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Intervista a Franca De Candia  Fondatrice  Associazione Nazionale Vittime dell’Usura

 


 


Dopo il  ‘No Usura Day’, rimbomba l’allarme usura: una situazione da tenere sotto controllo. Piccole e piccolissime aziende che chiudono perché prede del racket, e dell’estorsione, i fallimenti nel  2012 risultano essere ben 1384  solo in Lombardia mentre, poi c’è Roma, Napoli,  Caserta seguite da OGNI provincia italiana, non ci sono “isole felici”. In netto calo, però, il numero delle denunce.

Per capire quale e quanto doloroso sia il cammino delle vittime, ci faremo accompagnare in questa da Franca De Candia, un Olbiese che da molti anni vive e svolge la sua attività di commerciante  in Umbria e, una volta che la sua azienda entra in gravi difficoltà economiche con enorme difficoltà all’accesso al credito,  entra nel vortice dell’usura. Dopo un lungo periodo di vessazioni, Franca De Candia, coraggiosamente, di denuncia e, successivamente,  fonda l’Associazione Nazionale Vittime dell’Usura. Il calvario di Franca, però, non è mai finito, cercheremo di capire, insieme a lei, il perché.

Franca De Candia:  Sono stata vittima oltre che di usura, anche di estorsione e vorrei spiegare la differenza perché spesso le due piaghe vengono confuse mentre è bene fare chiarezza: l’usura è il debito da pagare ma l’estorsione è quando la vittima viene perseguitata, minacciata violentata, quando la sua vita diventa addirittura pesante da vivere... Poi c’è anche l’estorsione da racket che è un vero e proprio pizzo e che è un’altra cosa.
Comincerò a spiegarvi tutto dall’inizio...la fine?! Non sono certa che ci sarà, per lo meno non finché sarò in vita...

Tutto è cominciato quando il mio compagno, che aveva una società di abbigliamento a Viterbo, mise una firma a fideiussione. Decidemmo di prendere dei negozi e il socio, invece, la società con dei terreni e l’ingrosso e si fece carico di pagare 50/ 60 milioni di lire alle banche. Tre banche accettarono di cancellare la fideiussione del mio compagno mentre solo una non lo fece perché l’ex socio era un loro amico. Passarono 5 anni e noi avevamo 5 negozi e 13 dipendenti. Un giorno andai in banca a versare 30 milioni ed il direttore mi disse che quei soldi sarebbero andati nel fondo fideiussione per cui dovevo versare altro denaro per non essere debitrice. Mi sembrava di vivere un incubo, noi che avevamo sempre pagato tutto regolarmente cominciavamo ad avere per la prima volta problemi con la banca ed io, per paura del protesto, che è un vero e proprio marchio a vita, oltre ad essere  una pratica insana che esiste solo in Italia, cominciai a cercare un aiuto.

E’ a questo punto entra in gioco l’usura?

Si ma non avevo il minimo sentore che fossero usurai, sapevo cosa fosse l’usura ma non ne avevo coscienza, credevo fosse un problema astratto. Mi confidai con un’amica o meglio con una cliente che mi vide piangere,  mi disse  di avere un’amica che spesso faceva questi ‘favori’ economici. A me servivano 10 milioni da portare in banca l’indomani mattina per non andare in protesta e così accettai. Questa mia amica chiamò la signora –che in seguito ho scoperto essere la ‘procacciatrice’ della banda criminale, lei stessa vittima di usura e che per sdebitarsi si prostituiva e cercava vittime- che era legata ad una donna abruzzese –l’usuraia che mi avrebbe aiutato. Sotto richiesta, una delle mie figlie dovette firmare un assegno non di 10 milioni, come serviva a me, ma di 12 e lo portammo in Abruzzo dove abitava questa. Lei in maniera abile non mi fece capire che i 2 milioni in più erano gli ‘interessi’ ma li giustificò come un favore benevolo che mi faceva se ne avessi avuto bisogno. Avevamo stabilito che le avrei restituito tutta la somma in 6 mesi, pagando 2 milioni al mese. Quando racimolai 6 milioni la chiamai ma lei con tono molto gentile mi disse «Non si preoccupi, li usi se le servono». Quando le mandai l’ultimo vaglia a saldo del mio debito la chiamai per avere indietro l’assegno. Non dimenticherò mai la sua grassa e sarcastica risata, sembrava un’altra persona e mi disse in modo schietto e duro «Tu non hai capito un cazzo, fino ad ora mi hai pagato solo gli interessi, il tuo debito lo devi ancora estinguere». Dal giorno dopo impazzì e cominciò il mio calvario in cui i tassi d’interesse dello strozzinaggio partirono al 240 percento per arrivare fino al 400 percento.

Da quel giorno non feci che mandarle soldi ogni 5 del mese. Se per caso mi capitava di ritardare di soli due giorni, gli interessi aumentavano a piacimento della donna. Di solito ogni 5 giorni di ritardo nel pagamento corrispondevano a 500 mila lire in più. Entrai in un circolo vizioso: non lavoravo più e la mattina appena sveglia pensavo solo a dove trovare i soldi per pagare. Alla fine pagavo solo 20/ 30 milioni di interessi.

Il mio compagno era l’unico ad essere a conoscenza della situazione e, mi colpevolizzava per aver contattato questa donna anche se io l’avevo fatto per non arrivare al fallimento. Insomma eravamo rovinati e finimmo nelle mani dei Casamonica, gli zingari di Roma e di questa gang criminale. Inoltre la donna cominciò a chiamarmi tutti i giorni, a tutte le ore dando inizio ad una serie di intimidazioni e pressioni psicologiche fino ad arrivare a vere e proprie minacce non solo rivolte a me ma anche alle mie figlie.

Una delle mie figlie, allora ventenne studiava a Perugia ed un’altra lavorava come geometra in Sardegna. La mia aguzzina mi diceva che avrebbe agito contro le mie figlie e ripeteva frasi del tipo «Oggi ho saputo che tua figlia ha fatto il rientro all’università» oppure «Certo che la strada che lei percorre ogni giorno è davvero pericolosa» o «L’altra figlia vive con i nonni ad Olbia, anche lei fa tanta strada da sola». Il mio cervello era impazzito perché avevo paura per loro e intanto avevo perso il senso del denaro, il valore di tutto. Allora per telefono le dicevo «Tu mi hai prestato solo 10 milioni di lire ma quanti soldi ancora devo restituirti?». E lei, diabolicamente, mi rispondeva «Ma lo sai che c’è gente che per 10 milioni mi ha restituito 500 milioni?».

Passò ancora un anno e mezzo prima che mi decidessi ad andare in Questura e lì l’ispettore diciamo che non accettò la mia denuncia perché quando spiegai la situazione mi consigliò di non denunciare perché è troppo difficile mettersi contro l’usura e mi conveniva contrattare. Allora andai in Abruzzo alla Procura della Repubblica e lì finalmente  riuscì a denunciare, innescandole un tranello: la chiamai dicendole di doverle dare 5 milioni e così, quando venne, le forze dell’Ordine la beccarono in fragranza di reato eppure non fu arrestata in quel momento ma solo giorni dopo, quando ci fu un’approfondita perquisizione a casa sua e furono trovati centinaia di milioni, un’anomalia per una che sulla carta faceva la casalinga. Prima dell’arresto ricevetti solo una sua telefonata in cui mi diceva: «Mi hai denunciata? La pagherai molto molto cara. In estate –ad agosto- verranno i miei avvocati a trovarti». Ed io le rispondevo ben felice «Ma magari venissero i tuoi avvocati. Metteremo fine a questa storia». La donna parlava sempre al plurale.

Io ero, ormai, precipitata in un baratro che mi conduceva alla rovina: avevo chiuso 4 negozi e mi era rimasto solo uno a Spoleto. Era il 14 agosto del 1995 e la città era vuota. Io e la commessa chiudemmo il negozio e notammo una macchina –una fiat scura- con tre signori che ci guardavano. Presi l’auto per tornare a casa: fuori Spoleto notai che mi stavano seguendo. Mi sorpassarono e d’improvviso rallentarono. Solo allora capii che il loro obiettivo ero io e così li superai di nuovo e via dicendo cominciai a scappare fino a quando, all’altezza di un’area di sosta, mi tamponarono per farmi fermare. Mi presero e mi portarono in macchina con loro. Arrivammo in una stradina isolata e mi dissero solo «Tu sai perché. I debiti si pagano».

E’ stato allora che hai subito violenza?

Si, mentre in due mi hanno stupravano uno era lì e controllava. Subii una violenza inaudita ed usarono anche dei materiali per farmi più male. Mi lasciarono lì sanguinante e se ne andarono. Io mi rivestii e corsi a casa. Per mesi mi immergevo nella vasca da bagno ma lavarmi in continuazione non mi faceva sentire meno “sporca”...intanto continuavo a sanguinare. Solo dopo mesi dalla violenza ho subìto un’operazione al retto, mi è stata asportata quella parte che mi hanno frantumato.

Non dissi nulla a nessuno, neanche al mio compagno. Avevo solo un pensiero: trovare i soldi, perché quegli uomini prima di andare via mi dissero che l’indomani avrei dovuto portare loro 20 milioni altrimenti avrebbero usato la stessa violenza con le mie figlie così, dopo lo stupro chiamai una mia amica che aveva un negozio e mi prestò il suo incasso – 6milioni e altri soldi che avevo a casa. Il giorno dopo portai i soldi. Se fosse successo ora di certo non sarei stata così debole. Dopo lo stupro, persi la testa: tutti credevano che fossi in depressione a causa della chiusura dei negozi ma nessuno sapeva che stavo male per quest’episodio. Così cominciai a pensare di morire …

Pensavo alla morte perché mi sentivo in colpa, avevo avuto anche un crollo emotivo. Successe che nonostante la denuncia fatta mi sentivo sola così trovai il numero verde di SOS Impresa e li telefonai lasciando una sorta di testamento in forma anonima per tutelare le mie figlie. Intanto i ROS cominciarono le prime indagini contro questa organizzazione ed io cominciai a portare la mia storia in tv. Avevo già deciso che avrei fatto questa denuncia pubblica e poi mi sarei uccisa, era l’11 febbraio 1996. Il venerdì il Tg1 aprì in prima pagina con la mia storia, con le registrazioni che avevo fatto e la mia intervista. La sera stessa andò in onda anche al programma della giornalista Danila Bonito, ‘Donne al bivio’. Quella sera stessa alle 3 di notte mentre dormivo nel mio casale di campagna (che poi diedi via per i debiti) mi sentivo chiamare dalla finestra. Ero sola in casa perché il mio compagno era in Sardegna dove faceva l’ambulante. Pensando che fosse il vicino che spesso mi chiamava per il cane mi affacciai e c’erano due uomini che mi minacciarono di nuovo perché ‘parlavo troppo’. In casa avevo il valium, lo presi e cominciai a scrivere tutta la mia storia dall’inizio, accusando il magistrato che ancora non aveva fatto nulla, accusando le forze dell’ordine che non mi tutelavano. Mi volevo prima intontire con il valium e poi avrei preso gli altri medicinali. Non ero più me stessa, non mi riconoscevo neppure io e così mi avvelenai andando in coma.

Allarmati da una mia amica e da mio cugino, preoccupati dal fatto che non rispondessi arrivarono i carabinieri di Terni e i vigili del fuoco . Avevo inchiodato le porte, prima di avvelenarmi. Percepivo la presenza del medico come se fosse un’entità astratta sopra di me e sentivo la sua voce che ripeteva «E’ andata, è andata». Io intanto provai quella sensazione che definiscono come la luce alla fine del tunnel: finalmente un senso di pace e di serenità. Sono stata 15 giorni in rianimazione e, in seguito, anche in cura psichiatrica. Una volta fuori pericolo le persone intorno a me, mi hanno spronata: se sono viva è perché la mia vita deve servire a qualcosa e così ho fondato l’ANVU- Associazione Nazionale Vittime dell’Usura aderendo, successivamente alla RETE PER LA LEGLITA’ il cui Presidente è Lorenzo Diana  che si pone come obiettivo quello di salvare delle vite umane: siamo persone oneste e molte di noi vittime in primis dell’usura. Io purtroppo oggi ho ancora bisogno di aiuto per cui ho lasciato la presidenza dell’Associazione Daniela Cirillo, una mia carissima amica alla quale dissi “ti lascio una figlia” e mi occupo di seguire la segreteria. Anche se sono passati tanti anni, soffro ancora molto a riparlarne. Ho perso una serenità che non ritroverò più.

Quest'anno ad aprile stressata da un'udienza civile dove i legali di questi criminali, poiché andavo in trasmissioni a parlare di usura e racket, organizzavo convegni e seguivo l'Associazione, dopo tre gradi di giudizio hanno messo in dubbio tutto: 54 cartelle cliniche, due operazioni al cuore, tre infarti, un'ischemia cerebrale e tutte le perizie, anche quelle fatte dai medici militari della Cecchignola e da periti del Tribunale – quindi giudizi non faziosi- che mi avevano assegnato l’80 percento d'invalidità. Dopo qualche giorno ho ritentato seriamente il suicidio mi hanno salvata i medici di Terni con un mese di rianimazione però dopo mi hanno fatto il TSO –trattamento sanitario obbligatorio- per tutelarmi da me stessa. Se adesso posso uscire anche se con colloqui quotidiani con gli psichiatri e psicologi è grazie alle mie figlie che hanno firmato assumendosi la responsabilità per me.

Ho avuto ben tre infarti, ho un meningioma causato dallo stress subìto ed in più sono stata operata al retto. A livello psicologico mi è stata diagnostica una sindrome post-traumatica e a seguito della vicenda ho sofferto di anoressia, arrivando a pesare 39 kilogrammi, ed ho problemi emotivi che mi portano scarsa autostima ed una mancanza di socialità e di affetto.

Delle persone che mi hanno provocato, nel 2009 solo tre sono state condannate in Cassazione a 5 anni e mezzo di reclusione ed in carcere non credo che,ormai, ci sia più nessuno di loro. Io sono al processo civile  ed ho dovuto pagare di tasca mia gli avvocati perché lo Stato neanche questo fa, neanche assistenza alle vittime. Solo dopo il mio tentato suicidio sono cominciate le vere indagini. Precedentemente il pm di Terni decise di trasferire tutto a Camerino, forse per lavarsene le mani. Al Tribunale di Camerino questa signora aveva degli intrallazzi, oltre al fatto che il pm era cugino del suo avvocato difensore. Paradossalmente la questione si risolse con una denuncia a mio carico per diffamazione di usura ed estorsione. Poi la giustizia ha fatto il suo corso e sono stata riconosciuta come la vera vittima: per 6 mesi ho avuto la scorta mentre si è scoperto che la donna-usuraia riceveva 50 milioni di lire al giorno dalle sue vittime.

Franca, credi ancora nello Stato e nella Magistratura?


Un periodo ci ho creduto ma negli ultimi 5 anni c’è stato un abuso dell’antiracket del racket. Con la Commissione Speciale AntiRacket di Laudo, l’aiuto per noi vittime dell’usura è stato concreto mentre con il commissario Giosuè Marino si è creata una sorta di lobby. Finalmente, dopo che le persone si ammazzavano come mosche, arrivò nel 1996 la legge antiusura la quale, però non veniva attuata e solo dopo aver fatto lo sciopero della fame e della sete per 15 giorni venne firmata l’attuazione. In più, prima venivano riconosciuti i danni biologici –fisici e psicologici- per le vittime di usura e quindi si aveva diritto ad un risarcimento mentre con la legge 644bis i danni biologici vengono riconosciuti solo se si dimostra che l’estorsione è stata compiuta da un’associazione mafiosa. Oltre il danno la beffa, considerando che per me è stata retrattivata perché i danni mi sono stati riconosciuti 7 mesi prima dell’entrata in vigore. In più questa estate ho fatto lo sciopero della fame e dei farmaci salvavita per chiedere la cancellazione di un decreto che discriminava le vittime,il primo giorno Alfredo Mantovano della Commissione Antimafia e il Commissario Antiracket mi hanno ricevuto dicendomi che non avrei risolto niente con la mia protesta. Si occuparono del mio caso solo Dario Rossin (Consigliere in Campidoglio) e Francesco Storace che, constatato che stavo finendo in coma, chiamò un’ambulanza e, quasi a viva forza, mi fece ricoverata presso l’ospedale ‘Umberto I’ di Roma. Nessun’altro si è preoccupato di intavolare un dialogo. Io mi batto per i cittadini come me.

E’ bene che le vittime facciano capo alle associazioni. L’ ANVU è l’unione di chi ha vissuto in prima persona l’usura per cui chi meglio di noi può capire i problemi e i disagi che si vivono. Con l’attuazione della legge del 1996, essendo ben sovvenzionata e con molto denaro che ruota attorno, le associazioni sono spuntate come funghi: molte riprendevano i nostri programmi e solo per questo ricevevano fondi. Insomma speculazioni e sperperi anche in questo senso: pensi che l’associazione F.A.I. ha ricevuto ben 13 milioni di euro solo per gli sportelli di ascolto, un servizio che noi invece offriamo gratuitamente da anni. Nessuno deve più guadagnare sulle disgrazie. Basta parlare di usura solo come numeri, cifre e calcoli di probabilità: l’usura ha il volto delle vittime e dei carnefici.

Le denunce sono diminuite perché la gente ha paura e non si sente protetta dallo Stato. Ma come biasimarli? Io stessa sono stata abbandonata dalle istituzioni eppure come associazione e come vittima mi batto per l’importanza della denuncia come dovere civile e come primo passo, almeno, per cominciare ad uscire dai ricatti e dalle violenze. Lo Stato deve davvero investire nella lotta anti-usura applicando sempre la legge: le vittime non possono essere messe sotto interrogatorio dalle commissioni ma bisogna tutelarle di più. Chi è vittima di usurai perde tutto: lavoro,casa e futuro, io per esempio non avrò una pensione perché non ho potuto pagare i contributi. Inoltre i processi sono troppo lunghi e l’80 percento di questi va anche in prescrizione e non ricevono neanche risarcimenti.

Serena Cocco - Agenzia Stampa Italia

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