“Nel contesto attuale che esalta il contingente e schiaccia i valori profondi, la CGIL ha l’orgoglio di tener aperta la visuale di prospettiva: curare il lavoro per curare il paese, solo così avremo cura dei cittadini”. Così Vanda Scarpelli, Segretaria generale della funzione pubblica della CGIL dell’Umbria, citando Susanna Camusso, ha concluso la sua relazione introduttiva all’incontro promosso presso l’azienda Ospedaliera Universitaria di Perugia. “Dalla crisi alla road map: la funzione del lavoro nella sanità che cambia”, questo l’impegnativo tema affrontato davanti ad una platea numerosa e attenta. Scarpelli ha tracciato un quadro a tutto tondo della situazione del lavoro e della sanità, in Italia e in Umbria. Molte le criticità sottolineate: dalla percezione di inefficienza che hanno gli italiani della sanità regionalizzata, alla mutata struttura sociale, con la frantumazione dei processi produttivi e l’indebolimento delle politiche sociali. Ma anche gli abusi e la corruzione, che si stima pesino per un non lieve 7,2 % sulla spesa sanitaria; e i tagli lineari e indiscriminati, che colpiscono i soggetti più deboli e le amministrazioni più virtuose. La risposta? Rilanciare la salute come bene comune, sottraendola all’etichetta di bene dipendente dal mercato. Al centro delle riforme sulla sanità, stanno le riforme del lavoro. A partire dal superamento della sburocratizzazione di ruoli e funzioni nelle professioni sanitarie la cui riforma già attuata è il punto ed il modello da cui partire. Se rimane la centralità della figura medica nella tutela della salute occorre, nel contempo, riconoscere e valorizzare la molteplicità dei saperi delle professioni sanitarie. L’Umbria con la recente riforma è andata nella giusta direzione, ma bisogna ora che la regione attui i cambiamenti decisi sulla carta e non si fermi alla riforma del numero delle Aziende, ma si incida in profondità nella governance a partire dal riconoscimento del ruolo da protagonisti degli oltre undicimila professionisti e dipendenti delle aziende sanitarie. Alla Regione Scarpelli ha chiesto ora un grande coraggio nell’affrontare i nodi veri della sanità e del lavoro in Umbria. A partire dal potenziamento dei servizi di base sui territori, ma anche dalla trasparenza nell’affidamento degli incarichi e nella valutazione dei meriti effettivi dei Direttori generali, sanitari e amministrativi. Meriti che non possono essere misurati solo, né principalmente, sui risparmi prodotti, ma anche e soprattutto sull’efficienza e efficacia delle risposte date ai cittadini-utenti. E coraggio dovrà avere, la giunta regionale, anche nel ridefinire il rapporto con l’Università, fondandolo su sinergie e integrazioni che supportino la ricerca, la didattica e i servizi ai cittadini, anziché risolversi solo in confronti tra poteri e interessi ristretti.
Il dibattito si è poi sviluppato con una serie nutrita di interventi. La dottoressa Daniele Donetti, direttore del controllo gestione del San Camillo di Roma, ha parlato della difficile sostenibilità del sistema sanitario italiano, universalmente riconosciuto tra i migliori al mondo, e dei non più rinviabili cambiamenti strutturali dello stesso imposti, da ultimo, dalla legge finanziaria 2013. La quadratura del cerchio, per Donetti, c’è ed è che la sanità pubblica può essere sostenibile solo se riformata nel senso di rivolgerla ancor più ai bisogni dei cittadini. Occorre un approccio non miseramente ragionieristico, ma economicistico, nel senso di studiare come la collocazione delle risorse ne determini il miglior utilizzo sulla qualità delle prestazioni ai cittadini. Non a caso, ha concluso Donetti, statistiche alla mano, le Regioni che fanno un monitoraggio continuo sulla quantità e qualità delle prestazioni, sono quelle con i bilanci a posto.
Marino Nonis dell’AGENAS si è soffermato sulla situazione critica delle regioni commissariate per i loro disavanzi in sanità, in particolare Lazio e Campania. Saverio Proia, della Direzione Risorse Umane del Ministero della Salute, ha parlato dell’evoluzione in corso nell’organizzazione del lavoro e delle competenze delle professioni sanitarie. Proia ha riferito nei giorni scorsi è stato concluso l’accordo per l’implementazione delle competenze delle professioni sanitarie. Un passo importante, un riconoscimento più pieno del ruolo specifico delle professioni non mediche (infermieri, tecnici, terapisti) che può cambiare il modo e le competenze del lavoro in sanità ed anche rapporti di potere nei confronti dei medici, cristallizzati agli schemi ante legge 833/1978.
Applauditissimo l’intervento dell’antropologo Tullio Seppilli, figlio di uno dei padri della 833 e intervenuto in veste di presidente della Fondazione “Angelo celli” per la cultura della salute. La struttura sociale cambia e cambiano le patologie: aumentano di peso quelle di lungo periodo, per cui si richiedono alla sanità risposte adeguate. Deve però restare punto fermissimo, per Seppilli, il principio universalistico del modello italiano, per cui si dà a tutti e a ciascuno in rapporto al bisogno e indipendentemente dalle possibilità economiche. Un caposaldo da difendere contro le logiche del profitto che incalzano la sanità pubblica e vorrebbero privatizzarla in misura crescente. Ma, per Seppilli, una sanità privatizzata o riduce le prestazioni, o aumenta i costi a carico dei cittadini, perché il privato deve avere un profitto dalla sua attività. A dimostrazione di ciò, Seppilli ha riferito dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che evidenziano come, con la caduta del regime sovietico e la privatizzazione dei servizi sanitari, si è prodotto in Russia una diminuzione di cinque anni della speranza di vita. Ma la difesa della sanità pubblica e universalistica passa, per Seppilli, da un lato da una eliminazione degli sprechi e, dall’altro, da politiche capaci di conciliare gli interessi degli utenti con quelli di chi in sanità lavora. Un nuovo patto per il “bene comune sanità” che stimoli la partecipazione reale, incisiva e propositiva di tutte le componenti (lavoratori, utenti, cittadini) alla programmazione e alle scelte di politica sanitaria. Solo così le scelte politiche potranno davvero essere mirate alla soluzione dei problemi reali dei cittadini e si potrà legittimare e rendere più difficilmente attaccabile il mantenimento del servizio sanitario pubblico e universalistico.
Mario Bravi, Segretario generale della CGIL Umbria, ha annunciato che il suo sindacato presenterà nei prossimi giorni la prima bozza del piano del lavoro per l’Umbria, nel quale la sanità avrà un ruolo centrale, visto che è riconosciuto come uno degli elementi di qualità della regione. Se in Umbria le differenze sociali sono minori che in altre realtà, ciò è senz’altro dovuto anche al sistema del welfare locale, di cui la sanità pubblica è il caposaldo. Un sistema da difendere anche di fronte, ha polemicamente sottolineato Bravi, agli attacchi portati ad esso dalla Confindustria locale, troppo interessata alla privatizzazione del sistema e troppo poco ad altre opportunità di investimenti, pur presenti nel territorio regionale.
Emilio Duca, Direttore Generale della sanità della Regione, ha difeso il percorso di riforma degli assetti istituzionali sfociato nella recente Legge regionale 12. Ora, però, per difendere il sistema universalistico e pubblico umbro, che è preso a modello nel nostro Paese, si tratta di riempire di contenuti il quadro delineato, anche perché il modello ospedale-centrico non può dare più risposte ai cambiamenti sociali intervenuti, con l’invecchiamento della popolazione e l’incremento delle patologie croniche. In questo quadro, mal si giustificano le resistenze localistiche dei territori a difesa di strutture che non si possono più sostenere. Se non si faranno con coraggio le scelte necessarie, la programmazione sanitaria sarà sopraffatta dalle urgenze finanziarie.
Rossana Dettori, Segretario nazionale generale CGIL della funzione pubblica, ha stigmatizzato l’operato del governo Monti, che ha ristretto il perimetro del pubblico e dei diritti del lavoro. Ma anche le regioni, per Dettori, comprese quelle di sinistra, avrebbero dovuto dirimere l’intreccio tra sanità pubblica e sanità privata e, inoltre, controllare che gli standard richiesti alla prima venissero rispettati anche nella seconda, a partire da quelli delle dotazioni organiche. Inoltre, le regioni devono ridare un ruolo alla partecipazione dei territori e degli enti locali alla programmazione delle politiche sanitarie. Sul versante nazionale, Dettori ha rivendicato il ritorno alla contrattazione nazionale, bloccata dal governo dei tecnici, e la revisione degli aspetti più odiosi della legge “Brunetta”, in particolare quelli sulla rappresentanza. Dettori ha anche sostenuto che sta maturando l’idea di andare alla stipula di contratti di settore: cioè, per la sanità, un contratto unico per la sanità pubblica e quella privata, per dirigenza e comparto. Insomma, all’insegna del necessario rinnovamento per tutti, la centralità del lavoro va ripristinata anche attraverso la necessaria revisione del modo di organizzarlo attraverso gli istituti contrattuali.
Daniele Orlandi – Agenzia Stampa Italia
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