(ASI) “Ricordo ancora con chiarezza la forza delle vostre analisi: il titolo di guida vi appartiene per merito." Gheddafi vide in Sarkozy un possibile amico in Europa, così come l’Africa intera, un tempo, si era illusa di poter contare sull’amicizia della Francia.
Quel dialogo tra il colonnello libico e il presidente francese non fu un semplice episodio diplomatico, ma uno snodo che ha messo a nudo il rapporto ambiguo tra Parigi e l’Africa: promesse di collaborazione, scambi di favori, ma anche sospetti, tradimenti e la perpetua ombra del dominio.
Un corpo trascinato nella polvere, linciato come una bestia; un presidente ieri intoccabile, oggi condannato a 5 anni di prigione con mandato di deposito differito. Due immagini, due epoche, due destini… ma una sola storia: quella della Francia e dell’Africa. Una storia scritta con catene e sangue, costruita sulla menzogna e sulla dominazione. Ieri era l’africano marchiato a fuoco, oggi è un ex presidente francese che la giustizia francese marchia per sempre con l’infamia di una condanna penale.
Oggi ci immergeremo nell’alleanza tra Nicolas Sarkozy e Muʿammar Gheddafi. Un’alleanza siglata con il denaro e infranta dal tradimento. Ma al di là dei due uomini, è molto più di una storia personale: è lo specchio perfetto della relazione tra la Francia e l’Africa. Sempre la stessa meccanica: l’Africa dà, la Francia promette, poi tradisce. Prima di Sarkozy, prima di Gheddafi, c’è la storia. Ieri erano le navi negriere, i mercati degli schiavi, le frustate. Poi vennero i coloni, sventolando “libertà, uguaglianza, fraternità”, ma imponendo miseria, servitù e morte. La colonizzazione ha cambiato volto, ma non natura. Le catene visibili sono diventate invisibili: oggi prendono la forma di dittatori locali addestrati e armati per servire l’ex padrone contro il proprio popolo.
È in questo scenario che nasce un patto D'interessi. Parigi, 2006. Nicolas Sarkozy non è ancora che un candidato assetato di potere. La sua campagna elettorale costa cara, troppo cara. Ha bisogno di soldi, molti soldi. Di fronte a lui, un uomo potente: Muʿammar Gheddafi. Visionario per alcuni, dittatore per altri, ma indiscutibilmente un leader che sogna in grande. Gheddafi vuole un’Africa unita, libera dalla tutela occidentale: una moneta africana indipendente dal dollaro e dal franco CFA, un esercito panafricano, un continente finalmente sovrano. Sarkozy vede in lui una cassa, Gheddafi vede in lui un alleato.
«Sì, Signor guida, spero di ricevervi in Francia o di recarmi in Libia. Conto sulla vostra preghiera. Signor guida, non prego allo stesso modo che voi, ma prego lo stesso Dio che voi. Vi esprimo il mio rispetto e la mia amicizia, Signor guida.»
La transazione è semplice: decine di milioni di euro in cambio di una promessa. Promessa di amicizia, promessa d’aiuto, promessa di rispetto. Ma la storia ce lo insegna: quando si firma un patto con il diavolo, il tradimento non è mai lontano.
2007: Sarkozy arriva all’Eliseo. Gheddafi è ricevuto a Parigi, tenda piantata sugli Champs-Élysées, tappeto rosso, abbracci. Ma dietro i sorrisi già si tessono i calcoli. L’Occidente trema davanti al sogno africano. Un’Africa libera significa la fine di un sistema costruito da secoli sul saccheggio delle risorse: petrolio, uranio… La Francia senza l’Africa crollerebbe come un castello di carte. Allora Sarkozy sceglie il suo campo. Come disfarsi di un uomo che sa troppo? Risposta: trasformandolo in un mostro. All’improvviso Gheddafi diventa un dittatore sanguinario, un terrorista. I media ripetono il ritornello, la campagna di demonizzazione è lanciata. Esattamente come accadde con Saddam Hussein.
19 marzo 2011. Con il pretesto dell’umanità, Francia, Stati Uniti e Regno Unito bombardano la Libia. Tripoli cade in agosto, Gheddafi fugge, braccato come un animale. Ma Sarkozy non vuole soltanto cacciarlo dal potere: vuole cancellarlo, eliminare le prove del patto, ridurre al silenzio un testimone scomodo. Ottobre 2011, Sirte: Gheddafi viene ritrovato, linciato, torturato, giustiziato in modo barbaro. Il suo corpo esibito come un trofeo. Sarkozy crede di aver vinto, ma in realtà ha appena aperto la porta al caos.
La morte del “Guida” non è la fine, ma l’inizio del disastro. Gli arsenali libici si disperdono nel deserto, migliaia di armi finiscono nelle mani dei gruppi jihadisti. E per una strana coincidenza, questi gruppi appaiono esattamente là dove si trovano gli interessi minerari francesi: petrolio in Ciad, oro in Mali. Allora la Francia dispiega i suoi soldati: 2013 Operazione Serval, 2014 Operazione Barkhane. Ufficialmente per combattere il terrorismo, in realtà per proteggere Areva, Total, le miniere e gli oleodotti. Per dieci anni l’esercito francese staziona nel Sahel, non per salvare gli africani, ma per custodire i tesori.
Ma l’Africa ha aperto gli occhi. Mali, Burkina Faso, Niger, Guinea: uno a uno i popoli si sollevano, le basi francesi vengono cacciate. Il messaggio è chiaro: basta. Perché la gioventù africana ha capito che il terrorismo non è una fatalità, ma un’industria. I soldati francesi non difendono la pace, ma il saccheggio. Ogni intervento “umanitario” nasconde un’agenda economica.
Guardate bene la scena finale. Ieri era l’africano incatenato. Nel 2025, Nicolas Sarkozy, ex presidente, è appena stato condannato a 5 anni di carcere per associazione a delinquere nell’affare del finanziamento libico della sua campagna presidenziale. Una pena accompagnata da un mandato di deposito differito. Non dorme ancora dietro le sbarre, ma la giustizia lo ha raggiunto. Ha già passato mesi sotto braccialetto elettronico, simbolo di un’umiliazione giudiziaria senza precedenti per un ex capo di Stato francese. Annuncia ricorso, ma l’immagine resterà scolpita per sempre: ieri era l’africano incatenato, oggi è un ex presidente francese che la storia raggiunge e che la giustizia marchia con il suo stesso braccialetto.
Ieri la Francia imponeva la sua legge a colpi di bombe. Oggi i suoi eserciti lasciano il Sahel umiliati. E mentre le basi vengono cacciate dall’Africa, la Francia affonda in un debito abissale. La sua economia vacilla, il suo Stato mendica miliardi per sopravvivere. Senza le risorse africane, la macchina imperiale si inceppa. Ieri viveva di saccheggio, oggi soffoca nei propri conti. Ieri Gheddafi cadeva linciato per aver sognato un’Africa libera. Domani, questo sogno rinascerà in una gioventù senza paura e piena di speranza.
Il cerchio si chiude: l’Africa non è più in vendita. Si rialza più giovane, più forte, più determinata che mai. Coloro che l’hanno saccheggiata, umiliata e tradita dovranno un giorno o l’altro rispondere dei loro crimini. Sarkozy non è che il primo anello di una lunga catena. Altri seguiranno. Perché non è una profezia: è la logica implacabile della storia. E la storia non dimentica mai. Quando colpisce, non avverte. E non perdona.
Laurant De Bai per Agenzia Stampa Italia
*Fonte foto Kremlin.ru, CC BY 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/4.0>, via Wikimedia Commons.



