Putin alla ricerca di alleati in Africa

(ASI) San Pietroburgo – L’isolamento occidentale legato alla guerra in Ucraina sta costringendo Vladimir Putin a riconsiderare il posizionamento della Federazione russa sullo scenario internazionale.

Reduce da oltre un anno di ripetute sanzioni statunitensi ed europee, il capo del Cremlino ha bisogno di parare il colpo e trovare nuovi alleati capaci di sostenerlo politicamente ed economicamente.

L’Africa, dal canto suo, non ha mai nascosto l’intenzione di rivestire un ruolo di maggior prestigio nello scacchiere globale, forte di un prezioso bottino di risorse naturali che fa gola a molti. Nel contempo, il continente nero non ha mai celato nemmeno l’irritazione nei confronti di quelle cancellerie occidentali che a lungo hanno imposto uno spiacevole regime coloniale, entrando a gamba tesa nell’amministrazione locale e depredandone le ricchezze.

All’apparenza, dunque, il rafforzamento delle relazioni Russia-Africa potrebbe risultare reciprocamente vantaggioso. Eppure, non è tutto oro quel che luccica. Perché, in fondo, non è detto che l’approccio di Mosca sia privo di insidie per i governi africani. Le controverse operazioni dei mercenari della Wagner in molti Stati dell’area – accusati di violenze, soprusi e sfruttamenti di ogni genere – costituiscono un esempio significativo.

Ciononostante, il fatto che Mosca non possa vantare un passato coloniale paragonabile ai paesi occidentali costituisce senza dubbio un punto a suo favore. Come sta avvenendo anche per la Cina – altra potenza desiderosa di espandersi al più presto su nuovi mercati – ciò costituisce una sorta di “lasciapassare”, capace di mitigare almeno in parte le diffidenze delle classi dirigenti locali.

In tale ottica s’inserisce il secondo vertice Russia-Africa, tenutosi a San Pietroburgo il 28 e 29 luglio. All’evento umanitario ed economico, organizzato dal Cremlino in grande stile, hanno preso parte delegati da 49 paesi africani, di cui 17 capi di Stato. Presente anche il presidente delle Comore e numero uno dell’Unione africana, Azali Assoumani.

La due giorni di negoziazioni è culminata con la sottoscrizione di una serie di accordi e protocolli d’intesa di carattere finanziario nonché di un corposo documento congiunto. A dominare la Dichiarazione di San Pietroburgo, la volontà della Russia di intensificare sempre più le relazioni con il continente nero, facendo strategicamente leva sugli aspetti che più lo dividono dall’Occidente.

E così, nella Dichiarazione ricorrono abbondantemente riferimenti espliciti alla “lotta comune per l'eradicazione del colonialismo”, alla “necessità di opporsi congiuntamente al neocolonialismo”, in ossequio all’ormai abituale oratoria denigratoria putiniana verso i presunti istinti predatori delle cancellerie occidentali. E non stupisce che – in concomitanza con la retorica alla base del conflitto in Ucraina – il documento annoveri fra le priorità il contrasto al “neonazismo” e “neofascismo”, mettendo sullo stesso piano “afrofobia” e “russofobia”.

Punto centrale è sicuramente quello relativo alla “creazione di un ordine mondiale multipolare più giusto, equilibrato e stabile” improntato all’appoggio, da parte di Mosca, al “rafforzamento della sovranità nazionale degli Stati africani”. Una formula, questa, che lascia trasparire l’ambizione di Putin di presentarsi quale alleato affidabile, alimentando le istanze paritarie che i governanti africani vanno da tempo reclamando dinanzi agli interlocutori occidentali nei consessi internazionali.

La strategia di Putin nel far sentire il continente nero pienamente integrato con gli altri attori globali si articola in diversi punti. Passa, in primis, attraverso il coinvolgimento politico in molteplici organizzazioni rigorosamente alternative a quelle occidentali. La Dichiarazione menziona un rafforzamento dei legami dell’Africa con il gruppo dei paesi Brics, l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (un’alleanza militare che riunisce alcuni ex paesi sovietici in buoni rapporti con Mosca, ivi compresa la Bielorussia del controverso presidente Aleksandar Lukashenko), l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (l’organismo intergovernativo fondato da Russia e Cina, di cui fanno parte anche India e Iran).

C’è, poi, il settore degli affari. Il documento evidenzia, fra gli obiettivi da raggiungere, la promozione del “partenariato economico, commerciale e di investimento tra la Federazione russa e l'Unione africana”. Prevista una serie di iniziative concrete mirate a costruire un clima di “cooperazione reciprocamente vantaggiosa” fra gli imprenditori. La Dichiarazione promette maggiore collaborazione e maggiori scambi di beni o di conoscenza nei settori più delicati, dallo sviluppo sostenibile all’industria, dall’agricoltura al digitale, dalla logistica alla transizione verde, passando per i rifornimenti di fonti energetiche e materie prime critiche.

Non poteva mancare un passaggio su un tasto assai dolente per il Cremlino. Russia e Africa si sono, infatti, impegnate a contrastare insieme “misure restrittive unilaterali illegali”. È fin troppo facile identificare un’evidente allusione alle sanzioni occidentali per la guerra in Ucraina. D’altronde, la retorica putiniana ha sempre cercato di screditare le ritorsioni di Stati Uniti e Unione europea dipingendole come una mossa in grado di danneggiare le già fragili economie africane.

Ciò potrebbe, in realtà, ritorcersi contro il medesimo Putin, dal momento che è stato lui a bloccare l’Iniziativa delle Nazioni Unite per il grano sul Mar Nero. Il mantenimento dell’accordo – raggiunto faticosamente grazie alla mediazione della Turchia di Erdogan – sarebbe di vitale importanza per rifornire tantissimi paesi africani che rischiano di precipitare in una drammatica crisi alimentare. Nonostante il presidente si sia affrettato a promettere l’invio gratuito e rapido di 50.000 tonnellate di grano agli Stati più poveri, numerosi governanti locali hanno accolto con forte disapprovazione lo stop russo all’accordo.

Alla conferenza stampa conclusiva, Putin ha comunque ostentato ottimismo, parlando di un vertice svoltosi in un’atmosfera “costruttiva e amichevole”. Il presidente ha annunciato che saranno aumentate le esportazioni di macchinari, attrezzature, prodotti chimici, fertilizzanti. Un programma di investimenti nel settore sanitario mobiliterà 1,2 miliardi di rubli fino al 2026, mentre crescerà progressivamente il ruolo dell’azienda pubblica russa Rosatom nello sviluppo del settore energetico africano.

Il numero uno dell’Unione africana, dal canto suo, ha definito il vertice “un vero successo” e si è più volte rivolto all’interlocutore qualificandolo come “amico”. Al di là dei ringraziamenti per le sue posizioni spiccatamente anti-coloniali, però, il capo del Cremlino non sembra aver portato a casa risultati altisonanti.

Come fanno notare gli osservatori, in effetti, la deludente presenza di solo 17 capi di Stato potrebbe essere un segnale della freddezza africana nei confronti dello stralcio dell’Iniziativa per il grano sul Mar Nero. Lo stesso Assoumani ha affermato esplicitamente che le forniture russe di grano annunciate “non sono abbastanza”. Preoccupato per gli effetti di lungo termine della guerra in Ucraina, ha esortato il Cremlino a raggiungere al più presto un cessate il fuoco, proponendosi addirittura come mediatore.

E sulle relazioni commerciali con Mosca, Assoumani ha chiuso le porte alla creazione di un rapporto esclusivo e ha tagliato corto: “Viviamo in un mondo multipolare. La Russia investirà in Africa, ma questo non significa che altri paesi non verranno da noi. Creeremo le condizioni per una concorrenza positiva. Non avremo un solo e unico partner, ne avremo molti”.

D’altronde – come emerge da uno studio dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale – l’anno scorso il valore degli scambi commerciali Russia-Africa si è attestato a una soglia nettamente inferiore rispetto alle relazioni intrattenute dal continente nero con Cina, Stati Uniti o Francia.

Insomma, la strada per l’alleanza desiderata da Putin si presenta ancora lunga e tortuosa. Sullo sfondo, la Cina di Xi Jinping non se ne sta certo a guardare.

Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia

 
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