(ASI) Riceviamo e Pubblichiamo - Il vertice della NATO che si sta svolgendo all'Aia in queste ore, il 24 giugno 2025, è forse uno dei più delicati e simbolici dalla fine della Guerra Fredda. Sullo sfondo: la guerra in Ucraina, una storica pace tra Israele e Iran, la pressione crescente sulla sicurezza europea, e soprattutto, il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.
(ASI) Riceviamo e Pubblichiamo
"La pace non si fonda sull'incertezza, ma sulla fermezza dei trattati. — Woodrow Wilson
Il vertice della NATO che si sta svolgendo all'Aia in queste ore, il 24 giugno 2025, è forse uno dei più delicati e simbolici dalla fine della Guerra Fredda. Sullo sfondo: la guerra in Ucraina, una storica pace tra Israele e Iran, la pressione crescente sulla sicurezza europea, e soprattutto, il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca.
Giunto al suo secondo mandato, Trump è tornato a dominare la scena internazionale con lo stile diretto e divisivo che lo ha sempre caratterizzato. Nelle sessioni plenarie ha spinto duramente per un aumento radicale della spesa militare dei membri europei: non più il 2% del PIL, come stabilito nei precedenti accordi, ma addirittura il 5%. Per Trump, l'Europa non può più "nascondersi dietro le spalle americane senza contribuire in modo sostanziale".
Ancora più controversa è stata la sua dichiarazione sull'Articolo 5, il cuore dell'Alleanza, che prevede la difesa collettiva in caso di attacco a uno dei membri. Trump ha fatto capire che la risposta statunitense non sarà automatica: "Dipenderà da chi è l'aggredito e da quanto ha fatto per meritarsi la protezione". Una frase che ha gelato le delegazioni baltiche e polacche, e ha fatto tremare i fondamenti della fiducia reciproca nell'Alleanza.
Al tempo stesso, però, il vertice si è aperto con un annuncio che, almeno per qualche ora, ha portato un soffio di speranza. Iran e Israele hanno firmato un trattato di pace mediato da Turchia e Nazioni Unite: una svolta storica che pone fine a oltre settant'anni di ostilità e minacce reciproche. Il patto prevede il riconoscimento diplomatico, la cessazione del sostegno iraniano a milizie armate anti-israeliane e l'apertura graduale di relazioni economiche.
La NATO, che da anni manteneva una presenza navale e aerea stabile in Medio Oriente per contenere le tensioni, potrà forse riallocare risorse e ridurre il proprio impegno in quella regione. Ma questa pace, seppur rivoluzionaria, non risolve i problemi dell'Alleanza: anzi, li mette ancora più a fuoco.
Uno di questi riguarda proprio la guerra in Ucraina, che entra nel suo quarto anno. Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy è presente all'Aia, ma con un profilo molto più cauto rispetto ai vertici del 2022 e 2023. Sa bene che la rielezione di Trump ha indebolito il sostegno americano: le nuove forniture militari – in particolare i sistemi antiaerei e i droni – sono state praticamente congelate, e ora Washington chiede che siano gli europei a farsene carico. Di fatto, gli USA stanno spingendo l'Europa a gestire il conflitto, mentre mantengono una posizione ambigua.
In questo contesto, le richieste di adesione da parte di Georgia, Moldavia e Bosnia-Erzegovina alimentano nuove divisioni interne. Per i Paesi dell'Est Europa, l'allargamento è necessario per contenere le ambizioni russe. Per altri – come Francia, Italia e Germania – l'espansione rischia di compromettere la stabilità interna dell'Alleanza. Trump, dal canto suo, ha liquidato le richieste di adesione come "un'altra follia che metterebbe gli americani a rischio per paesi che non conoscono nemmeno".
Eppure, proprio qui si tocca il cuore della questione. Da un lato, servirebbe una NATO che non sia percepita come una minaccia diretta ai confini russi, per evitare di alimentare la spirale di escalation. Dall'altro, è fondamentale accogliere quei Paesi che vedono nell'Alleanza l'unica garanzia contro l'aggressione e la coercizione. Una NATO che respinge chi chiede protezione rischia di perdere non solo credibilità, ma anche la propria identità.
Non manca chi, tra analisti e vertici militari, inizia a proporre un ripensamento più radicale. Secondo il colonnello italiano Fabio Stirpe, esperto di strategia atlantica, "la vera evoluzione necessaria è l'uscita politica di Trump dalla guida indiretta della NATO, per lasciare spazio a un'Alleanza finalmente a trazione europea, autonoma, capace di decidere per sé stessa". Per Stirpe, e per una parte crescente del pensiero strategico europeo, la NATO può sopravvivere solo se diventa più europea, più indipendente e meno vulnerabile ai capricci della politica americana.
Il vertice dell'Aia, dunque, si chiude con più interrogativi che risposte. Ma una cosa appare chiara: la NATO è a un punto di svolta. Dovrà scegliere se restare un'alleanza reattiva, guidata dagli equilibri interni degli Stati Uniti, o se diventare un attore politico e strategico a pieno titolo, in grado di affrontare da sola le sfide di sicurezza del continente. La pace tra Iran e Israele dimostra che i muri possono cadere. Ora l'Europa deve decidere se costruirne di nuovi, o finalmente camminare con le proprie gambe.
Carlo Di Stanislao



