Cina. Discusse a Pechino le nuove linee sul patriottismo, ma il sentimento ha radici profonde

138074827 15583593517051n(ASI) L'altro ieri, a pochi giorni dalle celebrazioni per i settant'anni dalla fondazione della Repubblica Popolare, il Dipartimento Politico del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese (PCC) ha discusso una bozza sulle linee-guida dell'educazione patriottica nella nuova era e sul lavoro regolatorio nelle scuole politiche.

Presieduto da Xi Jinping, il consesso ha diramato un comunicato stampa alla fine del vertice, dove si legge che «è di grande importanza realistica e significativa rilevanza storica delineare i contorni dell'educazione patriottica proprio mentre il Paese si accinge a celebrare il settantesimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese». Il comunicato sottolinea inoltre l'importanza di un'educazione patriottica profonda, duratura e vivace tra i giovani, perché «rafforzare l'educazione patriottica nella nuova era ha lo scopo di fare del patriottismo la fede e la forza spirituale dell'intero popolo cinese».

Che il PCC dovesse essere «avanguardia della nazione e del popolo cinese» e che i comunisti cinesi dovessero sentirsi «parte della grande nazione cinese, carne della sua carne e sangue del suo sangue», Mao Zedong lo aveva teorizzato già diversi anni prima della presa del potere, avvenuta ufficialmente il primo ottobre del 1949. In fin dei conti, la rivoluzione che il Grande Timoniere aveva in testa per la Cina era diversa da quella bolscevica già nelle sue fondamenta storiche. Eppure, il monito ai giovani - non nuovo del mandato di Xi Jinping - fa del richiamo all'educazione patriottica un elemento tutt'altro che conservativo o rivolto esclusivamente al passato. Anche perché le radici del sentimento nazionale nella Cina moderna affondano in questioni estremamente concrete, in parte ancora irrisolte, come dimostrano l'attualissimo caso di Hong Kong o le ricorrenti crisi politiche a Taiwan.

Per buona parte del XIX e metà del XX secolo, l'aggressione da parte delle principali potenze europee (Russia inclusa), cominciata con la prima Guerra dell'Oppio nel 1839, e dell'Impero Giapponese, iniziata con l'occupazione di Taiwan nel 1895, avevano fatto del grande Paese asiatico una terra di conquista, umiliata e indebolita dai colpi inferti dagli eserciti stranieri. Costretta in pochi decenni a cedere la sovranità di sempre maggiori porzioni territoriali, la Cina fu attraversata da ribellioni popolari a carattere nazionalista e anticoloniale, come quella dei Taiping (1851-1864) e quella dei Boxer (1899-1901), a fronte della debolezza e della corruzione interna che stava fiaccando l'autorità di una dinastia - quella Qing - di origine Manchu, derivata cioè da una minoranza etnica non-Han e dunque percepita dai più come "straniera".

Per questo, il Partito Comunista Cinese, fondato nel 1921, dieci anni dopo la Rivoluzione Xinhai e la fondazione della Repubblica, non solo non si era posto in contrasto con l'indirizzo nazionalista del Kuomintang (KMT), ma intendeva addirittura rilanciare e fare propri i Tre Principi del Popolo (Mínzú, Mínquán e Mínshēng, ovvero: unità nazionale, potere su base popolare e giustizia sociale) pensati da Sun Yat-sen all'inizio del Novecento per avviare la costruzione di una nuova Cina sovrana, repubblicana e democratica.

L'ascesa di Chiang Kai-shek alla guida del Kuomintang, dopo la morte del suo fondatore nel 1925, avrebbe cambiato radicalmente i rapporti politici all'interno del Paese. La linea ferocemente anticomunista inaugurata dal generale cinese nel 1927 diede il via a ben cinque grandi campagne di annientamento delle milizie rosse che, visti i numeri e le forze in campo, portarono ben presto ad una vera e propria guerra civile. Fra il 1934 e il 1935, per sfuggire all'ennesima vasta operazione di accerchiamento dell'esercito governativo, l'Armata Rossa Cinese dovette affrontare una delle più terribili manovre di ripiegamento della storia, quella celebre Lunga Marcia di ben 12.000 km fra altopiani, montagne e vallate, compiuta in condizioni ambientali e climatiche ostili quando non del tutto estreme. I numeri sono ancora discordanti ed incerti ma, approssimativamente, si può verosimilmente ritenere che fossero partiti dallo Jiangxi in circa 100.000 ed abbiano raggiunto lo Shaanxi in circa 8.000. Fra i superstiti, oltre allo stesso Mao e al generale Zhu De, c'erano giovani figure del calibro di Zhou Enlai, Liu Shaoqi, Liu Bocheng, Lin Biao, Peng Dehuai e Deng Xiaoping, ovvero buona parte della futura élite politica e militare del Paese.

Lo scontro con il Kuomintang, in ogni caso, non cambiò la sostanza della visione di Mao riguardo la necessità di un "patto nazionale" che alle masse contadine e a quelle operaie (ancora esigue in un Paese sostanzialmente agricolo) affiancasse i "settori patriottici" della borghesia nazionale. Nel Manifesto del 22 settembre 1937, a pochi mesi dalla ricostituzione del Fronte Unito KMT-PCC contro l'aggressione giapponese, il Comitato Centrale del Partito dichiarò che «i Tre Principi del Popolo sono ciò di cui la Cina oggi necessita» e che l'obiettivo era quello di «combattere per la loro completa realizzazione».

A circa cinque mesi dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in Asia, che complessivamente sarebbe costata alla Cina tra i 15 e i 20 milioni di morti, il 24 aprile 1945, in occasione del 7° Congresso Nazionale del PCC, Mao disse: «Alcuni insinuano che i comunisti cinesi si oppongano allo sviluppo dell'iniziativa individuale, alla crescita del capitale privato e alla tutela della proprietà privata, ma si sbagliano». Secondo il leader cinese, infatti, «è l'oppressione straniera e quella feudale che impediscono crudelmente lo sviluppo dell'iniziativa individuale del popolo cinese, ostacolano la crescita del capitale privato e distruggono la proprietà delle persone». Rilanciando lo spirito del 1911, insomma, Mao sostenne che «l'economia nazionale cinese nella fase attuale dovrebbe essere formata da un settore statale, un settore privato ed un settore cooperativo», sottolineando che lo Stato non deve essere «di proprietà esclusiva di pochi», ma estendersi alla disponibilità di tutti.

Come gli storici e gli esperti o appassionati di Cina sanno, dopo la presa del potere, Mao contraddisse questo indirizzo politico, spostandosi da un'iniziale apertura all'iniziativa individuale (Campagna dei cento fiori, 1956) alle successive collettivizzazioni agricole (Grande Balzo in Avanti, 1958-1961) che generarono risultati disastrosi all'inizio degli anni Sessanta, cronicizzando uno scontro all'interno del Partito fra due fazioni - una riformatrice e l'altra dogmatica - sempre più inconciliabili, risoltosi definitivamente soltanto nel 1976 con la conclusione della drammatica fase della Rivoluzione culturale.

Contrariamente ad uno dei pilastri teorici "modernisti" del Movimento del 4 Maggio, che nel 1919 aveva animato le prime rivolte a carattere nazionalista ed anti-imperialista nella nuova Cina repubblicana, ma soprattutto in contrasto con la furia iconoclasta della Banda dei Quattro e di Lin Biao verso i valori tradizionali durante il decennio 1966-1976, a seguito della politica di riforma e apertura inaugurata da Deng Xiaoping nel 1978, il Partito cominciò a recuperare, più o meno direttamente, il pensiero di Confucio adattandone alcuni cardini filosofici al nuovo corso della Cina comunista: Dàtóng, la "Grande Unità" necessaria in una nazione di dimensioni subcontinentali, con 55 minoranze etniche e cinque regioni autonome riconosciute; Xiǎokāng, la "moderata prosperità", fissata come obiettivo per il 2021, mirata alla costruzione di una vasta classe media, relativamente benestante; Héxié Shèhuì, la "società armoniosa" da continuare a costruire cercando di non lasciare indietro nessuno.

In questa chiave riformatrice, capace di conciliare tradizione e progresso, vanno letti i contributi che ancor oggi caratterizzano e guidano il governo cinese nella sua opera politica di sviluppo economico e sociale: dalle Tre Rappresentanze introdotte da Jiang Zemin alla Visione Scientifica dello Sviluppo pensata da Hu Jintao, sino al Sogno Cinese teorizzato da Xi Jinping. Un sogno che - tra nuovi ponti, aeroporti, investimenti green, riduzione della povertà, ricerca scientifica, innovazioni tecnologiche e città intelligenti - ogni giorno diventa sempre di più una concretà realtà.

 

Andrea Fais - Agenzia Stampa Italia

 

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