(ASI) Milano- Il 25esimo consiglio ministeriale dell’Osce, l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, non sarà ricordato per il clima disteso. A Milano il 6 e il 7 dicembre il tema centrale è subito diventato la crisi fra Russia e Ucraina, pomo della discordia e di molte tensioni nel continente e non solo. I ministri degli Affari esteri dei Paesi coinvolti non si sono risparmiati reciproche accuse e la cooperazione tanto auspicata dall’organizzazione con sede a Vienna è lontana dai tavoli di discussione.
Il ministro degli Esteri di Kiev Pavlo Klimkin ha chiesto nuove sanzioni alla Russia: «Oltre la liberazione dei nostri prigionieri è necessario un monitoraggio costante del mar d’Azov da parte della comunità internazionale. Questo è il quinto consiglio ministeriale Osce ad avere per protagoniste le azioni destabilizzanti del Cremlino».
A Klimkin ha fatto eco il vicesegretario di Stato americano Wess Mitchell, rincarando la dose: «Gli Stati Uniti continueranno a imporre sanzioni a Mosca fino a quando la Crimea non sarà restituita».
Sergey Lavrov, ministro degli Affari esteri russo, ha invece ribadito che le proteste relative a quanto accaduto nello stretto di Kerch sono solo la «provocazione, i ricatti e le minacce di un piccolo gruppo di Paesi».
Il 25 novembre l’incidente che ha rialimentato le fiamme di un conflitto che non si è mai spento, ma che era stato, almeno nei Paesi occidentali, in parte dimenticato. I militari russi, con l’appoggio dei servizi per la sicurezza interna (Fsb), hanno ispezionato e sequestrato il rimorchiatore ucraino Jany Kapu e le corvette Berdjansk e Nikopol. Dalla nave russa Don hanno ammesso di aver sparato alcuni colpi e alcune immagini di un video diffuso dai russi stessi si vede lo speronamento ai danni della Jany Kapu. Per gli ucraini sei prigionieri della loro marina sarebbero feriti, per il Cremlino solo tre.
Le imbarcazioni militari ucraine seguivano le rotte commerciali del porto di Odessa verso quelli di Berdjansk e Mariupol, ora sempre più complicate per il controllo russo dello stretto.
Per esportare cereali, minerali e prodotti metallurgici le navi ucraine devono attraversare lo stretto di Kerch, ora dominato da un ponte che collega la penisola di Crimea alle regioni russe di Krasnodar e Rostov, inaugurato da Vladimir Putin il 15 maggio scorso.
Questo ponte non a caso impedisce il passaggio delle navi ucraine più alte, limitando fortemente il commercio delle stesse e il transito dei carichi pesanti. Con i suoi 19km, il binario ferroviario e le due carreggiate a doppia corsia che lo caratterizzano, il ponte sullo stretto di Kerch è il più lungo d’Europa e rafforza il controllo russo in una zona nevralgica. Lo stretto è l’unica via di accesso marittima del Mar nero al Mar d’Azov, nel quale si affacciano territori russi, ucraini e le repubbliche separatiste di Luhansk e Donetsk.
Lavrov, nel vertice dell’Osce, ha parlato di violazione delle acque territoriali russe, anche se la comunità internazionale non ha riconosciuto l’annessione della Crimea, per il Cremlino legittimata dal referendum popolare del 2014. I russi giustificano il rafforzamento dei controlli come l’unico mezzo per prevenire il rischio terrorismo, richiamando ragioni di sicurezza. «L’escalation della crisi», ha detto il ministro degli Esteri russo, «si riconduce unicamente a un atto provocatorio del presidente ucraino Petro Poroshenko, che con ogni mezzo cerca di riguadagnare il consenso popolare in vista delle elezioni politiche di maggio, che lo vedono in svantaggio».
Il conflitto fra Ucraina e Russia nelle regioni separatiste ha già provocato 10mila vittime. Il timore dell’Europa e dell’Alto Rappresentante della Politica estera europea Federica Mogherini è che ora le violenze possano coinvolgere le regioni che si affacciano sul mar d’Azov. Entrambe le parti hanno fatto appello al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, mentre il ministro degli Affari esteri tedesco Haiko Maas ha assicurato che l’11 dicembre a Berlino riprenderà il dialogo, sulla base degli accordi di Minsk. Speranza al momento ancora remota.
Lorenzo Nicolao – Agenzia Stampa Italia