L’Europa chiede il conto ai grandi del web

(ASI) Bruxelles – È in arrivo la stretta dell’Unione europea sui giganti di Internet, penetrati ormai a pieno titolo nei ritmi frenetici della nostra vita quotidiana.

Bruxelles intende assicurare che ben 19 tra siti di commercio online, social network, portali di servizi in abbonamento e motori di ricerca funzionino in maniera trasparente e corretta, tutelando i dati personali, la sicurezza, la salute mentale degli utenti.

Il 25 aprile la Commissione europea ha ufficialmente individuato le società che dovranno adeguarsi al più presto al regolamento sui servizi digitali – Digital Services Act – entrato in vigore a livello comunitario lo scorso 16 novembre. Il provvedimento, spiega la Commissione, inserisce le piattaforme di grandi dimensioni in un “nuovo quadro unico di trasparenza e responsabilità”.

La misura ha una portata molto importante, dal momento che si rivolge a un ampio bacino di almeno 45 milioni di utenti attivi ogni mese. Nella lente di ingrandimento dell’Ue sono finiti popolarissimi siti di acquisti come Amazon, Zalando o Booking.com, i social del momento da TikTok a Instagram, da Twitter a Facebook fino a YouTube e Snapchat. Spazio anche alla celebre enciclopedia Wikipedia, insieme ai negozi digitali Apple AppStore e Google Play, da cui possiamo ogni giorno scaricare giochi e applicazioni sui nostri cellulari. Per quanto riguarda i motori per fare ricerche e navigare sul web, la Commissione ha individuato Google Search e Bing, quest’ultimo di proprietà del colosso Microsoft.

Tutte queste potenti società, senza le quali sembra quasi impossibile immaginare le nostre esistenze, hanno da oggi quattro mesi di tempo per adeguarsi a quanto stabilito nel regolamento sui servizi digitali. Sono numerosi gli obblighi che l’Europa ha deciso di imporre per rendere Internet un luogo più sicuro e accessibile.

Nello specifico, le piattaforme in questione dovranno chiarire le modalità con cui operano e raccolgono i dati personali dei naviganti, mettendo a disposizione le proprie condizioni di utilizzo scritte in forma “semplice e comprensibile” e tradotte in ciascuna lingua degli Stati membri Ue.

Per quanto riguarda il capitolo dati e pubblicità personalizzata, i siti menzionati dovranno consentire ai visitatori di opporsi ai meccanismi di profilazione a scopi promozionali. Gli annunci che continueremo a visualizzare non potranno per nessun motivo basarsi sui nostri “dati sensibili”, ovvero le origini etniche, le opinioni politiche e religiose, l’orientamento sessuale, le condizioni di salute.

La Commissione ha voluto dedicate particolare attenzione alla protezione dei minori, che iniziano a navigare in età sempre più precoce. La pubblicità personalizzata non potrà più essere costruita sulle loro abitudini e dati personali. Inoltre, ogni società sarà tenuta a presentare alla Commissione una “valutazione specifica dei rischi”, cioè uno studio sui potenziali effetti nocivi provocati alla salute mentale dei più piccoli. Accanto a ciò, precisano da Bruxelles, per mitigare le insidie allo sviluppo psicologico dei bambini “le piattaforme dovranno ridefinire i propri servizi, compresi le interfacce, i sistemi di raccomandazione e le condizioni generali”.

Stesso discorso per la diffusione di notizie false o contenuti violenti in grado di alterare la percezione della realtà degli utenti. Un pericolo tanto grave quanto attuale, se si considera l’elevato numero di “fake news” circolanti giorno dopo giorno sui social network. Fenomeno che, secondo la Commissione, comporta “effetti negativi sulla libertà di espressione e di informazione”. Le piattaforme e i motori di ricerca, pertanto, dovranno migliorare sensibilmente le proprie tecnologie di riconoscimento e deterrenza, consentire ai naviganti di segnalare contenuti inappropriati e agire tempestivamente per cancellarli.

“Trasparenza” è una delle parole chiave del nuovo regolamento europeo. Le società saranno obbligate a inviare alla Commissione le valutazioni dei rischi, pubblicare la lista integrale degli annunci pubblicitari trasmessi, redigere relazioni chiare sui contenuti proposti di volta in volta agli utenti. La Commissione nominerà un gruppo di lavoro di esperti indipendenti, incaricato di esaminare i documenti forniti e vigilare sul contrasto ai “rischi sistemici” quali la disinformazione, i contenuti incitanti all’odio e alla violenza verbale e fisica, i contenuti dannosi alla salute mentale dei minori. È significativa, in tal senso, la recente istituzione del Centro europeo per la trasparenza algoritmica, un organo interno all’Ue preposto al controllo sistematico sull’efficienza degli algoritmi delle piattaforme.

L’insistenza di Bruxelles sulla lotta alla disinformazione e la protezione dei più piccoli è tutt’altro che casuale. Nel 2021, ad esempio, hanno fatto scalpore le dichiarazioni di una ex dipendente di Facebook – Frances Haugen – e le inchieste del “Wall Street Journal” in merito ai controversi algoritmi adottati dai social di Mark Zuckerberg. Al cuore delle scottanti rivelazioni basate su una clamorosa fuga di documenti, la constatazione per cui Facebook conferirebbe più importanza al numero delle interazioni degli utenti – e al conseguente giro d’affari da capogiro – rispetto alla qualità dei contenuti offerti. Secondo la Haugen, pur essendo perfettamente a conoscenza dei potenziali pericoli, la dirigenza del social non avrebbe contrastato la circolazione di notizie false o contenuti stimolanti l’odio e la rabbia, poiché questi sentimenti indurrebbero gli utenti a passare più tempo connessi.

Nel 2017, una bufera investì l’altra piattaforma di Zuckerberg, la popolarissima Instagram. A far scoppiare il caso, la tragica morte della quattordicenne britannica Molly Russell. Felice e sorridente solo all’apparenza, Molly in realtà era una giovane depressa, assai fragile emotivamente. Al punto che, una sera, la piccola arrivò ad autoinfliggersi dolore, facendosi del male e ferendosi fino a perdere la vita. Il drammatico suicidio acquisì eco internazionale quando le indagini dimostrarono che, negli ultimi sei mesi della sua esistenza, Molly era entrata in contatto su Instagram con una miriade di contenuti relativi a depressione, suicidio, autolesionismo. Contenuti talmente forti da costringere persino gli inquirenti a interromperne ripetutamene la visione. Al termine delle indagini, il coroner giunse a ipotizzare una parziale responsabilità di Instagram nell’aver influito negativamente sulle già labili condizioni mentali della ragazzina.

“Le nostre norme mirano a garantire che la tecnologia sia al servizio delle persone e delle società in cui viviamo, e non viceversa. Il regolamento sui servizi digitali introdurrà notevole trasparenza e ingenti responsabilità per le piattaforme e i motori di ricerca e offrirà ai consumatori maggiore controllo sulla loro vita online”, ha affermato la Commissaria europea per la concorrenza, Margrethe Vestager, parlando del nuovo regolamento.

La speranza, ora, è che questo provvedimento unico nella storia dell’Unione possa davvero coniugare, una volta per tutte, lo sviluppo tecnologico con la sicurezza e la salute delle persone.

Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia

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