(ASI) Lussemburgo – Il recente Consiglio dell’Unione europea ha manifestato l’intenzione di modificare la legislazione comunitaria sull’immigrazione. Ma la strada da percorrere è ancora lunga e le questioni aperte sono ancora troppe.
I ventisette ministri degli Interni si sono incontrati a Lussemburgo lo scorso 8 giugno. Le negoziazioni hanno condotto a una prima bozza di accordo su due nuovi regolamenti riguardanti la procedura di asilo (Asylum Procedure Regulation) e la gestione dell'asilo e della migrazione (Asylum and Migration Management Regulation). L’accordo dovrà ora essere sottoposto all’esame dell’Europarlamento.
Cos’ha deliberato, in concreto, il Consiglio? Partiamo dal regolamento sulla procedura di asilo. In primo luogo, alcune leggi e procedure amministrative sono state uniformate a livello di Ue. I tempi delle pratiche sono stati ridotti nella stessa misura, per tutti gli Stati. Ognuno dovrà assicurare ai migranti una serie di diritti basilari, come la presenza di interpreti per facilitare le comunicazioni o l’assistenza legale in caso di necessità.
Le richieste di asilo saranno valutate lungo la frontiera e dovranno essere processate entro al massimo sei mesi. Finché non ci sarà un esito chiaro, i migranti non potranno mettere piede sul territorio nazionale dello Stato presso il quale hanno presentato la domanda. I ministri hanno concordato una nuova “procedura di frontiera” che risulterà più veloce in quanto analizzerà in maniera più semplificata e rapida le richieste di asilo.
Oltre alla velocizzazione, l’accento è stato posto sulla sicurezza. La nuova procedura, infatti, scatterà automaticamente se il richiedente “rappresenta un pericolo per la sicurezza nazionale o l'ordine pubblico”, se “induce in errore le autorità presentando informazioni false” o se “omette informazioni”.
In caso di esito negativo, il migrante potrà essere direttamente rimpatriato oppure respinto verso uno dei paesi precedentemente attraversati, a patto che sia ritenuto “sicuro”. Saranno i singoli Stati a decidere se rimpatriare o respingere. E saranno sempre i singoli Stati a decretare i criteri in base ai quali considerare “sicura” una nazione esterna.
Relativamente al regolamento sulla gestione dell'asilo e della migrazione, esso sarà destinato a sostituire – una volta approvato in via definitiva – l’attuale controverso regolamento di Dublino. L’obiettivo è quello di intervenire sugli articoli più contestati dai paesi di primo approdo, alleggerendo cioè la pressione sugli Stati maggiormente esposti alle correnti migratorie.
Il comunicato redatto ai termini dei lavori parla, a tal proposito, di un “nuovo meccanismo di solidarietà semplice, prevedibile e praticabile” capace di coniugare “solidarietà obbligatoria e flessibilità” fra le cancellerie europee. In sostanza, ogni governo dovrà contribuire in qualche modo alla gestione dei migranti per non lasciare soli i paesi più esposti.
Potrà farlo innanzitutto ricollocando – ossia accogliendo – una quota di richiedenti. In alternativa, potrà concedere finanziamenti agli esecutivi maggiormente gravati oppure inviare loro personale specializzato, per aiutarli con i controlli e le procedure amministrative. Il comunicato chiarisce che gli Stati avranno “piena discrezionalità” nella scelta del tipo di aiuto e che, comunque sia, “nessun membro sarà mai obbligato a effettuare ricollocazioni”.
Tuttavia, ogni anno almeno 30.000 migranti dovranno essere ricollocati dai paesi membri di primo approdo a quelli meno esposti ai flussi. Chi si rifiuterà di accogliere, dovrà versare a un apposito fondo comune 20.000 euro per ogni richiedente non accettato.
Resterà in vigore la clausola per cui i migranti sono tenuti a presentare domanda di asilo esclusivamente nello Stato di primo approdo o di primo ingresso. Il comunicato, infatti, cita espressamente la necessità di “evitare i movimenti secondari”. In altri termini, si vuole proibire al migrante di trasferirsi in un paese differente da quello dove ha richiesto asilo.
La Commissione europea ha salutato l’accordo con grande enfasi, definendolo “una vera e propria svolta”. A detta di Bruxelles è stato raggiunto un “equilibrio tra solidarietà e responsabilità” nell’ottica di un sistema comunitario “più equo, efficiente e sostenibile”.
La presidente Ursula von der Leyen, dal canto suo, ha voluto dare risalto all’unità dell’Europa: “L'Ue è forte. Siamo capaci di lavorare insieme anche sulle questioni più complesse. Con la fiducia e la cooperazione, possiamo dare una risposta europea a una sfida comune”.
Nonostante i trionfalismi, tuttavia, permangono molteplici interrogativi. Di fatto continuerà a rimanere in vigore una delle clausole più contestate del regolamento di Dublino, ovvero l’obbligo per i migranti di richiedere asilo nel primo paese europeo su cui mettono piede. Una realtà assai sgradevole per uno Stato geograficamente esposto ai flussi come il nostro. E c’è da scommettere che molti governi preferiranno pagare la “multa” di 20.000 euro piuttosto che accettare una quota di migranti provenienti da Roma.
Più in generale, diverse disposizioni sono state particolarmente criticate da vari esponenti della società civile nazionale e internazionale. Ci si chiede, ad esempio, se davvero l’esistenza di una persona possa valere 20.000 euro. Ci si chiede, anche, in nome di quali criteri un migrante possa essere respinto verso un paese “sicuro”. Un solo nome vale più di mille parole: la Libia. E poi, secondo molti osservatori, il riferimento ai respingimenti potrebbe ancora una volta aprire la strada a discutibili accordi economici con paesi di dubbia democraticità. È evidente, d’altronde, il fallimento dell’approccio con la Turchia.
Vedremo quale piega prenderà la vicenda quando verrà il momento trattare con l’Europarlamento. Per ora, c’è da registrare la clamorosa spaccatura politica fra i conservatori europei.
Al momento del voto in Consiglio, infatti, Polonia e Ungheria – fin qui solide alleate di Giorgia Meloni – hanno deciso di votare contro. Budapest e Varsavia, da sempre avverse ai ricollocamenti, sono state le uniche a bocciare in pieno l’esito delle negoziazioni fra i ministri, entrando in contrasto con l’Italia. Un dato che dovrebbe indurre serie riflessioni sulla rete delle alleanze europee intessute negli ultimi tempi da Palazzo Chigi.
Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia