(ASI) Negli ultimi giorni, l’attenzione della comunità internazionale si è concentrata nuovamente sul Medio Oriente, dove la tensione tra Iran e Israele ha raggiunto nuovi livelli di allarme. Una serie di attacchi reciproci tra il 13 e il 22 giugno 2025 ha innescato un’escalation militare che rischia di trasformarsi in una crisi globale.
Ma il vero punto critico di questa crisi non è solo la sfida nucleare tra Teheran e Tel Aviv, bensì una minaccia ben più immediata e tangibile: la possibile chiusura dello Stretto di Hormuz da parte dell’Iran.
Lo Stretto di Hormuz, passaggio marittimo strategico che collega il Golfo Persico all’Oceano Indiano, è oggi uno dei luoghi più sensibili al mondo. Ogni giorno vi transitano quasi 20 milioni di barili di petrolio, circa un quinto del fabbisogno mondiale, insieme a enormi volumi di gas naturale liquefatto.
Una chiusura anche solo parziale di questo canale marittimo comporterebbe un’impennata immediata dei prezzi del greggio e metterebbe in ginocchio molte economie già provate da instabilità e inflazione.
In risposta ai raid israeliani contro obiettivi militari e nucleari sul territorio iraniano, gli Stati Uniti hanno condotto tra il 21 e il 22 giugno un’importante offensiva aerea mirata a neutralizzare postazioni strategiche dell’Iran, comprese strutture in prossimità dello stesso Stretto di Hormuz.
Teheran ha reagito con durezza, definendo l’azione una provocazione inaccettabile e minacciando esplicitamente di chiudere il passaggio marittimo. Secondo il Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale iraniano, “nessuna nave attraverserà impunemente le nostre acque territoriali se la nostra sovranità sarà messa a rischio”.
L’intervento militare degli Stati Uniti ha acceso ulteriormente i riflettori su una possibile destabilizzazione della regione. La Cina, tra i maggiori importatori mondiali di petrolio dal Golfo Persico, ha condannato apertamente l’azione americana, definendola un atto irresponsabile che mette a rischio la stabilità energetica dell’Asia e del mondo.
Pechino ha lanciato un appello alla de-escalation, offrendo la propria mediazione e invitando l’Iran a evitare mosse estreme, come la chiusura dello Stretto, che comprometterebbero irrimediabilmente le rotte energetiche internazionali.
La minaccia, tuttavia, resta concreta. Dietro l’atteggiamento sempre più assertivo dell’Iran si cela una strategia precisa: fare pressione sulla comunità internazionale, in particolare sugli attori asiatici ed europei, affinché limitino il sostegno a Israele e costringano gli Stati Uniti a rivedere il loro impegno diretto nel Golfo.
Per l’Europa, e per l’Italia in particolare, una chiusura dello Stretto di Hormuz avrebbe effetti immediati: aumento dei prezzi dell’energia, interruzioni nella catena logistica e nuove pressioni inflattive. Molti analisti temono che la crisi possa ostacolare gli sforzi europei verso la diversificazione energetica e creare nuove dipendenze geopolitiche in un momento già complesso per il continente.
Oggi lo Stretto di Hormuz è molto più di un corridoio marittimo: è diventato il simbolo di una fragilità sistemica in cui confluiscono tensioni regionali, rivalità globali e interessi energetici planetari. L’Iran sa bene che controllare o anche solo minacciare la chiusura di questo snodo significa avere un potere negoziale immenso.
Tommaso Maiorca – Agenzia Stampa Italia



