Un'accusa semplice: aver collaborato con le forze della Decima MAS impegnate anch'esse a proteggere il Friuli e la Venezia Giulia. Accusa fondata su un sospetto, una diceria a mezza bocca ma, in tempi senza legge, sufficiente per procurarsi una pallottola nel petto.

Furono 17 i morti delle Malghe di Porzus nel Febbraio 1945. Assaliti dagli uomini della Brigata Garibaldi Natisone di Mario Toffanin, gli Osoppo non ebbero scampo. Soltanto uno di loro, Aldo Bricco, gravemente ferito e dopo una rocambolesca fuga, riuscì a salvarsi.

Un'accusa di collaborazionismo infamante e infondata quella che Toffanin rivolge ai 'fazzoletti verdi' ma che, malgrado processi, ricerche, libri e addirittura un film, continua imperterrita a sopravvivere negli ambienti ANPI, quasi che qualcuno goda al pensiero di celare la verità. Già la verità. Qual'è  la verità? La verità vera è la sudditanza politica e psicologica dei comunisti friulani nei confronti di Tito, accentuata dall'atteggiamento del PCI per nulla infastidito all'idea che territori italiani potessero essere annessi alla Jugoslavia.

Poi c'è la questione della diversità d'intenti tra gli osovani e i garibaldini: i primi anti fascisti nel nome della  democrazia, i secondi antifascisti nel nome del comunismo e poi, eventualmente, della democrazia.

Si fa tanto parlare di memoria condivisa, già ma quale? E condivisa con chi? Se proprio dovremmo condividere qualcosa che  il 25 Aprile ricordi chi, all'interesse prettamente ideologico, ha anteposto il sogno di una nazione libera, indipendente e soprattutto integra nelle sue terre e nei suoi confini

 

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