(ASI) Sochi – L’Iniziativa per il grano sul Mar Nero non verrà al momento rinnovata. È quanto emerge dal faccia a faccia tra Putin ed Erdogan tenutosi lo scorso 4 settembre a Sochi.
L’accordo – frutto della meticolosa mediazione delle Nazioni Unite e del presidente turco in persona – era finora riuscito ad aggirare il blocco dei porti ucraini a opera dell’esercito russo.
Secondo la Commissione europea, la “Black Sea Grain Initiative” ha di fatto scongiurato una grave crisi alimentare, in quanto ha consentito l’esportazione di quasi 33 milioni di tonnellate di cereali e prodotti alimentari dal “granaio ucraino” a ben quarantacinque paesi in tutto il mondo, ivi compresi numerosi Stati africani incalzati dalla povertà dilagante.
Le cancellerie occidentali avevano intravisto nell’incontro un segnale incoraggiante, auspicando una marcia indietro del capo del Cremlino. Persino Erdogan, appena ricevuto dall’interlocutore, non aveva mancato di rilevare: “L'attenzione globale è rivolta all'accordo sul grano. Credo che invieremo il messaggio necessario al mondo, soprattutto ai Paesi africani meno sviluppati. Un passo in questa direzione sarà molto importante”.
Eppure, così non è stato. Nella conferenza stampa finale, Putin è rimasto saldamente sulle sue posizioni. “Siamo stati costretti a prendere questa decisione” ha sentenziato, addossando le responsabilità all’Occidente.
Il presidente ha accusato la controparte di aver proposto il rinnovo dell’accordo senza al contempo rispettare alcune clausole che avrebbero dovuto rimuovere le restrizioni occidentali sulla libera circolazione di macchinari e prodotti agricoli, sull’esportazione di grano e fertilizzanti russi, sulla logistica e i servizi bancari per le spedizioni del grano ucraino.
“Come spesso accade con i nostri partner occidentali, anche questa volta ci hanno deluso” ha scandito sarcasticamente. Ma Putin si è lasciato sfuggire un’accusa ancor più grave, quando ha affermato che gli ucraini – spalleggiati dagli alleati occidentali – avrebbero sfruttato i corridoi umanitari previsti dall’accordo per compiere “attacchi terroristici” ai danni di “strutture civili e militari russe” e bersagliare le navi incaricate di sorvegliare i gasdotti TurkStream e Blue Stream diretti in Turchia.
Il capo del Cremlino ha annunciato che un eventuale rinnovo dell’accordo sarà possibile solo quando verranno rimosse le sanzioni alle esportazioni di prodotti agricoli russi. D’altronde, non è certo un segreto che Mosca non abbia gradito le ripetute restrizioni varate da Stati Uniti e Unione europea. Dietro la brusca decisione di Putin, tuttavia, si cela anche la volontà di penalizzare ulteriormente le finanze ucraine, privandole degli introiti derivanti dalla vendita dei preziosi prodotti alimentari.
Erdogan, dal canto suo, ha tentato fino all’ultimo di persuadere l’alleato. Ha ricordato come l’Iniziativa sia stata “un'ancora di salvezza” per i paesi più indigenti, avendo loro consentito di mettere mano a riserve di cibo sicure a un prezzo abbordabile.
Quando si è reso conto dell’irremovibilità dell’interlocutore, il presidente turco si è affrettato ad annunciare al più presto l’apertura di un nuovo tavolo di negoziato con le Nazioni Unite. “La Turchia farà ogni sforzo e crediamo che riusciremo a raggiungere un risultato nel più breve tempo possibile”, ha esclamato.
Nonostante lo smacco subito, Erdogan si è guardato bene dall’alzare i toni, preferendo al contrario definire Putin “un caro amico”. Del resto, stando ai dati snocciolati dai due vertici nel corso della conferenza stampa congiunta, sono solidi i legami intercorrenti fra Ankara a Mosca.
Nel 2022 il volume degli scambi commerciali bilaterali è quasi triplicato rispetto agli anni precedenti, superando la cifra record 60 miliardi di dollari. Gli scambi di prodotti alimentari si sono dimostrati anch’essi in crescita, arrivando a sfiorare i 7 miliardi e mezzo.
Scambi che, ha dichiarato Putin, verranno sempre più pagati ricorrendo alle valute nazionali, grazie all’imminente sottoscrizione di appositi accordi tra le banche centrali. “La quota del dollaro e dell'euro nelle transazioni reciproche è in costante diminuzione” ha fatto notare il presidente, lanciando un esplicito guanto di sfida all’Occidente.
Per quanto riguarda gli approvvigionamenti, Putin ci ha tenuto ad assicurare di essere un fornitore “affidabile e responsabile” di gas. Il capo del Cremlino ha, inoltre, proposto di rendere Ankara un’importante base logistica per la vendita di gas russo a paesi terzi.
In merito, il colosso moscovita Gazprom ha presentato un progetto per la costruzione di un grande centro di smistamento nella regione della Tracia. “Il progetto prevede la costituzione di un gruppo di lavoro congiunto, la definizione di un quadro normativo e lo sviluppo dei processi per il commercio e il trasferimento del gas”, ha spiegato Putin.
E poi c’è il settore nucleare. È già in atto – a opera del gigante russo Rosatom – l’edificazione della centrale “Akkuyu”, composta da ben quattro unità di potenza. Situata nell’area meridionale, si tratta della prima centrale in assoluto della Turchia, la cui realizzazione sta impiegando circa 25.000 tra specialisti e ingegneri russi e turchi. E non finisce qui, poiché durante il faccia a faccia si è parlato dell’innalzamento di un secondo impianto a Sinope, città affacciata sul Mar Nero.
Per mitigare le ricadute dello stralcio dell’Iniziativa per il Mar Nero, Putin ha proposto di inviare gratuitamente ai paesi più poveri un milione di tonnellate di grano provenienti dalla Russia e lavorate industrialmente da Ankara, nel duplice intento di salvare l’immagine di Mosca e sostenere, al contempo, lo sviluppo del comparto alimentare turco.
Se da un lato l’esecutivo di Erdogan è membro Nato, dall’altro è evidente che ci sono troppi interessi in gioco con Mosca. E se il presidente turco ha parlato di “relazioni bilaterali basate sui principi di vicinato, amicizia e sincerità”, il capo del Cremlino ha definito il colloquio “sostanzioso e produttivo”.
Quel che è certo è che Ankara non intende fare un passo indietro e rinunciare al proprio ruolo di mediatore in caso di eventuali trattative per la cessazione delle ostilità in Ucraina. “Non ci sono vincitori in guerra, non ci sono perdenti in pace” ha detto a tal proposito Erdogan.
Al momento, però, il destino del grano di Kyiv è appeso a un filo. E non si intravedono avvisaglie di possibili negoziati nel futuro immediato.
Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia