(ASI) - Dopo varie vicissitudini, lunedì è arrivata a Bruxelles la firma sull'accordo di divorzio tra la Gran Bretagna e l'Unione europea.
Si tratta di un documento di 585 pagine, approvato al'unanimità dal Consiglio Europeo, che sancisce la definitiva uscita dell'Inghilterra dall'Europa. Londra, dopo due anni di trattativa piena di alti e bassi, crisi, ministri dimissionari, congiure di palazzo, ripensamenti, appelli alla nazione e manifestazioni popolari, ora dovrà confrontarsi con il processo di ratifica dell'«accordo di recesso», come tecnicamente è definito il divorzio. E qui arriva la parte difficile per Theresa May che, per ora, non ha i numeri in Parlamento.
Paradossalmente dovrebbero votare contro i «leavers» più convinti, cioè una parte non piccola del suo partito conservatore (il suo partito) e gli unionisti irlandesi; a questi si aggiungono i «remainers», più o meno strumentali, cioè il Labour, i liberali, i nazionalisti scozzesi e anche qualche tories che preferirebbe un secondo referendum. La May sembra molto determinata e a suo favore gioca il fatto che non ci sono alternative. Se però non ci riuscirà, saranno guai sia per la Gran Bretagna che per l'Europa.
Dopo aver riferito davanti alla Camera dei Comuni inglese sull'accordo della Brexit, ora dovrà ricevere l'ok da parte del parlamento inglese l'11 dicembre.
Nonostante l'aula abbia protestato quando la premier ha definito il patto come il migliore possibile, la May ha invitato i deputati a dare il via libera al provvedimento. "Possiamo approvarlo" ha spiegato "rispettare il voto del referendum del 2016 e proseguire verso un futuro di opportunità e prosperità per tutti, oppure bocciarlo e tornare al punto di partenza perchè nessuno sa cosa succederà se questo accordo non dovesse passare".
Claudia Piagnani - Agenzia Stampa Italia