(ASI)Nel cuore del sud della Siria, la città di Suwayda, roccaforte della comunità drusa, è teatro di una crisi che si sta rapidamente trasformando in una persecuzione, una tragedia umanitaria e identitaria.
Gli scontri iniziati il 13 luglio 2025 tra milizie druse e clan beduini sunniti, supportati da forze governative siriane, hanno causato oltre 100 morti, tra cui civili, donne e bambini. Ma ciò che sta accadendo a Suwayda, secondo molti osservatori e membri della comunità drusa, non è solo un conflitto settario: è un tentativo deliberato di sottomettere una comunità che ha sempre difeso la propria autonomia e dignità.
Un druso residente in Israele, testimone del dramma che si consuma oltre il confine, descrive la situazione con parole cariche di dolore e determinazione: “Ciò che sta accadendo oggi a Suwayda non è più una ‘crisi’ o una ‘sfida di sicurezza’, ma un progetto sistematico per annientare ciò che resta della dignità di questa componente, spogliarla della sua identità e farle pagare il prezzo delle sue scelte indipendenti.” Queste parole riflettono un sentimento diffuso tra i drusi, che vedono nel governo transitorio di Ahmad al-Sharaa non un’autorità legittima, ma un regime che ha perso ogni credibilità morale e politica.
La comunità drusa, che conta circa mezzo milione di persone in Siria, principalmente concentrate nella regione di Suwayda (Jabal al-Duruz), ha una lunga storia di resistenza e autodifesa. Derivata dall’ismailismo sciita nel X secolo, questa minoranza religiosa si è sempre distinta per il suo forte senso di identità e per la capacità di mantenere un equilibrio tra lealtà allo Stato e difesa della propria autonomia. Tuttavia, la fragilità del governo transitorio siriano post-Assad, insediatosi dopo la caduta del regime nel dicembre 2024, ha esacerbato le tensioni settarie. La transizione politica, lungi dall’essere inclusiva, ha lasciato spazio a un “vuoto istituzionale” che ha permesso a gruppi armati, inclusi miliziani affiliati a fazioni jihadiste, di colpire le comunità minoritarie, come denunciato dal Ministero della Difesa siriano e da osservatori internazionali.
Gli scontri recenti sono iniziati con sequestri reciproci tra drusi e beduini nel quartiere al-Maqous di Suwayda, ma si sono rapidamente trasformati in un conflitto più ampio, con il coinvolgimento delle forze di sicurezza siriane. Secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, almeno 166 persone sono morte, tra cui 19 civili drusi uccisi in esecuzioni sommarie da parte delle forze governative e dei loro alleati. Video circolati sui social media mostrano episodi di estrema violenza, come l’umiliazione di un anziano druso, a cui è stata rasata la barba, un gesto considerato un grave insulto nella cultura drusa.
Le parole del druso israeliano risuonano come un’accusa diretta al governo di Ahmad al-Sharaa: “La minaccia non viene più solo da organizzazioni estremiste ai margini — ma da un regime che ha perso ogni legittimità nazionale e morale, e che ha iniziato a trattare Suwayda come una sacca da sottomettere o spezzare.” Questo sentimento è condiviso da molti leader drusi, che vedono l’intervento delle forze di sicurezza non come un tentativo di ristabilire l’ordine, ma come un’azione punitiva contro una comunità che si è opposta all’integrazione forzata nelle strutture militari del regime. Il movimento “Uomini della Dignità”, una milizia di autodifesa drusa, ha accusato il governo di aver fallito nel garantire la sicurezza lungo la strada Damasco-Suwayda, alimentando così le tensioni che hanno portato agli scontri.
Nonostante un cessate il fuoco annunciato il 15 luglio dal Ministro della Difesa siriano Murhaf Abu Qasra, la situazione rimane caotica. Testimonianze locali, riportate dal sito Suwayda 24, parlano di saccheggi, incendi e uccisioni di civili da parte delle forze governative e dei loro alleati beduini. Rayan Maarouf, caporedattore di Suwayda 24, ha denunciato pratiche “selvagge” da parte delle truppe entrate in città con il pretesto di ristabilire l’ordine. Inoltre, la leadership spirituale drusa, pur avendo inizialmente invitato le fazioni armate a cooperare con il governo e a deporre le armi, ha visto le sue richieste disattese, con alcuni leader che ora incitano alla resistenza armata.
Un elemento cruciale della crisi è il coinvolgimento di Israele, che ha condotto raid aerei contro le forze siriane a Suwayda il 15 luglio, colpendo convogli militari in quello che è stato descritto come un’azione “dimostrativa” per proteggere la comunità drusa. Il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della Difesa Israel Katz hanno giustificato gli attacchi come un impegno a prevenire danni ai drusi, con cui Israele mantiene un “profondo legame di sangue” grazie alla presenza di comunità druse nel Golan e in altre aree sotto controllo israeliano.
Questa azione ha sollevato critiche da parte del governo siriano, che ha accusato Israele di interferenza e ha minacciato ritorsioni. Tuttavia, per molti drusi, l’intervento israeliano è visto come un segnale di solidarietà, soprattutto alla luce della loro crescente sfiducia verso Damasco. Come afferma il druso israeliano: “Se lo Stato fallisce nel proteggerci, deve capire che siamo capaci di proteggerci da soli — e persino di riorganizzare la nostra esistenza in modi che forse non gli piaceranno, ma ai quali ci ha lui stesso costretti.”
La crisi di Suwayda non è solo una questione di sicurezza, ma una battaglia per l’identità e la sopravvivenza di una comunità che si sente tradita e isolata. “Noi drusi non siamo mai stati un peso per nessuno; siamo stati partner nella costruzione di questo Oriente, nelle sue rivoluzioni, nella sua storia e nella sua dignità. Eppure, siamo stati presi di mira, il nostro ruolo è stato ridotto, siamo stati isolati e le nostre contraddizioni sono state sfruttate,” continua il testimone druso. La comunità si trova ora a un bivio: accettare un’integrazione forzata sotto un governo percepito come ostile o resistere, rischiando un’escalation che potrebbe portare a una rottura definitiva con Damasco.
Le richieste dei drusi, come espresso dalla loro leadership, includono un dialogo per un’autonomia amministrativa e di sicurezza che valorizzi le risorse locali. Tuttavia, la sfiducia verso il governo di Sharaa, accusato di legami con gruppi islamisti radicali, rende difficile qualsiasi negoziato. La comunità drusa, pur dichiarando di non voler la secessione, avverte: “Non accetteremo più di essere trattati come cittadini di seconda classe.”
Mentre Suwayda brucia, il silenzio delle cancellerie internazionali è assordante. La comunità drusa ha chiesto protezione internazionale, ma l’ONU e altre organizzazioni non hanno ancora preso una posizione chiara. Nel frattempo, l’esodo di civili verso le campagne orientali di Suwayda testimonia la disperazione di una popolazione sotto assedio.
La crisi di Suwayda rappresenta, come afferma il druso israeliano, “l’ultima linea di difesa del significato di ‘esistenza libera’ in Siria.” Se non verrà affrontata con un’iniziativa politica inclusiva, rischia di trasformarsi in un nuovo capitolo di frammentazione e settarismo, con conseguenze devastanti non solo per i drusi, ma per l’intera Siria. La comunità internazionale, Israele, e lo stesso governo siriano devono agire rapidamente per evitare che questa “faglia invisibile” diventi un crepaccio irreparabile. Così in una nota Alessandro Bertoldi
Direttore esecutivo dell’Istituto Milton Friedman.



