(ASI) Mosca – Mentre in Ucraina la guerra prosegue senza esclusione di colpi, anche quest’anno Vladimir Putin ha pronunciato il suo consueto discorso di fine anno.
Diversamente dalle occasioni precedenti, tuttavia, la cerimonia si è svolta in un clima sospeso, quasi surreale. Annullata la tradizionale conferenza stampa con i giornalisti provenienti da tutto il mondo, annullati i festeggiamenti per il nuovo anno, il presidente è apparso in un video pubblicato sulla pagina principale del portale del Cremlino. Sobrio e solenne, ha parlato per appena nove minuti, circondato dai rappresentanti delle forze armate.
In una breve orazione, un Putin più accorato del solito si è rivolto ai concittadini per raccontare la propria versione dei fatti: “È stato un anno di decisioni difficili ma necessarie, di passi importanti verso la piena sovranità della Russia e un potente consolidamento della nostra società”. Sin dalle prime parole si evince in maniera chiara la vera protagonista dell’evento. A quasi un anno dalla deflagrazione, non poteva non essere la guerra in Ucraina il cuore delle argomentazioni. Un conflitto mai descritto come tale, ma chiamato semplicemente “operazione speciale”, secondo una prassi ormai consolidata.
Un’operazione dal carattere puramente difensivo, ribadisce il capo, portata avanti in nome della salvezza del paese. “Ciò che conta di più è il futuro della Russia. Tutelare la madrepatria è il sacro dovere verso i nostri antenati. La verità morale e la verità storica stanno dalla nostra parte” recita la dissertazione dagli intensi connotati patriottici, in cui i termini “madrepatria” e “sovranità” ricorrono più e più volte.
È la storia della grande Russia di un tempo la stella polare del presidente. In lui rivive l’eco di un passato glorioso dove i confini di Mosca si estendevano a perdita d’occhio. Da qui, il significativo riferimento alle regioni contese dell’Ucraina orientale - gli oblast di Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia e Kherson - annesse lo scorso settembre a seguito di un referendum giudicato illegale dalla comunità internazionale: “Stiamo combattendo per proteggere la nostra gente nei nostri territori storici nelle nuove regioni della Federazione russa”.
Vestito elegante con giacca e cravatta, Putin guarda dritto nella telecamera e chiama a raccolta i cittadini, insistendo sulla necessità di resistere di fronte un nemico apparentemente accomodante, ma in realtà subdolo e ingannevole. Quell’avversario è l’Occidente, accusato con parole di fuoco di strumentalizzare i disordini sorti nel Donbass sin dal 2014: “Per anni le élite occidentali ci hanno ipocritamente assicurato le loro intenzioni pacifiche, tra cui la risoluzione del grave conflitto nel Donbass. Ma invece hanno incoraggiato in ogni modo i neonazisti, autori di azioni terroristiche contro civili pacifici”.
Allusioni al vetriolo, che riportano sulla scena il drammatico fallimento degli accordi di Minsk, i quali dopo gli scontri del 2014 avrebbero dovuto regolare la delicata convivenza fra russi e ucraini nel fragile Donbass. Le cancellerie occidentali si adoperarono assiduamente a livello diplomatico per ottenere dai contendenti la sottoscrizione degli accordi. Tuttavia, nel corso del tempo la Russia ha più volte denunciato alcune leggi promulgate dai “nazisti ucraini” che penalizzano il libero esercizio della lingua e limitano la diffusione della cultura russa nel territorio in questione. Bersaglio principale delle dure invettive moscovite è dunque proprio quell’Occidente che, a parere del Cremlino, sarebbe rimasto colpevolmente inerme dinanzi la violazione ucraina degli accordi, fino a divenire egli stesso un carnefice: “Ci hanno mentito sulla pace mentre si preparavano all'aggressione e oggi non esitano a usare cinicamente l'Ucraina e il suo popolo come strumento per indebolire e dividere la Russia. Non abbiamo mai permesso a nessuno di farlo e di certo non lo permetteremo ora”.
A detta di Putin, rientrano a pieno titolo fra gli strumenti destabilizzanti le ripetute restrizioni varate ai danni di Mosca: “Si è scatenata contro di noi una vera e propria guerra delle sanzioni. Chi l'ha iniziata si aspettava che la nostra industria, le nostre finanze, i nostri trasporti crollassero per non riprendersi più”. Dall’avvio del conflitto in Ucraina, nel corso del 2022 l’Unione europea ha approvato nove pacchetti di sanzioni. L’ultimo, risalente allo scorso novembre, è stato adottato in risposta alla serie di attacchi missilistici russi che hanno devastato obiettivi civili e messo in ginocchio, nel bel mezzo della stagione fredda, il regolare funzionamento dei servizi pubblici basilari. Il provvedimento ha aggiunto quasi duecento individui privati ed entità statali russe alla lista nera dell’Unione, ha vietato le esportazioni a scapito di 168 aziende legate al complesso industriale e militare moscovita, ha bloccato l’operatività internazionale del colosso bancario Russian Regional Development Bank.
A conclusione del discorso altamente patriottico e assai polemico nei confronti dell’Occidente, Putin si è voluto mostrare vicino alle moltissime famiglie dei soldati caduti durante l’aggressione a Kyiv. “So quanto sia difficile per le loro mogli, i loro figli e le loro figlie, per i genitori che hanno cresciuto dei veri e propri eroi” ha affermato, promettendo: “Faremo ogni sforzo per aiutare le famiglie dei nostri compagni caduti a crescere i loro figli, a dare loro una buona istruzione, a inserirli nella società”. Sul destino dei morti, però, nemmeno una parola. Da mesi, del resto, le autorità russe si rifiutano di divulgare il numero esatto dei commilitoni persi e di dare informazioni sulle circostanze del decesso.
Al contrario, non vi è alcun riserbo sulle intenzioni future del Cremlino. Prima di terminare la registrazione con gli auguri per il nuovo anno, Putin ha pronunciato una frase che lascia spazio a pochi dubbi sugli sviluppi del conflitto: “Andremo avanti e combatteremo per le nostre famiglie e per la Russia, per il futuro della nostra unica amata madrepatria”.
Marco Sollevanti – Agenzia Stampa Italia