(ASI) Strasburgo – Sono passati più di quattro mesi dal giorno in cui la ventiduenne Mahsa Amini è deceduta dopo essere stata arrestata e torturata dalla “polizia morale” iraniana. La giovane ha pagato con la vita l’unica “colpa” di aver lasciato fuoriuscire dal velo una ciocca di capelli.
Le sevizie inflitte alla ragazza e la sua brutale morte, tuttavia, non sono passate inosservate. Da allora, al contrario, una porzione sempre più nutrita di popolazione ha iniziato a scendere in strada e riempire le piazze pacificamente.
Migliaia di giovani e attivisti dei diritti umani – donne e uomini – continuano tutt’ora a far sentire la propria voce per cercare di porre fine all’oscurantismo del regime teocratico in capo alla Guida suprema Ali Khamenei. Ricordando Mahsa nella mente e nel cuore, inneggiano alla libertà, alla democrazia, all’emancipazione delle donne. Conservano la speranza di scalfire i dogmi della Repubblica islamica tagliandosi una ciocca di capelli o dipingendosi le mani con una vernice rosso sangue.
Eppure, ciò che ricevono in cambio è la repressione aggressiva fatta di sparizioni, arresti, detenzioni in condizioni degradanti, torture e vessazioni di ogni tipo, condanne a morte fulminee. Questa risposta “violenta, indiscriminata, sproporzionata, incontrollata” da parte del Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche – la forza di sicurezza del regime – è stata oggetto di una risoluzione dell’Europarlamento adottata lo scorso 19 gennaio.
I deputati riuniti in sessione plenaria a Strasburgo hanno voluto inviare all’Ayatollah Khamenei e al presidente Ebrahim Raisi un chiaro segnale di disapprovazione. “Sosteniamo fermamente le aspirazioni del popolo iraniano a vivere in un paese libero, stabile, inclusivo, democratico” hanno affermato i parlamentari.
La risoluzione sollecita le autorità a interrompere “immediatamente e incondizionatamente” le condanne a morte e le esecuzioni a carico dei manifestanti pacifici. Esorta Teheran a liberare subito gli innocenti su cui pende una sentenza capitale, deplorando l’incessante impiego di tale pratica a mo’ di arma per soffocare con efferatezza il dissenso. Il tutto in nome dei reati di “ribellione contro Dio” e “corruzione sulla Terra”, che la Camera di Strasburgo invita a eliminare quanto prima dal codice giuridico.
Nel mirino anche il ricorso sistematico alla tortura, alle forme di coercizione fisica e psicologica, alle intimidazioni personali nell’intento di estorcere confessioni false ai detenuti, così come l’abitudine di negare loro l’accesso alla rappresentanza legale durante gli interrogatori. Pratiche che dimostrano “il palese disprezzo della dignità umana e delle aspirazioni democratiche dei cittadini”. Una realtà di fronte alla quale l’Europa non ha intenzione di voltare lo sguardo.
L’emiciclo di Strasburgo, infatti, ha spronato il Consiglio europeo a inserire nella lista nera delle sanzioni dell’Ue l’Ayatollah Khamenei e il presidente Raisi. Quest’ultimo, peraltro, è accusato di aver commesso gravi violazioni dei diritti umani quando era al vertice della magistratura iraniana e risulta attualmente nell’elenco degli individui sanzionati dagli Stati Uniti. Nel contempo, gli eurodeputati hanno raccomandato di aggiungere il Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche all’elenco comunitario dei soggetti terroristici e di troncare con esso qualsiasi relazione economica o finanziaria. Secondo quanto emerge dalla risoluzione, il Corpo è molto più di una semplice forza armata. Possiede partecipazioni nei settori delle infrastrutture, petrolchimico, finanziario, delle telecomunicazioni, automobilistico e nautico e da esso dipendono grandi fondazioni dedite a “traffici illeciti su larga scala”. Ci si trova di fronte a un’entità strutturata e potente, “uno Stato nello Stato in grado di controllare i due terzi dell'economia nazionale”.
Stando ai dati dell’Ue, dall’inizio delle proteste di massa le forze di sicurezza hanno ucciso diverse centinaia di manifestanti pacifici e ne hanno arrestati oltre ventimila. La loro sorte preoccupa notevolmente, dal momento che l’Iran è considerato “il paese con il maggior numero di esecuzioni per abitante al mondo”. Esecuzioni frutto di processi lampo, celebrati senza garantire il diritto alla difesa dell’imputato, costruiti su “confessioni ottenute con la tortura”.
Ma da tempo, ormai, nel braccio della morte ci sono anche numerosi privati con la doppia cittadinanza iraniana-europea. Persone recluse e condannate alla pena capitale per spionaggio in base ad “accuse false”, confermate da “confessioni estorte sotto tortura” in seguito a “processi gravemente iniqui”. Il caso più eclatante è quello dell’ex viceministro della Difesa Alireza Akbari, giustiziato nonostante fosse in possesso di una seconda cittadinanza britannica. Per lui non c’è più nulla da fare, tuttavia il pensiero dei deputati di Strasburgo si è rivolto anche alla sorte di molti europei attualmente imprigionati con le medesime brutali modalità. Si tratta di attivisti dei diritti umani, accademici, sindacalisti destinati a una lunga detenzione o, ancora peggio, all’esecuzione. Come il belga Olivier Vandecasteele, membro di un’organizzazione non governativa, condannato a 40 anni di carcere, 74 frustate e al pagamento di un’ammenda da un milione di euro. La risoluzione esorta le autorità italiane a “rilasciare immediatamente tutti i cittadini dell'Ue e a ritirare ogni accusa nei loro confronti”.
La Camera di Strasburgo, in aggiunta, ha esaminato a fondo gli sviluppi della guerra in Ucraina, soffermandosi sul crescente supporto offerto da Teheran al Cremlino. In particolare, la risoluzione incolpa il regime di contribuire concretamente ai crimini di guerra perpetrati ai danni di Kyiv: “La Repubblica islamica continua a fornire velivoli senza equipaggio e prevede di inviare missili terra-terra alla Federazione russa”. Non stupisce, dunque, come nel più recente pacchetto di sanzioni contro Mosca l’Europa abbia vietato l’esportazione in Iran di macchinari e pezzi di ricambio per droni e altri veicoli a pilotaggio remoto.
Il paese è da tempo bersaglio delle restrizioni varate dall’Unione. Recentemente la lista nera delle sanzioni comunitarie è stata estesa a ben 126 individui e 11 entità, comprese figure di spicco della politica nazionale quali i ministri dell’Interno e dell’informazione e comunicazione. Il pugno duro non ha risparmiato gli alti funzionari del Corpo delle guardie rivoluzionarie, colpiti da provvedimenti di congelamento dei beni, divieti di viaggio verso l’Ue e dall’esclusione da fondi o risorse economiche comunitarie.
Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia